Quella
che segue è un’intervista esclusiva, realizzata da Anna Maria Turi a
Falco Accame, già capitano della Marina e parlamentare, oggi presidente
dell’ANA-VAVAF. Accame parla dell’uranio impoverito, dei suoi effetti
sulla salute e del numero dei militari italiani colpiti – numero molto
più alto di quello che solitamente trapela nella stampa.
Che
cos’è l’uranio impoverito?
È una
scoria nucleare o rifiuto radioattivo, costituito dal materiale di
scarto che resta (come residuo) dopo il processo di arricchimento
dell’uranio naturale. Ha un costo limitatissimo in quanto “scoria”.
In campo militare è usato per la costruzione di proiettili e di
corazze. Ha un’alta densità (circa 1,7 volte quella del piombo).
Tale densità ne rende più efficace la capacità di penetrazione
(superiore anche a quella del tungsteno, metallo generalmente usato
negli armamenti tradizionali). Inoltre l’uranio è piroforo: ha
cioè la caratteristica di prendere fuoco spontaneamente nell’impatto
con un bersaglio resistente. In questo impatto può raggiungere
temperature dell’ordine dei 3000 gradi e produrre un aerosol
(polvere di particelle di ossido di uranio, in gergo scientifico:
“particolato”). Le piccolissime particelle (nanoparticelle) sono
facilmente inalate e ingerite perché limitata è l’efficacia dei
filtri. Peraltro anche il maneggio a freddo è pericoloso perché, ad
esempio sulla superficie di un proiettile, si sviluppa ossido di
uranio. Di qui la necessità di impiego delle sopraccennate misure di
protezione. L’Italia fu edotta dalla NATO già nel 1984 dei rischi
connessi al maneggio di uranio. L’uranio impoverito emette raggi
beta, gamma ed alfa (questi ultimi sono i più dannosi). L’uranio
presenta sia una pericolosità chimica per via della sua natura di
“metallo pesante”, sia una pericolosità di tipo fisico, in
quanto “radiante”.
A
che punto è la ricerca sugli effetti che l’uso dell’uranio
impoverito ha sulla salute umana e sull’ambiente?
Nei
paesi dove la ricerca sanitaria è più avanzata, come USA, Gran
Bretagna, Canada e Francia, sono stati effettuati numerosi studi. In
Italia, almeno a quanto è dato conoscere, è stato dato corso ad uno
studio, lo studio Sigmun, del quale da cinque anni aspettiamo
l’esito. La “Commissione Mandelli” eseguì un lavoro statistico
sui casi di uranio impoverito, ma purtroppo fu affetta da un insieme
di rilevanti manchevolezze. In genere possiamo comunque dire che in
Italia l’analisi del problema non è stata esente da
superficialità. Possiamo ad esempio in proposito menzionare che in
Sardegna fu deciso di individuare la radioattività eventualmente
presente nei poligoni. In particolare venne preso in esame il
poligono di Salto di Quirra, che ha una superficie di 135 km2.
Ma come dati di partenza per l’analisi ci si limitò a raccogliere
tre secchielli di terra!
Quale
Paese ha preso per primo le necessarie misure precauzionali? L’Italia
è stata tenuta al corrente?
Come ho
detto, le prime misure di protezione che vennero rese note in Italia
risalgono al 1984 e furono a noi inviate dalla NATO. Siamo in
possesso di questo testo. Successivamente vennero emanate, come sopra
citato, le norme edite in Somalia il 14 ottobre 1993. Come sopra
accennato non si è mai saputo con certezza se queste norme furono
fatte conoscere dagli Usa anche agli altri paesi partecipanti
all’operazione “Unosom”. In Somalia vennero inviati contingenti
da numerosissimi paesi (credo 41). Un quesito in proposito è stato
mosso dall’Anavafaf all’Ambasciata USA a Roma.
Approvando
il Decreto Legge sulle missioni internazionali, i vertici delle Forze
Armate sono stati deresponsabilizzati per quanto riguarda le vittime
dell’uranio impoverito. Che cosa rimane da fare?
Questa
domanda getta l’attenzione su un problema delicatissimo: quello
dell’uso di misure di protezione nei riguardi di chi (militari e
civili) si trova ad operare in zone colpite da armi all’uranio
impoverito. Gli Stati Uniti dopo che nella prima guerra del Golfo del
1991 si accorsero che molti dei loro militari tornati dalla guerra si
erano ammalati di gravi malformazioni che toccarono anche la nascita
dei figli (sono nati molti bambini con malformazioni) conseguenza di
danni genetici, adottarono già dal 14 ottobre 1993 (almeno da quanto
ci è dato conoscere), delle norme di protezione rigidissime che
implicano di indossare una tuta molto fitta (da lavare dopo ogni
giorno di operazione), occhiali (a perdere), maschere (a perdere),
guanti. In determinate situazioni occorre anche servizi di
soprascarpe (a perdere). Delle norme edite nel 1993 in Somalia
abbiamo copia. Ma in Somalia queste norme, almeno a quanto sappiamo,
non vennero messe a conoscenza dei reparti italiani che quindi non le
adottarono. Il Generale Fiore in un’intervista a “Famiglia
Cristiana” (n. 15 del 2001) confermò questa situazione. Alcuni dei
nostri militari che operarono in Somalia hanno affermato che i
militari degli Stati Uniti, in condizioni operative, adottavano le
misure anche a 40° all’ombra. Ai nostri militari che ponevano
queste domande le risposte erano del tipo: gli americani sono
fanatici. Il Tribunale Civile di Firenze in un procedimento che si
riferiva a un paracadutista che si era ammalato di un tumore ed aveva
operato in Somalia (G.B. Marica) ha richiesto al Ministero della
Difesa (con una sentenza del 17 dicembre 2008, riportata sul sito
Altalex.it) di effettuare un risarcimento di 545 mila euro perché
non erano state adottate le misure di protezione. Esistevano quindi
perciò delle responsabilità relativamente a quanto accaduto.
