DAGOREPORT
Dover cercare il quarto premier non eletto dal popolo
in otto anni di regno sul Colle sarebbe una sconfitta insopportabile, per un
principe delle regole e della Costituzione come Giorgio Napolitano. E'
un'ipotesi così infausta che Bella Napoli cerca di scacciarla continuamente
dalla propria testa, ma i sondaggi che danno Beppe Grillo in continua ascesa, e
gli scricchiolii che avverte dal Pd, lo preoccupano non poco.
Perché sa perfettamente che se tra due domeniche l'M5S
prende più voti che alle Politiche, per Renzie sarà impossibile non solo
portare a casa le riforme che sognava di fare con Berlusconi, ma anche
conquistare un partito dove ancora non controlla i gruppi parlamentari.
Dal 2011 a oggi, Re Giorgio ha già dovuto estrarre dal
cilindro Mario Monti, Enrico Letta e Renzi stesso - anche se sul sindaco di
Firenze ha fornito più che altro il lasciapassare finale -ma ora non intende
più rimediare ai pasticci che gli combinano i partiti. Anche se la sua
principale preoccupazione sembra essere quella di tenere lontano da Palazzo
Chigi il Movimento Cinque Stelle, Napolitano si è dato un termine massimo per
la propria permanenza al Colle: il 29 giugno del prossimo anno, quando compierà
90 anni. E se le Camere, su input grillino e berlusconiano, dovessero
azzardarsi a chiedere il suo impeachment, se ne tornerebbe nella sua bella casa
del rione Monti in pochi minuti.
Anche le rivelazioni di questi giorni sulla nascita
del governo Monti aiutano a capire perché eventuali elezioni politiche prima
del 2018 sarebbero una doppia sconfitta per Re Giorgio. Il due volte inquilino
del Quirinale infatti non ha mai voluto il voto e la storia è questa.
Il libro di memorie di Tim Geitner, ex ministro del
Tesoro americano, svela che per mandare a casa il governo Berlusconi ci fu
un'operazione sulla Casa Bianca da parte di non meglio precisati
"officers" europei. Secondo quanto risulta a Dagospia, il primo "officer"
sarebbe il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schaeuble, che avrebbe
chiesto a Washington l'assenso per l'invio della Troika (Fmi-Bce-Ue) in Italia,
al quale sarebbero seguite le scontate dimissioni di Berlusconi.
Schaeuble si mosse anche per conto di Sarkozy che, non
a caso, durante quello stesso G20 di Cannes del novembre 2011, era in campagna
elettorale e sperava di portare in tv lo scalpo del Banana e di poter dire:
"Oggi abbiamo salvato l'Italia". Trattandola come la Grecia.
La risposta degli uomini di Obama a un simile pressing
fu questa: ok, voi dite che Berlusconi pensa solo alle "girls" ed è
un pericolo per l'euro, ma noi per tutta una serie di motivi non possiamo
tradire Berlusconi. Per la cronaca, l'ex Unto del Signore cadde una decina di
giorni dopo, "incravattato" sui mercati dallo spread sui titoli di
Stato.
Per ritrovare Re Giorgio, però, tocca fare ancora un
passo indietro. Ad agosto di quel 2011, arriva una lettera durissima della Bce
al governo, lettera che per altro viene presto divulgata. Nelle convinzioni di
Berlusconi, e non solo, quella lettera, che era quasi un preavviso di sfratto,
è stata firmata da Trichet ma preparata da Mario Draghi, informato Napolitano.
Quando arriva l'imperiosa missiva, l'ex Cavaliere dice
ai suoi: "Con Trichet ci parlo io, che con il francese me la cavo
benissimo". Parla con l'ex capo della Bce e alla fine questi gli dice, un
po' sibillino: "Guardi che lei i nemici ce li ha in casa".
Lì per lì, anche abilmente instradato da Gianni Letta,
Berlusconi pensa subito a Tremonti, ovvero al suo ministro dell'Economia che
mezzo Pdl si divertiva ad attaccare tutti i giorni perché sarebbe un
"Signor No". Ma a distanza di due anni mezzo, con una condanna sul
groppone e qualche fregatura di troppo incassata sull'asse Letta-Napolitano, il
Berlusca si è convinto che i "mandanti" della caduta del suo governo
siano stati Draghi e Napolitano.
E veniamo alla crisi di governo dell'autunno 2011. Ci
si è interrogati per mesi sui motivi per i quali Pierluigi Bersani abbia
rinunciato a una facile vittoria. Si è detto mille volte che il Pd ha avuto
paura, che non era pronto eccetera eccetera. Ma era la domanda sbagliata. La
domanda giusta è un'altra: perché Berlusconi non ha voluto le elezioni
anticipate come Zapatero? La risposta oggi è semplice: perché si è fatto
fregare.
Napolitano chiamò Berlusconi e gli disse più o meno
così: se accetti di dimetterti, in realtà esci dalla porta e rientri dalla
finestra con un governo di larghe intese; se accetti l'operazione avrai ancora
un ampio spazio politico. L'ex premier, parecchio spaventato, accetta. Convinto
che comunque anche a lui sarebbe servito più tempo per prepararsi alle
elezioni.
C'è un'altra questione che resta in sospeso, sulle
mancate elezioni di fine 2011, e riguarda Bersani. Non è vero che Napolitano
abbia "tradito" il suo partito, perché in realtà su Bersani ricevette
il fermo stop della Germania. La cancelliera Merkel gli fece capire abbastanza
chiaramente che l'Italia aveva bisogno di misure impopolari e Bersani era
"troppo legato ai sindacati", i quali si sarebbero messi di traverso.
I tedeschi avevano in mente un nome soltanto, per il dopo-Berlusconi: quello di
Mario Monti.
La scelta del Quirinale cade dunque sul professore
della Bocconi, preallertato addirittura nel febbraio del 2011. Napolitano gioca
d'astuzia, e per "placare" la Germania con lo strappo meno evidente
possibile, sonda Montimer per il ministero dell'Economia. Ma l'uomo ha un'alta
opinione di sé e si trincera dietro una buona scusa: "Presidente, non ho
un buon rapporto con Berlusconi". A quel punto Bella Napoli gli chiede se
farebbe mai il premier, e quello concede: "Se lo Stato avesse bisogno di
me, io ci sarei".
A novembre, quando Re Giorgio gli affida l'incarico,
il Rigor Montis però fa uno scherzetto al suo mentore: si prepara a fare un
governo del presidente. Ma non del presidente della Repubblica. Del presidente
del Consiglio. Appena Napolitano fiuta l'equivoco, gli manda a Milano all'Hotel
Senato un messaggero fidato, Enrico Letta. Al professore viene spiegato che c'è
un patto politico con i partiti, e che anche a Berlusconi, per non andare a
votare, è stato promesso un certo spazio.
Il resto è storia nota. Il "messaggero"
dell'Hotel Senato, poi pescato a mandare pizzini affettuosi a Monti il giorno
della sua prima fiducia, diventerà il secondo premier "inventato" da
Napolitano. E Matteo Renzi è stato il terzo, anche se nel suo caso Re Giorgio
si è più che altro limitato a rendere possibile l'operazione e a prendere atto
di quello che stava accadendo nel Pd. Adesso che neppure Renzie rischia di
essere capace di arginare Grillo, Napolitano teme veramente di dover capitolare
su quel voto anticipato che, come si è visto, evitò già con successo a fine
2011.
(Fonte)
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