sabato 5 maggio 2012

Antropologia del Trota l’italiota e del pezzo di carta

.... ovvero uno di quelli che l'hanno proprio duro, ..... il cervello s'intende.


Non poteva esserci miglior pubblicità che il caso della laurea albanese del Trota, alle ragioni di quanti difendiamo il valore legale del titolo di studio e la certificazione pubblica della qualità della formazione.
 
La notizia della laurea comprata da Renzo Bossi all’Università Kristal di Tirana, dove si è laureato in 13 mesi così a distanza da non esserci andato neanche per la Laurea, è la miglior chiosa alla parabola storica della Lega Nord. Come per il fascismo, nato anche dalla critica radicale dell’italietta liberale e degli accomodamenti familistici di questa, anche la Lega Nord replica in farsa il peggio dei fenomeni che pretendeva denunciare.
Quel “familismo amorale” che studi sociologici orientati attribuivano al mezzogiorno, individuando di conseguenza una parte sana del paese stranamente immune geograficamente dai difetti del paese, invece allignano senza eccezione ovunque. I “figli di papà” e il “tengo famiglia” sono gli articolo uno della Costituzione materiale del paese dagli stati preunitari all’Italia liberale, da quella fascista a quella repubblicana, da Gemonio a Lampedusa, da Imperia a Otranto.

Il caso della laurea albanese testimonia che nel Nord dove la polemica anticulturale è stata più forte in questi anni e dove l’operaio (apparentemente) non desiderava avere più il figlio dottore, proprio il massimo censore del “culturame” a colpi di corna, rutti e gesti dell’ombrello, si abbarbichi al pezzo di carta per il figlio ipodotato come riconoscimento disprezzato eppure indispensabile. Non poteva esserci miglior pubblicità che il caso della laurea del Trota, alle ragioni di quanti difendiamo il valore legale del titolo di studio e la certificazione pubblica della qualità della formazione.
In Italia, il vero pezzo di carta, con buona pace dei bocconiani,  è e sarà la carta d’identità, familiare. La supposizione che il figlio di Bossi possa usare la sua improbabile laurea testimonia che l’abolizione del valore legale creerebbe una giungla nella quale non i migliori (dotati di lauree conferite da atenei considerati “migliori”) ma i più forti (privilegiati familisticamente, magari favoriti spudoratamente da atenei interessati ad averli come allievi) sarebbero avvantaggiati. È solo il valore legale, la rigida certificazione di percorsi di studio comparabili (quale quello che porta al riconoscimento di lauree straniere) a garantire dai peggiori abusi oltre a garantire il rispetto del diritto costituzionale allo studio dei capaci e meritevoli anche se privi di mezzi.
Dopo vent’anni nei quali la Lega Nord ha violato i diritti civili di migliaia di insegnanti meridionali, facendo barricate per impedire loro di lavorare e farneticando di scuole padane dove insegnare il dialetto della Val Brembana, proprio il figlio del capo va a prendersi la laurea in Albania. È all’ennesima potenza una replica del caso di Mariastella Gelmini, anch’essa sguaiatamente antimeridionale, che però prese l’abilitazione d’avvocato a Reggio Calabria “perché più facile”.
Si capisce che un’Italia per decenni governata dal diplomato alla scuola Radio Elettra Umberto Bossi o dalla pseudo-avvocato Gelmini abbia per anni avuto nella scuola pubblica, nell’Università e nella ricerca scientifica il peggior nemico. Quanta soggezione deve fare alla Gelmini un vero avvocato, quanto marziano deve sembrare al Trota un vero laureato in marketing! Ciò non c’entra nulla con la legittimità del non aver potuto studiare, per censo o perché la vita ha scelto così. C’entra col non aver voluto studiare ma volersi mostrarsi per quello che non si è. Potremmo farci un’alzata di spalla delle frustrazioni di Gelmini o Bossi se non avessero contribuito in questi anni ad affossare il sistema educativo e la ricerca italiana.
Avrebbero potuto mandarlo ovunque, gli Stati Uniti pullulano di college di prima o di quarta serie dove i rampolli delle classi dirigenti mondiali prendono i pezzi di carta con i quali subentrare ai loro papà. Ha scelto di mandarlo in Albania, paese popolato da una razza inferiore per anni simbolo della politica xenofobica della Lega. Dovremmo ringraziarlo il Rettore dell’Università Kristal per aver venduto quel pezzo di carta a Renzo Bossi pagato dai contribuenti di Bari e di Arezzo. Ha dimostrato quanto ipocrita e strumentale alla preparazione culturale subalterna dei propri elettori fosse (oltretutto) il razzismo della Lega. Un razzismo finalizzato al solo mantenimento dei privilegi della classe dirigente per sé e per i propri figli.
Il male assoluto di questo paese non appare così tanto essere l’infimo livello della politica, la corruzione dilagante, l’evasione fiscale, ma quella cristallizzazione premoderna di una società dove ognuno è destinato a rimanere a vita nella casta di provenienza. Demolita la speranza del sole dell’avvenire socialista e disciolto il sogno americano della promozione individualista offerta dal neoliberismo, ognuno stia come sta. Senza ascensore sociale (e non se ne conosce altro che l’istruzione) l’Italia è destinata a essere governata dai Trota, dalle Mariastella e dai Piersilvio, che restano “razza padrona”. Forse il Trota non sarà mai ministro (speriamo…) ma la Porche in garage non gliela leva più nessuno.
C’è qualcosa di perverso in questa famiglia italiana che non si limita (come fosse poco) a dare strumenti ai propri figli per farsi strada nella vita ma, non appena può, lavora per costruire a questi autostrade tra le macerie di un paese, l’Italia, che dobbiamo ricostruire da zero. Va da sé che per ogni laurea comprata c’è un laureato vero che resta disoccupato, per ogni figlio di papà imposto, c’è una vocazione altrui frustrata. È anche per fare spazio ai trota (i trota figli di notai, medici, architetti, politici, docenti universitari…) che un’intera generazione di bravi laureati fugge all’estero o è confinata nella precarietà.
Bisognerebbe inventarsi qualcosa, magari mandarli fin da bambini in un kibbutz in Galilea, questi figli tutt’altro che degeneri delle nostre classi dirigenti. Chissà, magari in un kibbutz di quelli di una volta, senza papà, senza scorta e senza laurea taroccata, forse anche Renzo Bossi imparerebbe a vivere.
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