Le
associazioni di cui lei è presidente hanno potuto compiere delle
stime circa il numero delle vittime militari e civili nelle zone di
guerra e nei siti dei poligoni di tiro e circa le malformazioni dei
bambini venuti alla luce dopo che il padre aveva prestato servizio
militare nei luoghi suddetti. Quanti sono a tutt’oggi i deceduti
per malattie ascrivibili all’uranio impoverito? Quanti i malati?
Ad oggi
non è possibile la conoscenza esatta del numero di morti e di
ammalati. Ciò che si è potuto sapere è stato reso possibile
attraverso il “passaparola” (Radiofante) ed è quindi solo
parziale. La Commissione senatoriale (che ha concluso i suoi lavori
nel 2007) ha disposto che la polizia giudiziaria eseguisse delle
indagini nei distretti militari per raccogliere dei dati. Risulta che
dei dati sono stati trasmessi dalla polizia giudiziaria all’Istituto
Superiore di Sanità a Roma ma, almeno a quanto sappiamo, questi dati
non sono stati resi noti in ambito parlamentare alle Commissioni
Difesa (nel periodo in cui non è stata operante la Commissione
d’Inchiesta del Senato). Limitandoci comunque a quanto sappiamo dai
dati ufficiali, possiamo affermare che nel 2007 (da dichiarazioni del
ministro della Difesa pro-tempore On. Arturo Parisi, alla Commissione
senatoriale) i morti a quella data erano 77 e i malati 312. Altri
dati però divergono sensibilmente da questi. Infatti nelle relazioni
della Commissione d’inchiesta senatoriale si trova anche un dato
relativo al fatto che i casi riscontrati sarebbero stati 1991.
Risulta anche che alla stessa Commissione d’inchiesta sia stato
inviato dalla direzione della Sanità Militare un elenco, relativo
alla situazione del 2006, in cui si menzionano oltre 2500 casi
(l’elenco contiene anche i nominativi delle persone colpite e
quindi resta coperto dalla privacy).
Scarsissima attenzione (anzi nulla, specie per quanto riguarda i
risarcimenti) è stata data ai casi di malformazioni alla nascita. In
notizie di stampa si è parlato di sette casi, ma la cifra è
certamente inferiore a quella reale.
All’indomani
dell’inchiesta della Commissione Mandelli, conclusasi a detta di
molti in maniera insoddisfacente, si registrano interventi per far
fronte al dramma della solitudine e del disagio economico delle
famiglie?
Il
problema del risarcimento è molto complesso. Vi sono stati
risarcimenti di 0 euro e anche risarcimenti che hanno superato i 500
mila euro in seguito ad interventi della Magistratura. Vedi ad
esempio il caso del Maresciallo Stefano Melone. Con la legge
finanziaria del 2008 sono stati stanziati dei risarcimenti (nel
complesso 30 milioni di euro per personale colpito da uranio e
nanoparticelle di metalli pesanti. E’ stato emanato anche un
regolamento applicativo (DPR 243). Ma sussiste anche una problematica
circa l’applicazione di questa normativa.
Registrandosi
tra l’altro una profonda sensibilizzazione nell’opinione pubblica
riguardo al suddetto problema per le continue, numerose denunce dei
militari colpiti da una tragedia non calcolata, grazie alla vostra
attività e alla diffusione delle notizie da parte dei media, si può
parlare di impegno da parte delle Autorità militari e delle
Istituzioni in genere nel raccogliere dati, segnalare circostanze e
soccorrere con mezzi economici tramite gli indennizzi chi ne ha
diritto?
Di
massima si può esprimere un giudizio negativo. Critiche all’operato
del Ministero della Difesa si trovano nelle relazioni delle due
Commissioni di inchiesta del Senato. Per avere una conoscenza più
completa della situazione, come si è detto più sopra, la
Commissione del Senato, che ha cessato i suoi lavori nel 2007, ha
stabilito che la polizia giudiziaria raccogliesse dati presso
distretti militari per meglio individuare il numero del personale
colpito.
(VEDI ARTICOLO) L'ultima vittima dell'Uranio impoverito, la 305.a era di Verona
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