Non era mai stato così facile imbattersi all’aeroporto di Firenze, uno scalo secondario, in qualche pezzo grosso del gotha finanziario-imprenditoriale italiano. Lì non come passeggeri, ma per affari e relazioni, da quando è diventato l’ufficio operativo del network renziano, la rete di potere attorno al premier.
Lì c’è l’ufficio di Marco Carrai, presidente di AdF, l’uomo che insieme a Luca Lotti (sottosegretario) e all’avvocato Alberto Bianchi (legale di Renzi, da qualche mese nominato nel Cda di Enel) sta al vertice della piramide renziana. Pur romano da un anno, il network economico lobbistico ruota ancora, in buona parte, su Firenze.
Lì sono i finanziatori storici, gli imprenditori amici, le famiglie patrizie che hanno cullato l’ascesa di Renzi. Per il versante Capitale, invece, bisogna rivolgersi (oltreché a Lotti) al tesoriere nazionale del Pd Francesco Bonifazi, tributarista fiorentino titolare dello studio dove ha lavorato la giovane Maria Elena Boschi, e al vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini, esterno al cosiddetto «giglio magico».
BANCHIERI E IMPRENDITORI
Le ramificazioni partono, storicamente, dall’Ente cassa di Firenze (azionista di Intesa San Paolo) la prima banca dove i renziani mettono piede. Con Carrai consigliere e Jacopo Mazzei presidente, entrambi di famiglie importanti e finanziatori di Renzi. Mazzei ora è consigliere di sorveglianza di Intesa San Paolo. Suo cugino è Lorenzo Bini Smaghi, ex Bce, attualmente presidente della banca d’affari francese Société Générale.
Le ramificazioni partono, storicamente, dall’Ente cassa di Firenze (azionista di Intesa San Paolo) la prima banca dove i renziani mettono piede. Con Carrai consigliere e Jacopo Mazzei presidente, entrambi di famiglie importanti e finanziatori di Renzi. Mazzei ora è consigliere di sorveglianza di Intesa San Paolo. Suo cugino è Lorenzo Bini Smaghi, ex Bce, attualmente presidente della banca d’affari francese Société Générale.
Poi Davide Serra, capo del fondo Algebris (da cui l’Ente cassa comprò 10 milioni in bond), e poi i banchieri accorsi al matrimonio di Carrai. Tutti i più importanti: Palenzona (Unicredit), Viola (Mps), Gian Maria Gros Pietro e Luciano Nebbia (Intesa San Paolo), Marco Morelli (Merrill Lynch Italia). Ancora più lunga la lista di imprenditori amici, facoltosi sponsor di Renzi grazie ai quali ha raccolto più di 5 milioni di euro di donazioni (tra associazioni e cene di autofinanziamento Pd) in pochi anni.
NELLE SOCIETÀ PUBBLICHE
Già a Firenze Renzi si era costruito una rete ristretta di fedelissimi a cui affidare ruoli nelle partecipate comunali. Da premier la linea non è cambiata. Con l’ultima tornata di nomine nelle società del Tesoro ne sono entrati diversi. In Enel è andato Alberto Bianchi, avvocato di Matteo Renzi nonché il presidente della Fondazione Open che per Renzi raccoglie i fondi da donatori privati.
Uno dei quali (con 10mila euro), Fabrizio Landi, ex amministratore delegato di Esaote, azienda leader del biomedicale con sede a Firenze, è finito nel Cda di Finmeccanica. Altro renziano doc è Marco Seracini, uno dei soci fondatori e presidente di un’altra associazione di raccolta fondi per Renzi, NoiLink, che siede ora nel collegio dei sindaci di Eni.
Sempre in Eni, ma nel Cda, c’è un’altra conoscenza renziana, Diva Moriani, amministratore della Fondazione Dinamo, presieduta da Vincenzo Manes, imprenditore e generoso finanziatore di Renzi (62mila euro di donazioni), che lo ha fatto nominare nel 2010 in Aeroporti di Firenze. Altri «leopoldini» sono finiti in Eni e Poste, vale a dire rispettivamente Luigi Zingales e Antonio Campo dall’Orto. Mentre a guidare la macchina legislativa di Palazzo Chigi è arrivato l’ex capo dei vigili di Firenze, la fedele renziana Antonella Manzione. E per Renzi questo era solo il primo giro di nomine da premier.
