Centrale dei veleni: studio “dimenticato”
“Ignorato” dal Comune un documento di Enel del 2001 che rilevava sul territorio metalli pesanti con possibili rischi per la salute
Arsenico
e cadmio al limite delle concentrazioni naturali, berillio, anche se basso, che
contribuisce ad aumentare l’incidenza del tumore ai polmoni, cromo con
“alterazione media” in molte aree e “alterazione massima” nella zona urbana di
Monfalcone, anche questo agente tumorale, piombo con “alterazione alta”
concentrato maggiormente a Monfalcone Nord e Nord-Ovest, Jamiano e Doberdò. Ci
sono anche vanadio, alterazione “media diffusa”, metallo tossico, mercurio con
“alterazione medio-alta” e “molto alta” nel settore nord occidentale, Jamiano e
Doberdò. Una lista di metalli pesanti che fa impressione quelli elencati nello
studio di “bioaccumulo lichenico” commissionato dall’Enel che aveva incaricato
un’azienda specializzata, la
Strategie ambientali di Roma, di realizzare e gestire una
rete di biomonitoraggio del territorio circostante la centrale elettrica di
Monfalcone.
Lo studio risale al 1999, l’Enel che gestiva l’impianto a carbone lo aveva realizzato come prevedevano le prescrizioni di allora, le attività di biomonitoraggio sono iniziate nel 1999 e ci sono state ben tre campagne (1999, 2000 e 2001). Nel febbraio 2001 l’Enel ha depositato gli elaborati al Comune di Monfalcone. Torniamo al 2013, era il luglio scorso, e i ricercatori dell’Università di Trieste incaricati (un mese prima) dall’imprenditore della Sbe Alessandro Vescovini di fare una ricerca identica per verificare la contaminazione dei metalli pesanti sul territorio, quando hanno “tirato fuori” questo studio, tra le 12mila pagine di materiale presente in Comune (analisi, dati tecnici, procedure autorizzative utili per una storiografia) sono sobbalzati.
Era stato già fatto uno studio, i risultati erano stati depositati in Comune, ma a quanto sembra erano solo in pochi a saperlo. Ed ecco sorgere il problema. E a sollevarlo è lo stesso Vescovini: «Stranamente di questo studio non si fa alcuna menzione nell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) del 2001 per la stessa centrale, ma nemmeno in quella del 2009 al contrario assai prolissa di informazioni inerenti gli innoqui NoX e SoX». Vescovini ha chiesto che comunque vada avanti lo studio dell’Università (i risultati sono annunciati fra un mese), ma ieri la scoperta ha scatenato un polverone sui social network, in particolare Facebook e ha sollevato domande pesanti. «Ma perchè questi documenti sono rimasti a dormire in Comune fino a oggi?».
Ma soprattutto perchè nessuno ne ha mai parlato? Analisi, fatte nel 2001 (tra i protagonisti il professor Nimis del Dipartimento di Biologia vegetale della stessa Università di Trieste) che spiegano come tutte queste sostanze, ovvero questi metalli, lo ribadisce Vescovini: «Sono contenuti nel carbone» e sono stati sparsi nell’aria dopo essere usciti con il fumo dal camino della centrale e sono “ricaduti” sul territorio, concentrandosi in alcune zone piuttosto che altre, finendo nell’acqua, sulle piante, ma anche sulle verdure e la frutta degli orti, dal mare fino al Carso. Qualcuno probabilmente lo sapeva, per questo ricorda Vescovini «nel 2003, e forse non è stato un caso, furono prelevati campioni di sangue alla popolazione alla ricerca di una fantomatica contaminazione da selenio e nel 2004, grazie alla giunta Illy, venne firmato il famoso protocollo con Endesa. Ma poi le carte sono state dimenticate in un cassetto...». Una quadro, considerati gli anni di esercizio della centrale a carbone e che ora A2A si propone di ristrutturare, che getta ombre inquietanti sui possibili rischi per la salute della cittadinanza sui quali continua a non esserci chiarezza.
Un fatto gravissimo soprattutto a Monfalcone città colpita dalla tragedia dell’amianto e dalle patologie legate all’asbestosi, che sembra circondata da una maledizione. Non bastava l’amianto, anche i possibili rischi della centrale a carbone. E ciò che preoccupa è che i rischi di malattia, secondo gli studiosi, si moltiplicano. Sono gli stessi ricercatori dell’Università di Trieste ad averlo evidenziato: nel caso di una persona ammalata di asbestosi il rischio che sorga il tumore, in un ambiente normale, è circa del 9%. Ma nel caso viva in una zona inquinata il rischio sale al 50%.
