Si dà grande risalto mediatico al fatto che PD e PDL si mettano
insieme nel governo, per nascondere il fatto veramente importante, ossia
che lo fanno per portare avanti decisioni che sono prese da altri e da
fuori dai confini italiani, e che sono imposte, e che vengono mantenute
sebbene si dimostrino rovinose. La contraddizione, lo scontro di
interessi, non è tra PD e PDL, ma tra chi impone quelle decisioni e la
gente che ne subisce gli effetti.
Il potere politico è nelle mani di chi ha le leve macroeconomiche,
soprattutto di decidere quanta moneta mettere in circolazione, a chi
darla, a che tassi, a che condizioni, e di decidere se e quanto lo Stato
possa investire, anche a deficit, per indurre l’attivazione dei fattori
di produzione, l’occupazione, la crescita. E decidere sulla regolazione
dei cambi valutari, regolamentare le importazioni di beni, servizi e
capitali. Uno Stato che non detenga questo potere, può tirare un po’ in
su o un po’ in giù la coperta, e poc’altro. Cioè può spostare un po’ di
soldi da un capitolo all’altro della spesa pubblica, può spostare un po’
di peso fiscale da una categoria a un’altra di soggetti, può
riconoscere i matrimoni omosessuali e le coppie di fatto, ma non può
intervenire sulla recessione strutturale.
I paesi dell’Eurozona hanno devoluto questi poteri, interamente, ad
organismi esterni. Alla BCE in quanto alla moneta, imponendo insieme
vincoli rigidissimi di pareggio di bilancio. Inoltre, la BCE
notoriamente ha il fine prioritario di proteggere il potere d’acquisto
dell’Euro senza curarsi della recessione, e non può comprare titoli
pubblici dai governi, cioè non può finanziarli direttamente,
diversamente da altre banche centrali, come la Fed. Essa,
programmaticamente, non può intervenire per invertire una recessione
strutturale, né per riequilibrare le disponibilità monetarie e
creditizie nei vari paesi dell’Eurozona; e invero non lo fa, lascia
andare avanti le cose. Al più, lancia allarmi e interviene comprando
titoli, sui mercati secondari, di quei paesi che sono a rischio di
lasciare il tavolo dell’Euro per default.
Il suddetto insieme di scelte presuppone una precisa decisione,
ossia che, da un lato, il settore pubblico non sia in grado di usare le
leve macroeconomiche (investimenti produttivi e infrastrutturali) per
indurre crescita e piena occupazione, nonché di prevenire o risolvere le
recessioni; e che, dall’altro lato, i mercati, lasciati sa se stessi,
siano in grado di raggiungere quegli obiettivi, e per giunta, assieme ai
vincoli di bilancio e al controllo monetario (fissazione dei tassi,
soprattutto) da parte della BCE, siano in grado di operare anche la
convergenza tra i vari sistemi economici dei paesi dell’Eurozona, senza
bisogno di un budget federale e di un governo federale che intervengano
per redistribuire le risorse finanziarie che, per varie ragioni, si
concentrino in modo squilibrato e squilibrante in certi paesi,
sguarnendo altri paesi.
Si noti che questa fondamentale ed epocale decisione è stata presa
senza proporne i termini all’opinione pubblica, senza coinvolgimento
democratico,e viene realizzata attraverso una lunga, pluridecennale
serie di trattati, leggi e riforme, i cui effetti non vengono spiegati
se non falsamente, rimangono latenti per alcuni anni, in modo che la
gente si abitui, e poi esplodono quando è troppo tardi per tornare
indietro. Questa medesima decisione non viene mai posta nel dibattito
pubblico, a cui si offre, invece, il dilemma se ci si possa alleare con
Berlusconi oppure no.
La predetta decisione si traduce nell’adozione di una concezione
generale di come di fatto l’economia funziona e di come la si possa
guidare, e dovrebbe essere oggetto di revisione, ossia di controllo
empirico della sua correttezza. Cioè si dovrebbe controllare se produca i
risultati predetti e desiderati, oppure no; nel secondo caso, andrebbe
revocata siccome confutata dai fatti – così come avviene con qualsiasi
teoria applicata alla realtà, con qualsiasi diagnosi, con qualsiasi
ricetta.
