MANTOVA. Il male grida forte. Ma la speranza urla di più. Ha la voce arrochita di don Andrea Gallo. Per lui la gente si mette in fila due ore prima e la coda finisce per avvitarsi su se stessa, mentre il cortile della Cavallerizza è già pieno, colmo, in attesa. Nell’aria c’è profumo di Festivaletteratura, erba tagliata e chiacchiere che si rincorrono sotto il tendone. Parla don Gallo e si zittiscono tutti. Parla don Gallo e viene spontaneo pensare che così dovrebbe essere un prete. Dalla parte degli ultimi e dei disubbidienti, ma senza retorica né vanità. Un po’ sboccato e tanto profondo.
Gramsci, Don Milani, La Boétie, Mario Capanna, la comicità dissacrante di Paolo Rossi, la militanza di padre Alex Zanotelli, l’entusiasmo di Fernanda Pivano, la lezione di Fabrizio De André, la febbre d’amore dei suoi ragazzi, i tossici della comunità di San Benedetto al Porto, Genova. Don Gallo si appassiona a parlare, perde e ritrova il filo, inciampa nei suoi ricordi di studente, marinaio, partigiano. Di uomo che ha vissuto, pregando Dio «di non morire democristiano». Il pubblico lo applaude, lui lo lusinga: «Siete voi lo spettacolo, a Mantova c’è l’Italia che vorrei e che si sta realizzando. Il Paese affonda, ma siamo ancora in tempo».
Il primo pensiero è per Vittorio Arrigoni, l’attivista ucciso a Gaza. La sua eredità è condensata in due parole, un appello così disarmante da suonare rivoluzionario. Restiamo umani. «Voglio essere più umano», ripete don Gallo al microfono, assicurando che il segreto è sapersi «discendenti da un unico ceppo ancestrale». Siamo tutti fratelli e sorelle. Il prete da marciapiede è anche uomo da palco, sa tenere l’attenzione e stemperare l’impegno nella risata, sempre puntuta. Risate come quando confessa di essere il consigliere segreto di Papa Ratzinger, «il pastore tedesco», e racconta di un loro colloquio recente. Del disorientamento di Benedetto XVI circa la condotta di Berlusconi, sempre aiutato, sostenuto, protetto («anche dal nostro predecessore»).
Vicinanza ideologica? Macché, 8 per mille e niente Ici. Ora, però, il boccone è troppo amaro da mandar giù. «Don Andrea, ma secondo te Berlusconi è uomo di fede?». Risposta, «no è Fede che è uomo di Berlusconi».
Impegno, come quando il filo del discorso s’infila nella cruna del G8, «se solo avessimo ascoltato i nostri giovani». I loro dubbi, la loro intelligenza. Possibile che l’unico mondo possibile sia questo? Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio. Mercato selvaggio. Un mondo dove l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne (che don Gallo storpia in «Minchioni») si permette di ricattare gli operai con un referendum che è come una pistola puntata alla tempia: se vincono i sì bene, altrimenti mi porto la fabbrica altrove.
Impegno, risate e colore. Il pubblico invitato ad alzarsi per intonare El pueblo unido jamas sera vencido e l’urlo di battaglia Se non ora, quando? È questa la speranza che grida più forte del male, come ha scritto sulla bacheca della comunità uno dei suoi ragazzi.
Colore e rabbia. C’è anche l’onore dell’ex marinaio a bussare alla coscienza di don Gallo, che denuncia: «Abbiamo accettato d’impacchettare i naufraghi per riconsegnarli a Gheddafi, baciandogli pure la mano».
«Il primato della coscienza personale è dottrina certa, chi dice il contrario è eretico» ruggisce ancora il prete da marciapiede, citando il Concilio Vaticano II. «Andarmene dalla Chiesa cattolica? No, è casa mia, semmai dovrebbe andarsene qualcun’altro. E stasera, quando tornerete a casa, date una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza di Papa Gallo». Amen.
da: Gazzetta di Mantova del 08 settembre 2011(Igor Cipollina)
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