Terzi: «Monti li rispedì in India per i nostri affari: avevamo l'accordo per tenerli in Italia»
«Il governo Renzi si sta addossando una responsabilità enorme, nei confronti del Paese e delle nostre Forze Armate. Con la nostra remissività rischiamo che venga avviato un processo in India per i due marò Latorre e Girone, ipotesi inammissibile. Allo stesso tempo stiamo creando un precedente che finirà per danneggiare anche i nostri alleati». Giulio Terzi di Sant’Agata conosce bene la vicenda dei fucilieri di marina accusati di aver ucciso alcuni pescatori durante un’operazione antipirateria nel febbraio 2012. Per circa un anno l’ha seguita dalla Farnesina, dove ricopriva l’incarico di ministro degli Esteri nel governo di Mario Monti. Ed è proprio per denunciare pubblicamente quello che definisce «il vergognoso voltafaccia» dell’esecutivo, che nel marzo 2013 si dimise.
L’ambasciatore ripercorre gli aspetti oscuri di quella storia. A partire dai «mai chiariti interessi economici» che convinsero Palazzo Chigi a rispedire in India i marò (che nel frattempo erano tornati in Patria in occasione delle elezioni). E questo nonostante ci fossero tutte le condizioni - e a sentire l’ex ministro anche un’intesa di massima con le autorità di Nuova Delhi - per trattenerli in Italia. Oggi, l’ultima novità. La Corte Suprema indiana si è rifiutata di esaminare le richieste dei nostri militari. Dopo essere stato colpito da un ictus, Massimiliano Latorre aveva domandato di prolungare il periodo di convalescenza. Il collega Salvatore Girone, invece, aveva chiesto il permesso di trascorrere il Natale a casa.
Ambasciatore, la notizia la sorprende?
Onestamente era l’ultima cosa che mi aspettavo. E questo perché recentemente ho ascoltato decine di dichiarazioni da parte del presidente del Consiglio e dei ministri degli Esteri in cui si spiegava che i rapporti con il governo indiano erano completamente cambiati. Ci avevano detto che era nata un’intesa e che la strada era ormai tutta in discesa. Oggi invece scopriamo che ai nostri militari non viene concessa neppure una breve licenza per trascorrere il Natale con le famiglie.
Un lungo braccio di ferro che ha inevitabili ripercussioni sulla vita dei due militari. Eppure, sostiene qualcuno, in gioco c’è anche la dignità nazionale.
Quella è stata in gioco fin dall’inizio. La dignità nazionale è stata vilipesa e calpestata dall’incredibile voltafaccia del governo nel marzo 2013. Dopo una lunga serie di azioni diplomatiche, avevamo deciso di trattenere in Italia i due marò fino all’avvio di un arbitrato internazionale. Poi improvvisamente, nel giro di 24 ore, l’esecutivo ha cambiato idea e ha rispedito i militari in India. Ecco, quella scelta ha rappresentato un vulnus enorme per la credibilità del nostro Paese.
Poco dopo lei si dimise in polemica con il governo.
I responsabili di quella scelta hanno ripetutamente dichiarato che si dovevano privilegiare le intese economiche con l’India. Lo ha spiegato il premier Mario Monti e lo ha ribadito il ministro Corrado Passera. Non si poteva rischiare una crisi con l’India che avrebbe danneggiato i nostri affari. Un errore. Del resto anche gli indiani non vedevano l’ora di chiudere questa vicenda. La conferma è negli affidavit che hanno accompagnato il ritorno in Italia dei due marò, a dicembre 2012 e a febbraio 2013. In quei documenti le autorità di Nuova Delhi accettavano un principio chiaro: il governo italiano si impegnava a rispedire in India i due militari unicamente nell’ambito delle proprie prerogative costituzionali.
Questo significa che se la magistratura avesse attivato delle misure cautelati nei confronti di Latorre e Girone, i due fucilieri sarebbero rimasti a casa.
Esattamente. Peraltro gli indiani sapevano che fin dall’ottobre 2012 erano stati avviati due diversi procedimenti penali nei confronti dei marò, dalla procura ordinaria e quella militare di Roma.
Eppure a marzo 2013 il governo decise di far tornare i militari in India.
Nessuno ha mai spiegato i veri motivi dietro a quella decisione. Senza considerare che i marò furono consegnati alle autorità di Nuova Delhi senza alcuna garanzia che la questione fosse risolta in tempi brevi. Tutto è stato gestito in silenzio. Nascondendo la polvere sotto il tappeto e senza mai informare l’opinione pubblica.
Come si poteva risolvere la vicenda?
Con un’azione di arbitrato internazionale. La stessa avviata già nel febbraio 2013, annunciata un mese più tardi e interrotta dalla scellerata decisione di rispedire in India i due fucilieri di marina. Un arbitrato internazionale, come quello che aveva proposto con enfasi anche l’ex ministro Federica Mogherini
Però non è ancora successo nulla.
Ci avevano detto che la sua nomina ad Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri e la politica di sicurezza avrebbe fornito un appoggio fondamentale per la soluzione di questa vicenda. Ma io non l’ho mai sentita prendere una posizione forte su questo argomento. Mai una parola decisa durante i vertici Nato, né durante i consigli europei. Mi sembra di ricordare il vecchio motto francese sull’Alsazia e la Lorena: “Pensarci sempre, non parlarne mai”.
Secondo lei il governo non alza abbastanza la voce?
L’opinione di molti è che al silenzio imposto alla stampa corrisponda l’inazione più assoluta.
Adesso cosa rischiano i due marò?
Andando avanti in questo modo c’è il rischio che alla fine la parte indiana si inventi qualche capo di imputazione. E che venga avviato un processo. Una ipotesi del tutto inammissibile, perché l’India non ha la giurisdizione per questo caso. Ecco, questo è un altro danno. Con la nostra remissività stiamo creando un precedente che danneggerà gli interessi dei nostri stessi alleati. Un precedente secondo il quale dei soldati che svolgono un’azione internazionale come organo di un Paese - in chiave anti pirateria o anti terrorismo - possono essere processati da un altro Stato. Esattamente come accaduto con il governo Letta, il governo Renzi si sta addossando una responsabilità enorme. Nei confronti del nostro Paese e delle nostre forze armate.
(di Marco Sarti -Fonte)
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