Orbene, noi abbiamo che i fatti la confutano – la presente crisi
recessiva, col suo perdurare, la confuta, assieme al crescente divario
tra i paesi dell’Euro – però essa viene mantenuta; quindi questa
decisione di mantenerla nonostante si dimostri errata e dannosa, va
interpretata. Le ipotesi interpretative che mi vengono in mente sono che
essa produca risultati diversi da quelli promessi, anzi contrari ad
essi, ma sia conforme agli interessi di coloro che la mantengono, che
hanno la forza di imporla. Interessi in termini di profitto (aumento dei
redditi, concentrazione della ricchezza nelle loro mani) e/o in termini
di ristrutturazione sociale e politica (concentrazione del potere nelle
loro mani, in un modello sociale ove il vertice della piramide detiene
un potere non contendibile e non sindacabile, mentre una minoranza di
tecnici e funzionari gode di vari gradi di benessere e privilegio, e il
grosso della popolazione è povero sia di denaro che di diritti e
politici e civili, e sta sostanzialmente e passivamente a disposizione
“del mercato”, privo di qualsiasi strumento per influenzare l’andamento
della storia). Per meglio portare avanti questo piano, si fa in modo che
esso dia un vantaggio concreto, per un certo tempo, ai paesi più forti
(Germania in testa), permettendo loro di risucchiare capitali, aziende e
tecnici dai paesi più deboli, abbattendo la loro competitività
industriale. Così i paesi più forti stanno al gioco. Il vecchio divide
et impera funziona sempre.
Complotto? No, applicazione alla società dello schema gestionale
della zootecnia, stabile e sicuro. E, nei circoli che hanno preso quella
decisione, che hanno formulato quell’insieme di scelte che producono
questo insieme di effetti (Aspen, Trilateral, Bilderberg, etc.),
troviamo, almeno dal 1995, anche Enrico Letta, che quindi è parte e
origine di quei mali che, al popolo, si racconta che dovrebbe risolvere
attraverso la tormentosa unione con Berlusconi combinata dalla saggezza
di Napolitano nello spirito del patriottismo, rinegoziando anche il
patto di Maastricht con i poteri forti. Si potrebbe immaginare una balla
più grossa?
In ogni caso, Stati ed istituzioni politiche elettive, c.d.
democratiche, conservano, nei paesi dell’Eurozona diversi dal paese
creditore egemone, poteri marginali; quindi sono giuridicamente
declassate ad autonomie locali, tanto più che la maggioranza dei
provvedimenti legislativi adottati in tali paesi è in realtà un
recepimento di norme decise dall’Unione Europea.
Marginali sono anche le scelte di politica interna, sicché è risibile
presentare come importante la scelta di fare un governo con Berlusconi.
Cambia ben poco. I governi Berlusconi, esattamente come quelli Prodi e
D’Alema, hanno seguito la linea dettata da Berlino e Bruxelles, e il
modello economico prescritto da Washington. Il governo Letta farà la
medesima cosa, anche perché Enrico Letta, come pure suo zio Gianni, è
uomo della finanza internazionale, esecutore dei suoi piani
“europeisti”, difensore dei suoi dogmi, come ha messo nero su bianco nel
suo libro Euroi sì: morire per Maastricht. Abbiamo quindi la prova scritta dei suoi obiettivi.
Ma enfatizzare l’inciucio PD-PDL o la novità del governissimo è
risibile anche perché l’inciucio destra-sinistra, DC-PCI, è in atto
dalla fine degli anni ’40, col ben noto sistema di spartizione dei
territori, delle poltrone, della spesa pubblica, dei ruoli morali e
politici – sistema in cui, di fatti, il PCI votava oltre l’80% delle
leggi di spesa. Il governissimo è sempre stato il vero sistema di
gestione del Paese.
La novità è semmai che i due maggiori partiti si accordano per
mettere insieme la faccia nella gestione di un periodo pessimo, che
genera scontento crescente nella base, e in cui si adotteranno
provvedimenti ancora più impopolari. Il fatto di metterci la faccia
insieme consentirà loro di fare porcate ancora più grosse di quelle
passate, perché nessuno dei partiti della coalizione dovrà temere che
altri partiti si avvantaggino delle misure impopolari e recessive che
esso approverà, per conto di terzi. Porcate e, temo, violenze, perché la
recessione continua e continuerà a peggiorare, e bisognerà ricorrere
alla violenza e all’intimidazione per mantenere la gente nell’obbedienza
al sistema, lasciandole come unica via di sfogo l’emigrazione, oltre al
suicidio.
Il fattore di instabilità di un simile governo marionetta di
coalizione non è nella fittizia e recitata contrapposizione morale e
ideologica o programmatica delle forze che lo compongono, bensì nella
reale contrapposizione tra gli interessi della casta nazionale e dei
suoi burattinai stranieri, che questo governo porta avanti, e quelli
della popolazione generale. E questa contrapposizione reale continuerà a
generare e a gonfiare forze rappresentative della protesta dei delusi e
degli oppressi di ieri e di oggi, anche se questa volta si riesce a
integrare la Lega e a inertizzare provvisoriamente Grillo.
L’opportunità che governi come gli ultimi due offrono e sempre più
offriranno, è che con essi non si riesce più ad evitare che l’opinione
pubblica percepisca e discuta il dato di fatto centrale, ossia che i
governi italiani sono tutti e inevitabilmente governi
Bildermerkel commissariali e che i loro programmi effettivi sono imposti
da burattinai stranieri per gli interessi loro e a danno di un Paese e
di un elettorato ormai svuotati di ogni autonomia, ridotti a colonia, e i
cui riti elettorali e parlamentari non hanno alcun effetto o utilità.
(Fonte)
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