«Sono possibili calcoli molto precisi sulla scorta dei dati ufficiali,
ad esempio sul numero di persone che andranno in pensione nei prossimi
anni», spiega a chi scrive lo stesso Raffelhüschen. «Il debito implicito
- aggiunge - dipende in modo decisivo dal previsto aumento delle spese
legate all'invecchiamento». Per la Germania, ha detto il professore a
Berlino, il quadro non è allegro: riforma fiscale, pensionistica (con
generose integrazioni delle minime), aumento delle prestazioni sanitarie
per alcune malattie tipiche della cosiddetta terza età (ad esempio
l'Alzheimer), faranno esplodere nei prossimi anni il debito tedesco. Una
cifra per tutte: secondo il professore nel 2050 lo Stato tedesco e i
länder dovranno spendere 1.360 miliardi di euro solo per le pensioni (di
cui 870 miliardi di euro per 1,38 milioni di dipendenti pubblici). Una
cifra colossale, se si pensa che l'attuale debito pubblico della
Germania (quello "esplicito") è intorno ai 1.900 miliardi.
Per l'Italia, invece, il quadro è molto migliore: il Belpaese, dice l'economista, «dopo la Francia (che comunque è solo quinta nella «classifica», ndr)
secondo le nostre stime sarà il Paese con il più basso incremento di
spese per pensioni, sanità e assistenza per anziani». Inoltre,
sottolinea l'economista, «il saldo primario italiano è molto
incoraggiante». In questo senso, si legge nello studio, «l'Italia non
solo precede chiaramente la "locomotiva" Germania, ma anche tutti gli
altri stati dell'Euro a 12. E dunque l'Italia può contare, a lungo
termine, su uno sviluppo positivo delle finanze pubbliche».
Passiamo alle cifre: secondo lo studio, nel 2010 il debito «esplicito» italiano era
pari al 118,4% del Pil, quello «implicito», per le ragioni già
indicate, al 27,6%, il più basso di tutta l'eurozona a 12. Il totale del
debito «vero» dell'Italia in quell'anno era dunque, secondo lo studio,
pari al 146% del Pil: di qui il primo posto. Se andiamo a vedere la
Germania, seconda «classificata», il debito «esplicito» era dell'83,2%
del Pil, ma quello «implicito» del 109,4 per cento. Totale: 192,6%,
quasi il 50% più dell'Italia. La cosa più sorprendente, però, è chi
troviamo nei piani bassi della classifica, come si intuiva dal titolo:
se all'ultimo posto è l'Irlanda, Paese già sotto programma di aiuti, che
arriva alla quota complessiva di 1.497,2% del Pil (di cui 1.404,7% di
debito «implicito»), al penultimo, però, e peggio della Grecia
(terzultimo posto), troviamo nientemeno che il ricco e tranquillo
Lussemburgo: se il suo debito pubblico «ufficiale» nel 2010 era pari ad
appena il 19,1% del Pil (e infatti il Granducato è considerato tra i
paesi più «virtuosi» dell'eurozona), la bomba previdenziale-demografica
porta al 1.096,5% del Pil il debito «implicito», per un debito totale
del 1.115,6% del Pil.
«Il sistema pensionistico e previdenziale lussemburghese -
spiega ancora Raffelhüschen - è follemente generoso e completamente
insostenibile a lungo termine. Del Granducato si può dire che ha davanti
a sé tutte le riforme che paesi come Italia o Spagna stanno attuando
dolorosamente in questi anni». Del resto non molto bene sta la
"virtuosa" Olanda, ottava in classifica, che a fronte di un debito
«dichiarato» del 61% del Pil, secondo lo studio della Stiftung
Martkwirtschaft ha un debito implicito del 431,8% del Pil, per un totale
del 494,6%. Certamente sta peggio del Portogallo (sesto in classifica),
e appena meglio della Spagna (nono posto).
L'Italia, sostiene l'economista, invece «non deve fare altro che proseguire il cammino iniziato,
guai a invertire la rotta e tornare ad aumentare la spesa per lo Stato
sociale». Un monito che a molti, certo, dalle nostra parti non piacerà
tanto. Se però Raffelhüschen ha ragione, questa situazione ci
consentirà, tra qualche decennio, di stare molto meglio di paesi come il
Lussemburgo, ma anche la Germania. E infatti nei calcoli della sua
Fondazione, l'Italia - rispetto ai dati del 2010 - ha un reale bisogno
di correzione, per garantire la piena sostenibilità del debito, del 2,4%
del Pil (una quarantina di miliardi di euro) - contro, ad esempio, il
12% del Lussemburgo, o il 4% della Germania.
«Sempre che - commenta cinico l'economista - qualcosa non ammazzi prima l'Italia».
Perché se a lungo termine, come abbiamo visto, le prospettive italiane
sono piuttosto buone, il problema è «a breve-medio termine», spiega il
professore. «Vista la bassa crescita - recita il rapporto - gli avanzi
primari basteranno al massimo a stabilizzare il debito italiano nei
prossimi anni, ma resteranno ben lungi dal ridurlo in modo
significativo». Ed è quello cui, ahimé, guardano i mercati, i quali,
aggiunge serafico lo studioso, «ragionano in orizzonti molto più brevi,
non hanno la pazienza di guardare alle prospettive nell'arco di
decenni». E già, perché se dessero retta alla classifica di lungo
termine del professor Raffelhüschen, gli spread tra Italia e la Germania
dovrebbero essere esattamente al contrario. Magari ci arrivano.
(di Giovanni Del Re da L'inkiesta del 21 giugno 2012)
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