Azione
legale contro
Lo studio risale al 1999, l’Enel che gestiva l’impianto a carbone lo aveva realizzato come prevedevano le prescrizioni di allora, le attività di biomonitoraggio sono iniziate nel 1999 e ci sono state ben tre campagne (1999, 2000 e 2001). Nel febbraio 2001 l’Enel ha depositato gli elaborati al Comune di Monfalcone. Torniamo al 2013, era il luglio scorso, e i ricercatori dell’Università di Trieste incaricati (un mese prima) dall’imprenditore della Sbe Alessandro Vescovini di fare una ricerca identica per verificare la contaminazione dei metalli pesanti sul territorio, quando hanno “tirato fuori” questo studio, tra le 12mila pagine di materiale presente in Comune (analisi, dati tecnici, procedure autorizzative utili per una storiografia) sono sobbalzati.
Era stato già fatto uno studio, i risultati erano stati depositati in Comune, ma a quanto sembra erano solo in pochi a saperlo. Ed ecco sorgere il problema. E a sollevarlo è lo stesso Vescovini: «Stranamente di questo studio non si fa alcuna menzione nell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) del 2001 per la stessa centrale, ma nemmeno in quella del 2009 al contrario assai prolissa di informazioni inerenti gli innoqui NoX e SoX». Vescovini ha chiesto che comunque vada avanti lo studio dell’Università (i risultati sono annunciati fra un mese), ma ieri la scoperta ha scatenato un polverone sui social network, in particolare Facebook e ha sollevato domande pesanti. «Ma perchè questi documenti sono rimasti a dormire in Comune fino a oggi?».
Ma soprattutto perchè nessuno ne ha mai parlato? Analisi, fatte nel 2001 (tra i protagonisti il professor Nimis del Dipartimento di Biologia vegetale della stessa Università di Trieste) che spiegano come tutte queste sostanze, ovvero questi metalli, lo ribadisce Vescovini: «Sono contenuti nel carbone» e sono stati sparsi nell’aria dopo essere usciti con il fumo dal camino della centrale e sono “ricaduti” sul territorio, concentrandosi in alcune zone piuttosto che altre, finendo nell’acqua, sulle piante, ma anche sulle verdure e la frutta degli orti, dal mare fino al Carso. Qualcuno probabilmente lo sapeva, per questo ricorda Vescovini «nel 2003, e forse non è stato un caso, furono prelevati campioni di sangue alla popolazione alla ricerca di una fantomatica contaminazione da selenio e nel 2004, grazie alla giunta Illy, venne firmato il famoso protocollo con Endesa. Ma poi le carte sono state dimenticate in un cassetto...». Una quadro, considerati gli anni di esercizio della centrale a carbone e che ora A2A si propone di ristrutturare, che getta ombre inquietanti sui possibili rischi per la salute della cittadinanza sui quali continua a non esserci chiarezza.
Un fatto gravissimo soprattutto a Monfalcone città colpita dalla tragedia dell’amianto e dalle patologie legate all’asbestosi, che sembra circondata da una maledizione. Non bastava l’amianto, anche i possibili rischi della centrale a carbone. E ciò che preoccupa è che i rischi di malattia, secondo gli studiosi, si moltiplicano. Sono gli stessi ricercatori dell’Università di Trieste ad averlo evidenziato: nel caso di una persona ammalata di asbestosi il rischio che sorga il tumore, in un ambiente normale, è circa del 9%. Ma nel caso viva in una zona inquinata il rischio sale al 50%.
Persi: non ricordo. Pizzolitto: mai visto
I
due sindaci allora in carica a scavalco nel 2001 non sanno spiegare che fine
aveva fatto il dossier
Adriano
Persi ricorda appena che a quei tempi era in ballo uno studio realizzato
sfruttando la capacità bioaccumulatrice di sostanze inquinanti dei licheni. Ma
la memoria poi non lo soccorre, a distanza di oltre dieci anni. «Certamente -
ha spiegato Persi - l’allora assessore Corrado Altran potrebbe saperne di più».
