Ci incontriamo il 1° ottobre a Roma
E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso.
Dagli operai di Pomigliano e Mirafiori agli studenti, ai precari della conoscenza, a coloro che lottano per la casa, alla mobilitazione delle donne, al popolo dell’acqua bene comune, ai movimenti civili e democratici contro la corruzione e il berlusconismo, una vasta e convinta mobilitazione ha cominciato a cambiare le cose. E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi. La schiacciante vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo e ha mostrato che la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico, ha raggiunto la maggioranza del Paese.
A questo punto la risposta del palazzo è stata di chiusura totale. Mentre si aggrava e si attorciglia su se stessa la crisi della destra e del suo governo, il centrosinistra non propone reali alternative e così le risposte date ai movimenti sono tutte di segno negativo e restauratore. In Val Susa un’occupazione militare senza precedenti, sostenuta da gran parte del centrodestra come del centrosinistra, ha risposto alle legittime rivendicazioni democratiche delle popolazioni. Le principali confederazioni sindacali e la Confindustria hanno sottoscritto un accordo che riduce drasticamente i diritti e le libertà dei lavoratori, colpisce il contratto nazionale, rappresenta un’esplicita sconfessione delle lotte di questi mesi e in particolare di quelle della Fiom e dei sindacati di base. Infine le cosiddette “parti sociali” chiedono un patto per la crescita, che riproponga la stangata del 1992. Si riducono sempre di più gli spazi democratici e così la devastante manovra economica decisa dal governo sull’onda della speculazione internazionale, è stata imposta e votata come uno stato di necessità.
A questo punto la risposta del palazzo è stata di chiusura totale. Mentre si aggrava e si attorciglia su se stessa la crisi della destra e del suo governo, il centrosinistra non propone reali alternative e così le risposte date ai movimenti sono tutte di segno negativo e restauratore. In Val Susa un’occupazione militare senza precedenti, sostenuta da gran parte del centrodestra come del centrosinistra, ha risposto alle legittime rivendicazioni democratiche delle popolazioni. Le principali confederazioni sindacali e la Confindustria hanno sottoscritto un accordo che riduce drasticamente i diritti e le libertà dei lavoratori, colpisce il contratto nazionale, rappresenta un’esplicita sconfessione delle lotte di questi mesi e in particolare di quelle della Fiom e dei sindacati di base. Infine le cosiddette “parti sociali” chiedono un patto per la crescita, che riproponga la stangata del 1992. Si riducono sempre di più gli spazi democratici e così la devastante manovra economica decisa dal governo sull’onda della speculazione internazionale, è stata imposta e votata come uno stato di necessità.
Siamo quindi di fronte a un passaggio drammatico della vita sociale e politica del nostro Paese. Le grandi domande e le grandi speranze delle lotte e dei movimenti di questi ultimi tempi rischiano di infrangersi non solo per il permanere del governo della destra, ma anche di fronte al muro del potere economico e finanziario che, magari cambiando cavallo e affidando al centrosinistra la difesa dei suoi interessi, intende far pagare a noi tutti i costi della crisi.
Nell’Unione europea la costruzione dell’euro e i patti di stabilità ad esso collegati, hanno prodotto una dittatura di banche e finanza che sta distruggendo ogni diritto sociale e civile. La democrazia viene cancellata da questa dittatura perché tutti i governi, quale che sia la loro collocazione politica, devono obbedire ai suoi dettati. La punizione dei popoli e dei lavoratori europei si è scatenata in Grecia e poi sta dilagando ovunque. La più importante conquista del continente, frutto della sconfitta del fascismo e della dura lotta per la democrazia e i diritti sociali del lavoro, lo stato sociale, oggi viene venduta all’incanto per pagare gli interessi del debito pubblico che, a loro volta, servono a pagare i profitti delle banche. Di quelle banche che hanno ricevuto aiuti e finanziamenti pubblici dieci volte superiori a quelli che oggi si discutono per la Grecia.
