Telecom, a rischio 16mila posti di lavoro
Il dossier della Cgil sul passaggio alla spagnola Telefonica. Possibile addio ai call center e creazione di una newco pubblica o a capitale misto per gestire la rete
Il passaggio di Telecom sotto il controllo di Telefonica rischia di lasciare sul campo oltre 16 mila posti di lavoro tra esuberi e licenziamenti. Il dato emerge da un dossier della Cgil che analizza lo statu quo della compagnia telefonica italiana e mette sul tappeto le proiezioni relative ai livelli di tenuta occupazionale.
Per mesi il managment di Telecom ha tentato di rassicurare sindacati e governo sul tema, continuando a sostenere che non ci sarà alcun taglio. Parole difficili da accettare anche perché le prime scosse telluriche si sono abbattute proprio sui vertici della compagnia, con l’addio dopo sette anni e mezzo di Franco Bernabè e i pieni poteri a Marco Patuano che, in ogni caso, si presenta alla nuova proprietà spagnola con ricavi crollati del 18 per cento nell’ultimo triennio.
Per mesi il managment di Telecom ha tentato di rassicurare sindacati e governo sul tema, continuando a sostenere che non ci sarà alcun taglio. Parole difficili da accettare anche perché le prime scosse telluriche si sono abbattute proprio sui vertici della compagnia, con l’addio dopo sette anni e mezzo di Franco Bernabè e i pieni poteri a Marco Patuano che, in ogni caso, si presenta alla nuova proprietà spagnola con ricavi crollati del 18 per cento nell’ultimo triennio.
Sul fronte dei livelli occupazionali di Telecom, le previsioni formulate dal sindacato si basano su due fattori. Prima di tutto si tiene conto della possibile procedura di scorporo della rete. Poi, si riflette sulla possibilità che la compagnia spagnola riorganizzi Telecom secondo il modello già applicato a Madrid, con il possibile “adios” ai call center e la marginalizzazione delle società satellite che si occupano di informatica.
Sino agli anni novanta era il quinto operatore mondiale della telefonia, per investimenti, tecnologie e quote di mercato. Ora l’emorragia di posti di lavoro sembra inarrestabile. Secondo i dati esposti dal sindacato rosso, dalla privatizzazione Telecom del 1997 sino ad oggi, il gruppo ha tagliato più di 70 mila posti di lavoro. Uscite che sono state realizzate in gran parte attraverso l'utilizzo degli ammortizzatori sociali, con un costo a carico della collettività - come ricorda il dossier sindacale - tutt'altro che trascurabile.
In queste ore decisive per il futuro della compagnia telefonica, al centro di tutto c’è lo scorporo della rete. Come si intende procedere? La prima strategia prevede la costituzione di una newco finanziata dalla mano pubblica attraverso la Cassa Depositi e prestiti. L’opzione alternativa consiste nel far accedere al pacchetto azionario della newco tutti gli operatori telefonici presenti sul mercato.
Ma è una ben magra consolazione per i sindacati, immaginare che l’impatto degli esuberi possa essere assorbito dalla costituzione di una newco di scopo per gestire proprio la rete.
Prima di tutto perché entrambe le opzioni (newco pubblica o a capitale misto) consegnerebbero all’Italia un primato in negativo: “in nessun Paese al mondo – spiega il dossier riservato - si è provveduto a scorporare la rete d'accesso dalla pancia dell'operatore telefonico, l'Italia rischierebbe di essere la cavia di un modello che nessuno ha adottato”. In pratica la cessione della rete sembra un mostro perfetto, capace di divorare tutto, posti di lavoro e reputazione del Paese in primis.
Qualsiasi scelta si prenda sul futuro dell’infrastruttura di rete esiste il rischio concreto di indebolire Telecom e rendere l’Italia sempre più marginale rispetto agli altri paesi europei nel campo delle tecnologie della comunicazione 2.0. Se nella costituzione della società si arrivasse a coinvolgere tutti gli operatori del mercato, è evidente che il “condominio virtuale” sarebbe paralizzato dai conflitti d'interesse, su dove, come e quando investire, e dai costi di “noleggio” della rete. Perché ogni operatore punterebbe ad avere costi di affitto bassi.
L’altro percorso, ovvero il lascito in mano pubblica della newco per la rete, è per i sindacati uno scenario ancora peggiore: il meccanismo attuale prevede che il possessore della rete chieda prezzi di "affitto" alti e gli operatori alternativi invochino prezzi bassi. Con la newco pubblica proprietaria, tutti gli operatori avrebbero interesse ad abbassare i costi del canone. La newco potrebbe diventare l’ennesimo carrozzone di Stato verso cui pompare ingenti risorse per gli investimenti nella modernizzazione delle infrastrutture, investimenti che non potranno in ogni caso essere fermati, per rispettare quanto previsto dall’Agenda Digitale italiana. E siccome la rete va pagata e non può essere espropriata, uno scenario di questo tipo consentirebbe a Telefonica di rimuovere proprio il ramo aziendale che richiede maggiori investimenti.
Basta dare uno sguardo ai bilanci di Telecom per scoprire che negli ultimi sette anni, in quel settore, sono stati investiti almeno 18 miliardi. Così, senza il peso della rincorsa tecnologica a tutti i costi, la compagnia spagnola si troverebbe ad aver acquistato un pezzo di mercato traendone, addirittura, un guadagno economico e costi di esercizio ridotti al minimo. In fondo, niente di nuovo. Il copione ricorda un po’ le vecchie scalate a debito su Telecom, iniziate dal 1997, che hanno indebolito la tenuta finanziaria di Telecom, ingigantendo il debito e distruggendo decine di migliaia di posti di lavoro.
(Fonte)
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