E Gianfranco Pizzolitto, da parte sua, andando a scavare nella memoria, ha
argomentato: «Di quello studio non ne ero a conoscenza. Se così fosse stato,
avrei quantomeno avvisato chi di dovere, non sarei certo stato a guardare».
Insomma, quell’indagine in merito ai metalli pesanti presenti nel territorio monfalconese,
commissionata da Enel allora gestore dell’impianto a carbone, e depositata in
Comune nel febbraio 2001, non sembra aver lasciato traccia tra i sindaci di
allora.
Eppure il “dossier” in questione proviene proprio dagli archivi
dell’ente locale. Ieri negli uffici erano in corso le verifiche di ricerca di
quello studio. Tra il 1999 e il 2001, durante il quale fu eseguito il
monitoraggio, la città visse la fase di “passaggio delle consegne” del
centrosinistra che nel maggio del 2001 vide l’insediamento di Pizzolitto, ad
ereditare l’amministrazione guidata da Persi. E Persi, che nel febbraio di
quell’anno era ancora in carica, è rimasto sul vago: «Al momento, purtroppo,
non sono in grado di ricostruire quel periodo e quindi il percorso e l’esito dello
studio. Ricordo solo che si trattava di un’indagine basata sull’utilizzo dei
licheni, in grado di rilevare i metalli pesanti».
Persi ha aggiunto: «Il
problema della centrale, comunque, era ben presente, tanto che seguì la fase
relativa all’installazione in città del gas metano, e sappiamo tutti come finì
quel progetto, bocciato da un referendum popolare». Pizzolitto, da parte sua,
subentrando nel maggio di quell’anno ribadisce di non saperne nulla: «Quello
studio - ha spiegato - sul mio tavolo quand’ero sindaco non è mai arrivato.
Diversamente, qualora vi fossero stati elementi gravi ed evidenti, avrei non
solo resi pubblici i dati emersi, ma avrei anche provveduto a convocare una
conferenza dei servizi. Del resto - ha aggiunto - come sarebbe stato possibile
un errore del genere, un gesto di irresponsabilità e di insensibilità? No, non
è proprio possibile. Purtroppo, quella questione non appartiene al periodo
della mia amministrazione.
È peraltro plausibile, visto che ero subentrato a
ricerca eseguita. Ero, infatti, diventato sindaco nel maggio del 2001 e il
documento non mi è mai stato presentato, nè l’ho mai visto». Pizzolitto ha poi
osservato: «Per quanto mi riguarda, avevamo comunque fatto eseguire interventi
di rilevamento da parte dell’Arpa. Con l’allora Endesa avevamo anche cercato di
mettere in piedi un monitoraggio capillare, ma allora la Provincia non ritenne
sensato avviare un progetto assieme alla proprietà della centrale».
Azione
legale contro la Via
di 12 anni fa
È
stata una riunione decisamente lunga e articolata. Finchè, ad un certo punto,
s’è anche fatto riferimento ad una sorta di «riserva di adire alle vie legali
per invalidare la Via
dell’epoca». C’erano un po’ tutti, ieri in Commissione provinciale ambiente,
era presente anche l’Associazione del Rione Enel, con il suo presidente, il
vice e altri due componenti del direttivo. E quando Alessandro Vescovini ha
snocciolato tutti i dati contenuti nello studio sui metalli pesanti assegnato
da Enel a un’azienda specializzata tra il 1999 e il 2001, studio scoperto dai
ricercatori ai quali l’imprenditore monfalconese ha commissionato un’indagine
sulla centrale termoelettrica, la sorpresa è stata generale. Chi era a
conoscenza di quello studio presentato nel febbraio del 2001 in Comune? Era mai
stato reso pubblico? E cosa poteva significare allora, anche ai fini delle
normative vigenti all’epoca? Certo è che gli interrogativi si sono susseguiti,
di fronte all’incalzare delle informazioni fornite da Vescovini. Sono risuonate
parole come piombo, mercurio, vanadio, cromo, berillio, con tanto di
“quantificazioni” tracciate sull’intero territorio, da Monfalcone fino a
Doberdò e Iamiano. Metalli tossici, agenti tumorali. Il consigliere provinciale
Fabio Del Bello ha presentato uno specifico ordine del giorno, per approfondire
tutta la questione. Fino a prospettare l’ipotesi di questa sorta di azione
legale “retroattiva”.
(Tratto da: Fonte)
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