Questo massacro viene condotto in nome di una crescita e di una ripresa che non ci sono e non ci saranno. Intanto si proclamano come vangelo assurdità mostruose: si impone la pensione a 70 anni, quando a 50 si viene cacciati dalle aziende, mentre i giovani diventano sempre più precari. Chi lavora deve lavorare per due e chi non ha il lavoro deve sottomettersi alle più offensive e umilianti aggressioni alla propria dignità. Le donne pagano un prezzo doppio alla crisi, sommando il persistere delle discriminazioni patriarcali con le aggressioni delle ristrutturazioni e del mercato. Tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, è sottoposto a una brutale aggressione che mette in discussione contratti a partire da quello nazionale, diritti e libertà, mentre ovunque si diffondono autoritarismo padronale e manageriale. L’ambiente, la natura, la salute sono sacrificate sull’altare della competitività e della produttività, ogni paese si pone l’obiettivo di importare di meno ed esportare di più, in un gioco stupido che alla fine sta lasciando come vittime intere popolazioni, interi stati. L’Europa reagisce alla crisi anche costruendo un apartheid per i migranti e alimentando razzismo e xenofobia tra i poveri, avendo dimenticato la vergogna di essere stato il continente in cui si è affermato il nazifascismo, che oggi si ripresenta nella forma terribile della strage norvegese.
Il ceto politico, quello italiano in particolare coperto di piccoli e grandi privilegi di casta, pensa di proteggere se stesso facendosi legittimare dai poteri del mercato. Per questo parla di rigore e sacrifici mentre pensa solo a salvare se stesso. Centrodestra e centrosinistra appaiono in radicale conflitto fra loro, ma condividono le scelte di fondo, dalla guerra, alla politica economica liberista, alla flessibilità del lavoro, alle grandi opere.
La coesione nazionale voluta dal Presidente della Repubblica è per noi inaccettabile, non siamo nella stessa barca, c’è chi guadagna ancora oggi dalla crisi e chi viene condannato a una drammatica povertà ed emarginazione sociale.
Per questo è decisivo un autunno di lotte e mobilitazioni. Per il mondo del lavoro questo significa in primo luogo mettere in discussione la politica di patto sociale, nelle sue versioni del 28 giugno e del patto per la crescita. Vanno sostenute tutte le piattaforme e le vertenze incompatibili con quella politica, a partire da quelle per contratti nazionali degni di questo nome e inderogabili, nel privato come nel pubblico.
Tutte e tutti coloro che in questi mesi hanno lottato per un cambiamento sociale, civile e democratico, per difendere l’ambiente e la salute devono trovare la forza di unirsi per costruire un’alternativa fondata sull’indipendenza politica e su un programma chiaramente alternativo a quanto sostenuto oggi sia dal centrodestra, sia dal centrosinistra. Le giornate del decennale del G8 a Genova, hanno di nuovo mostrato che esistono domande e disponibilità per un movimento di lotta unificato.
Per questo vogliamo unirci a tutte e a tutti coloro che oggi, in Italia e in Europa, dicono no al governo unico delle banche e della finanza, alle sue scelte politiche, al massacro sociale e alla devastazione ambientale.
Per questo proponiamo 5 punti prioritari, partendo dai quali costruire l’alternativa e le lotte necessarie a sostenerla:
1. Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi, per questo il patto di stabilità e l’accordo di Maastricht vanno messi in discussione ora. Bisogna lottare a fondo contro l’evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.
2. Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.
3. Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.
4. I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.
5. Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall’accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
2. Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.
3. Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.
4. I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.
5. Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall’accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
Questi 5 punti non sono per noi conclusivi od esclusivi, ma sono discriminanti. Altri se ne possono aggiungere, ma riteniamo che questi debbano costituire la base per una piattaforma alternativa ai governi liberali e liberisti, di destra e di sinistra, che finora si sono succeduti in Italia e in Europa variando di pochissimo le scelte di fondo.
Vogliamo trasformare la nostra indignazione, la nostra rabbia, la nostra mobilitazione, in un progetto sociale e politico che colpisca il potere, gli faccia paura, modifichi i rapporti di forza per strappare risultati e conquiste e costruire una reale alternativa.
Aderiamo sin d’ora, su queste concrete basi programmatiche, alla mobilitazione europea lanciata per il 15 ottobre dal movimento degli “indignados” in Spagna. La solidarietà con quel movimento si esercita lottando qui e ora, da noi, contro il comune avversario.
Per queste ragioni proponiamo a tutte e a tutti coloro che vogliono lottare per cambiare davvero, di incontrarci. Non intendiamo mettere in discussione appartenenze di movimento, di organizzazione, di militanza sociale, civile o politica. Riteniamo però che occorra a tutti noi fare uno sforzo per mettere assieme le nostre forze e per costruire un fronte comune, sociale e politico che sia alternativo al governo unico delle banche.
Per questo proponiamo di incontrarci il 1° ottobre, a Roma, per un primo appuntamento che dia il via alla discussione, al confronto e alla mobilitazione, per rendere permanente e organizzato questo nostro punto di vista.
appello.dobbiamofermarli@gmail.comhttp://sites.google.com/site/appellodobbiamofermarli/
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