Quelli romani, noti come «palazzinari», sono da sempre filo-governativi. Il Pd romano, con cui hanno sempre intessuto relazioni, è tenuto a distanza da Renzi, che lo sente estraneo (per ora l’ha commissariato). L’occasione di incontro diretto col segretario è stato a novembre, con la cena di autofinanziamento all’Eur. Lì c’erano (a botte di almeno mille euro a testa) Luca Parnasi, ad del gruppo immobiliare Parsitalia, costruttore del nuovo stadio della Roma, con tutti gli appalti annessi. I fratelli Claudio e Pierluigi Toti, della Toti Invest (si dice interessati a rilevare il Foglio, giornale molto renziano), e poi i Cerasi. Nella cena omologa a Milano, invece, ecco, annunciati ma non pervenuti, i Gavio (autostrade). Poi i costruttori Mattioda, e Manfredi Catella della Hines (immobiliare), padrone di casa della cena milanese.
EDITORI
Con molti giornalisti che sgomitano per essere graditi a Renzi non c’è neppure bisogno di tenersi buoni i proprietari di tv e giornali. Anche qui però di amici ce ne sono in abbondanza. Buoni i rapporti con i due grandi azionisti di Rcs-Corriere della Sera, Bazoli di Intesa San Paolo e Marchionne-Fiat (proprietaria anche della Stampa), stabili con Della Valle, altro azionista Rcs. Sintonia anche con De Benedetti, editore di Repubblica e di diversi giornali locali.
Il sottosegretario Del Rio fu scoperto in visita a casa dell’Ingegnere, che venne poi invitato direttamente da Renzi a Palazzo Chigi. Dalla Rai il premier per ora si è tenuto a distanza, anche se – si racconta a Viale Mazzini – alcuni renziani doc girano già con le liste di proscrizione per i corridoi. Con i vertici di Sky c’è stato un incontro formale, e in passato lo Squalo, Rupert Murdoch, ha speso parole di elogio per Renzi: «Un italiano giovane e brillante». Per il resto, a tenere le fila con gli editori, ci pensa il buon Lotti.
VATICANO
È forse il lato meno coperto del network. Buono il rapporto con il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze (che ancora a dicembre ha detto: «Renzi rappresenta un vento di novità di cui l’Italia aveva bisogno»), ma con le alte sfere vaticane le relazioni sono deboli. Monsignor Renato Boccardo, vescovo di Spoleto-Norcia, conosce bene Agnese Renzi, cattolica molto praticante.
Il solito Carrai poi era sulla terrazza affacciata su San Pietro, per la canonizzazione di papa Giovanni XXIII e papa Giovanni Paolo II, insieme a Francesca Immacolata Chaouqui, voluta da Papa Francesco nella Commissione sui dicasteri economici della Santa Sede, amica di Carrai.
Capitolo Cei: con Bagnasco in scadenza, il riferimento del Papa tra in vescovi è monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Che, finora, non ha dispensato critiche al governo («Basta slogan»). Il vero perno di Renzi nel mondo cattolico, insomma, non è Oltretevere, ma nell’associazionismo, i boy-scout, l’Agesci (uno ascoltato è il direttore del settimanale Vita, Riccardo Bonacina), e col mondo Cl, Compagnia delle opere e anche Opus dei.
STATI UNITI
Terreno di divagazioni cospirazionistiche, il rapporto di Renzi con gli Usa ha un punto fermo nell’amicizia con l’ambasciatore John Philips («Renzi è bravo, mi ricorda Ronald Reagan»), già conosciuto quando era sindaco di Firenze e Philips un ricco villeggiante proprietario di resort nel Senese. Già da presidente della Provincia Renzi ha lavorato per farsi conoscere negli ambienti dei Democratici a Washington (la Clinton), anche sfruttando il ruolo istituzionale di Rutelli, vicepremier e segretario del suo partito (Margherita). Si copre anche con gli ambienti repubblicani, sempre con l’aiuto di «Marchino», il Carrai, amico di Michael Ledeen, intellettuale conservatore membro della Foundation for Defense of Democracies di Washington.
Viaggi, missioni speciali, iniziative a stelle strisce a Firenze. Alcune anche singolari, come «500 anni-500 camere», alloggi gratis per i primi cinquecento americani che faranno richiesta in occasione dei 500 anni del nome «America», o «Cento canti a Washington», cittadini americani che leggono la Divina Commedia. Nel frattempo si muove anche con Londra, col suo mito Tony Blair, attraverso Matt Browne, già direttore del think tank politico di Blair e oggi nel Center for American Progress del clintoniano John Podesta. Un impegno che gli porta bene, nel 2009 il Time si chiede: «La sinistra italiana ha trovato il suo Obama?». Ma neanche loro, forse, immaginavano che in cinque anni sarebbe diventato capo del Pd, radendo al suolo la nomenklatura diessina, e anche premier.
(Fonte)
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