Art. 49.
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale.
Politica = malaffare. Questa è, lo abbiamo detto più
volte, l'equazione che oramai pervade la coscienza della grande
maggioranza del popolo italiano . E la parola politica viene associata
al termine “partito” e così chiunque sia iscritto ad un partito o,
peggio ancora, ricopra un incarico anche minimo in un qualsiasi partito,
viene considerato un traffichino, un imbroglione, un ladro, uno che sta
li per fare solo i propri interessi, per garantire un posto ai propri
figli, o per ottenere qualche prebenda.
E queste idee non appartengono solo a chi è fuori da
qualsiasi partito o non va mai a votare, ma sono condivise anche da chi è
un semplice iscritto ad un partito o un semplice elettore. Secondo
alcune indagini demoscopiche pensa così il 96% degli italiani. Chi fa
politica pensa solo a se stesso, questa la conclusione a cui si giunge
quando si tenta di parlare di politica mentre magari si va al lavoro in
un pullman o si è al bar con gli amici. E i fatti come quelli accaduti
nell'ultima settimana inerenti il furto di ben 13 milioni di
finanziamento pubblico dell'ex partito della Margherita da parte del suo
tesoriere non fanno altro che confermare questi ragionamenti che
vengono anzi gridati a più non posso proprio da quei giornali di destra
che più di altri hanno contribuito a che la situazione politica
diventasse quello che oggi è.
Se
queste sono le idee dominanti, e purtroppo lo sono, ciò significa
che l'art. 49 della nostra Costituzione è stato già distrutto nei
fatti. Non è stato abolito formalmente ma lo è nella coscienza
collettiva degli italiani che rifiutano la politica ed i partiti e
sono oramai pronti psicologicamente ad accettare l'avvento di una
dittatura aperta, con coseguiente abolizione di tutti i partiti, come
fra l'altro dimostrano i dati di consenso molto elevati di cui gode
il governo Monti, che è espressione della dittatura di una ben
precisa classe sociale.Eppure l'articolo 49 esprime idee
difficilmente attaccabili da qualsiasi punto di visto lo si voglia
leggere, da quello etico a quello morale, a quello filosofico a
quello giuridico perchè in esso sono espressi i principi base della
democrazia.
Innanzitutto viene sancito il “diritto di associarsi
liberamente in partiti”. Non ci sono autorizzazioni da chiedere o carte
bollate o tasse da pagare per associarsi in partiti. Non c'è un potere
regio che possa impedirlo, né un partito unico a cui doversi
necessariamente iscrivere pena l'esclusione da qualsiasi posto di lavoro
o la perdita di qualsiasi diritto civile come era nel periodo fascista.
L'articolo 49 parte proprio dall'esperienza drammatica
del regime fascista durante il quale i partiti erano aboliti, c'era un
partito unico a cui bisognava necessariamente essere iscritti, fin dalla
più tenera età ( si cominciava coi balilla fin dalla scuola
elementare), se si voleva evitare di essere perseguitati, di essere
mandati al confino o processati dal Tribunale Speciale.
L'articolo 49 elimina in poche parole cariche di
significato tutte le leggi fasciste che avevano instaurato il regime
mussoliniano, le cosiddette “leggi fascistissime” fra cui il Regio
Decreto 1848/26 che prevedeva lo scioglimento di tutti i partiti,
associazioni e organizzazioni che esplicavano azione contraria al regime
rendendo il Partito Fascista l'unico ammesso.
Nell'articolo 49 ci sono, ancora, altri tre concetti su
cui occorre soffermarsi che sono espressi nella parte conclusiva con la
frase “concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale”.
C'è innanzitutto il concetto espresso dal verbo
“concorrere”, c'è poi il concetto di “metodo democratico”, c'è infine il
concetto di “politica nazionale”.
Cosa significa “concorrere”? Significa innanzitutto che
non può esserci un partito unico. Il verbo “concorrere”, che deriva dal
latino concŭrrere che significa “correre con”, “correre insieme a
qualcuno”, indica l'azione del “dare il proprio contributo a qualcosa”, o
meglio ancora, cooperare, contribuire, partecipare a realizzare
qualcosa insieme ad altri. Nessun partito da solo può avere la
rappresentanza assoluta dell'intera “politica nazionale” che diventa un
bene comune costituzionalmente garantito. C'è quindi sia il concetto di
molteplicità dei partiti che insieme cooperano, sia quello di
relativismo del contributo di ognuno di essi che deve necessariamente
confrontarsi con quello di altri partiti e cioè di altre libere
associazioni di cittadini che con metodo democratico, ecco il secondo
punto, cercano di determinare la politica nazionale, ecco il terzo
punto.
Quindi unità nella molteplicità, bene comune di tutta la
nazione, quello che l'art. 49 chiama “politica nazionale”, che deve
essere l'elemento ispiratore di tutte le iniziative dei partiti e che
per tale motivo non possono avere padroni o essere organizzati o diretti
da logge segrete in mano a gruppi di potere.
Quindi democrazia finalizzata al bene comune e non al
raggiungimento degli interessi di singole classi che utilizzino il loro
potere economico per mettere in discussione il bene comune (cioè la
“politica nazionale”) per favorire i propri interessi personali o di
gruppo sociale.
Tutto quello che dall'inizio degli anni '90 del secolo
scorso ad oggi è stato fatto sul tema dei partiti è dunque palesemente
anticostituzionale, a cominciare dalle leggi elettorali che hanno messo
in discussione proprio lo spirito e la lettera dell'articolo 49, fino
all'ultima che prescrive addirittura l'obbligo per le coalizioni o per i
sindogli partiti di indicare il “candidato premier”, che è una
categoria chiaramente incostituzionale e che ha portato nei simboli di
vari partiti il nome dei capi-proprietari di tali partiti, a destra come
a sinistra, tutte cose che sono violazioni esplicite dell'art. 49 della
Costituzione.
Per uscire dunque dalla situazione nella quale ci troviamo, repetita iuvant,
bisogna ritornare alla Costituzione e al suo rispetto integrale.
Bisogna diventare "partigiani della Costituzione", come ha detto
recentemente il magistrato Antonio Ingroia, sostituto procuratore della
Repubblica di Palermo.
(di Giovanni Sarubbi da www.ildialogo.org)
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