Due proposte di legge, praticamente identiche: una del 22 marzo (primo firmatario Laura Garavini, Pd); l’altra datata 7 maggio
(primo firmatario Gennaro Migliore, Sel). L’assurdo? Derogare
all’articolo 329 del codice di procedura penale e ottenere “copie di
atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso
l’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti nonché copie di atti e
documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari”. Risultato? I
politicanti nostrani verrebbero a conoscenza di atti coperti da segreto.
E potrebbero comportarsi di conseguenza.
In entrambe le proposte di legge si
chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare che
studi il fenomeno mafioso e i suoi rapporti con la politica. Il testo di
legge si compone di 7 articoli e verrà preso in esame durante questa settimana dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera. Curiosità: andrà a cadere nel 21° anniversario della morte di Giovanni Falcone.
Ma dietro il paravento delle buone intenzioni si nasconde qualcosa di profondamente perverso.
L’ARTICOLO 5: LA COMMISSIONE ANALIZZI COPIE DI ATTI DI INCHIESTE CONTRO LA MAFIA
La pietra dello scandalo sta tutta nell’articolo 5, identico per entrambe le proposte di legge.
Attualmente
esiste un divieto stabilito dall’articolo 329 del codice di procedura
penale secondo il quale non possono essere messi a conoscenza di alcuno
gli atti relativi a una inchiesta giudiziaria: nello specifico si tratta
del segreto visto che “gli
atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne
possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini
preliminari”.
Come
vogliono aggirare l’ostacolo i parlamentari firmatari delle proposte di
legge? Con il primo comma dell’articolo 5 che recita: “La
Commissione può ottenere, anche in deroga al divieto stabilito
dall’articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e
documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l’autorità
giudiziaria o altri organi inquirenti nonché copie di atti e documenti
relativi a indagini e inchieste parlamentari. L’autorità giudiziaria può
trasmettere le copie di atti e documenti anche di propria iniziativa”.
A cosa può portare tutto questo? Al
fatto che un componente della commissione parlamentare – composta,
secondo quanto stabilisce l’articolo 2, da quindici deputati e quindici
senatori scelti dai presidenti di Camera e Senato in base al numero dei
componenti dei gruppi parlamentari - possa venire a conoscenza di
indagini che riguardano magari il proprio leader di partito o collega,
prima della chiusura delle indagini stesse.
Ad
esempio: un componente del Pdl saprà tacere nel caso gli capiti tra le
mani un’inchiesta che riguardi Marcello Dell’Utri et similia? E sulle
inchieste parlamentari sapranno mantenere il riserbo dovuto? Qualche dubbio resta e non sono poche le indagini aperte dalla magistratura per violazione del segreto.
Come non citare, a proposito, il famoso caso Berlusconi-Fassino-Consorte-Unipol, con l’attuale leader del Pdl condannato per rivelazione di segreto d’ufficio.
LA BARZELLETTA: GARANTIAMO PER NOI STESSI
Il
secondo comma dell’articolo 5 obbliga la Commissione a garantire il
mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i
documenti trasmessi in copia siano coperti da segreto. Ma
chi controlla il controllore? Questo è l’ennesimo caso dove controllato
e controllore coincidono. E se a pensare male si fa peccato è pur vero
che spesso ci si azzecca..
Il
nuovo organismo parlamentare inoltre può ottenere da parte degli uffici
della Pubblica Amministrazione, copie di atti e documenti da essi
custoditi, prodotti o comunque acquisiti in maniera attinente alle
finalità della legge.
E poi nel quarto comma tirano in ballo la trasparenza riguardo al segreto di Stato. “In nessun caso – si legge nella proposta
– è opponibile il segreto di Stato rispetto alla richiesta di accesso
agli atti in possesso dei servizi di informazione per la sicurezza dello
Stato pertinenti alle materie di indagine della Commissione”.
Insomma una sorta di Grande Fratello
che permetta ai 30 parlamentari privilegiati dai presidenti di Camera e
Senato di venire a conoscenza di tutto quello che riguarda l’attività
giudiziaria di avversari e alleati politici. E potrebbero organizzare in tal senso anche la propria campagna elettorale sapendo già dove andare a colpire.
Nel
quinto comma invece si sottolinea come l’autorità giudiziaria deve
provvedere tempestivamente alla richiesta della commissione e può
ritardare la trasmissione di copia di atti e documenti richiesti solo
per ragioni di sicurezza e per sei mesi. Un rallentamento che
può essere prorogato di altri sei mesi ma che non ha efficacia oltre la
chiusura delle indagini preliminari.
E poi il quinto articolo si chiude con il sesto e i settimo comma che recitano: “Quando
gli atti o i documenti siano stati assoggettati al vincolo di segreto
funzionale da parte delle competenti Commissioni parlamentari di
inchiesta, tale segreto non può essere opposto alla Commissione di cui
alla presente legge. La Commissione stabilisce quali atti e
documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze
attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso”.
Insomma
l’autorità giudiziaria rischia di avere le mani legate e dover
sottostare alle richieste della Commissione. E poi quest’ultima avrebbe
ampi poteri di decidere sulla segretezza di queste indagini. E fu così che tutto quello che diventerà scomodo alla casta potrebbe rimanere sconosciuto per sempre. Del
resto nell’articolo 7 della stessa proposta di legge la Commissione, in
pieno stile bilderberghiano, si riserva il diritto di convocarsi in
maniera segreta.
E di segreto si parla anche nell’articolo 6 della legge che recita:
I componenti la Commissione, i funzionari e il personale di qualsiasi
ordine e grado addetti alla Commissione stessa e ogni altra persona che
collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di
inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di
servizio sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i
documenti di cui all’articolo 5, commi 2 e 7. Salvo che il
fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto è punita ai
sensi dell’articolo 326 del codice penale. Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, le stesse pene si applicano a chiunque
diffonda in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o
documenti del procedimento di inchiesta dei quali sia stata vietata la
divulgazione.
Essere soggetti all’articolo 326 del codice penale significa rischiare una condanna da sei mesi a tre anni di reclusione.
Ce la faranno i nostri eroi a evitarlo qualora queste due proposte di
legge vengano approvate? Oppure aumenteranno questi tipi di reato? Per
questa cosa non abbiamo la palla di vetro per dirlo ma bisognerebbe
aspettare l’applicazione della normativa.
E poi la sempiterna occasione per prendersela con la stampa che fornisce informazioni su quanto accade alla politica.
Perché si specifica che le stesse pene si applicano anche a chi
diffonde per riassunto o informazione atti e documenti del processo
d’inchiesta di cui è stata vietata la divulgazione. Cosa significa
questo? Che nel caso un’informazione riservata, come quella
della conversazione tra Fassino e Consorte nel processo che ha portato
alla condanna dei fratelli Berlusconi, riesca a filtrare dagli ambienti
vicini alla Commissione a qualche organo di stampa tutti coloro che si
rendono responsabili di tale rivelazione si mettono a rischio condanna
per violazione del segreto istruttorio.
Un paradosso rispetto all’articolo 5 della stessa legge. Perché in parole povere tutto questo significa una sola cosa: il potere politico vuole controllare sia il potere giudiziario che il cosiddetto “quarto potere” quello della stampa. Per sapere cosa accade e poi decidere da solo di cosa la gente comune può essere informata.
(Fonte)
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