Prima
verità: i sistemi di welfare tradizionali, data la demografia e il mercato del
lavoro, non sono più sostenibili. Almeno come li conosciamo adesso. Si è
assistito a un'inevitabile redistribuzione del rischio verso gli individui. Ci
piaccia o no, non c'è altra soluzione, anche se si può dissentire sugli effetti
distributivi e sociali. Al rischio economico si sono aggiunti nuovi rischi:
quello di longevità e quello politico. E siamo costretti a ripensare il ruolo
dello stato, ad esempio, come provider di strumenti finanziari a lungo termine.
Seconda
verità: le riforme pensionistiche recenti hanno molti meriti. Ma sono state
introdotte con un errore sistematico: i sistemi a ripartizione devono adeguarsi
alle condizioni del mercato del lavoro, alle caratteristiche reddituali e
occupazionali delle persone su cui verrà effettuato il prelievo contributivo -
una carriera regolare di 40 anni, semplicemente, non esiste più!
Terza
verità: la verità innanzitutto! È ora di dire come stanno le cose. Va promossa
una campagna informativa ampia su primo e secondo pilastro, spedita la busta
arancione - molte volte annunciata ma mai realizzata. L'Inps si dichiara
pronta! Bene, la si faccia partire. Tuttavia, per varie ragioni ormai note -
inerzia, ignoranza, sottostima, impossibilità a risparmiare ecc. - i
lavoratori, anche informati, potrebbero non aderire ai fondi pensione e agli
strumenti di welfare integrato. Quindi, come risolviamo il dilemma delle
adesioni? Con la semi-obbligatorietà? Spingendo per un'adesione contrattuale
con contributo datoriale? E per chi è fuori dal mercato del lavoro o ha basso
livello di reddito che facciamo? È ora di discutere seriamente le possibili
opzioni.
Quarta
verità: il decollo dei fondi pensione è stato un successo ma hanno aderito i
lavoratori più forti e protetti: in prevalenza, uomini, intorno ai 50 anni, del
Nord, di aziende con molti occupati, dipendenti privati, vicini al sindacato e
con altri investimenti finanziari. È una sorpresa o un effetto voluto? Che
contiamo di fare?
Quinta
verità: gli aggiustamenti vanno realizzati subito, il prima possibile, perché
l'età del median voter passerà da 44 a circa 55 anni nel 2060 (Eu
15). Perciò, l'opportunità di ulteriori aggiustamenti si restringe dato il
potere elettorale crescente dei pensionati. Va esplicitamente previsto un
meccanismo di solidarietà e perciò ridisegnato il sistema pensionistico su 3
pilastri: con un primo pilastro di base, con precise condizioni di accesso
(anzianità/contribuzione); il secondo a ripartizione contributivo obbligatorio
e il terzo (fondi pensione, sanitari), con natura volontaria.
La
sesta: la finanza per lo sviluppo. I fondi pensione hanno investito i propri
asset in obbligazioni pubbliche e azionarie in prevalenza estere, con scarso
beneficio per l'economia italiana. Va allora individuata una soluzione di
mercato, volontaria, senza vincoli di portafoglio, per far affluire le risorse
alle Pmi; che metta insieme domanda e offerta (fondo Pmi, mini-bond, fondo di
debito, private equities ecc.). Questa soluzione andrebbe proposta dai fondi
pensione il prima possibile,per smontare il rischio politico e le
"tentazioni polacche" dei governi.
Infine,
l'idea naïve su Tfr in busta paga e previdenza complementare all'Inps. Sono due
idee sbagliate. Il Tfr in busta paga priverebbe di risorse le imprese e i fondi
pensione ed è tutto da dimostrare che in questa situazione sarebbe speso e non
risparmiato. Devolvere il patrimonio dei fondi pensione all'Inps è invece
semplicemente una follia - non per l'Inps in sé, che fa bene il proprio lavoro,
ma per altri motivi. Non sarebbe una vera entrata - andrebbe restituita con una
remunerazione - a meno di non coltivare l'idea di un sequestro! Il vero punto
cruciale è la sua gestione: si pensa a un fondo a capitalizzazione o uno a
ripartizione - come il fondo di tesoreria previsto dal 2007? L'utilizzo in un
fondo a ripartizione farebbe venire meno il possibile effetto sui mercati
finanziari e l'economia, mentre la riproposizione dell'idea di un fondo
pubblico a capitalizzazione sarebbe inopportuna per vari motivi - chi
sceglierebbe gli investimenti? Con quali criteri? Perché lo stato dovrebbe
gestire in maniera più efficiente le risorse rispetto ai fondi pensione? Il
punto delicato è la governance economica, il rischio che gli investimenti siano
decisi con finalità di politica economica, anche legittime, e non con quelle di
prudenza, sana gestione e massimizzazione dei rendimenti. I sistemi
pensionistici misti sono superiori, sotto diversi profili, a quelli solo a
ripartizione o a capitalizzazione: per la diversificazione dei rischi che
garantiscono, sicuramente per i vantaggi che offrono al processo di selezione degli
investimenti e alla minimizzazione del rischio politico.
(Fonte)
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