Riforme subito per salvare un governo già spaccato
Oggi pomeriggio Enrico Letta e i suoi ministri ritorneranno a
Roma, dopo un giorno e mezzo di conclave, nell’abbazia di Spineto.
Quella che si apre dovrebbe essere la settimana delle riforme, o meglio
della loro sistematizzazione all’interno di un piano articolato e
pubblico. Ed è anche di questo, tra i mille guai che tormentano il
governo, che Letta e i suoi ministri hanno probabilmente parlato nelle
lunghe ore in cui sono stati in compagnia forzata nel loro ritiro umbro.
Gaetano Quagliariello, ministro delle riforme, dovrebbe presentare tra
qualche giorno, forse già domani, un’agenda cadenzata delle riforme
istituzionali e non: regolamenti parlamentari, finanziamento ai partiti,
bicameralismo e premierato. Nel governo pensano di sottoporre alcuni
temi a un referendum informale, telematico: che tipo di sistema
elettorale preferiscono gli italiani tra quelli selezionati nel lungo
dossier prodotto dai dieci saggi incaricati dal Quirinale di individuare
le riforme possibili, quelle condivise? L’agenda delle riforme,
cadenzata con date precise, è gia qualcosa.
Ma il governo rimane fragile. La crisi economica
morde e i dati sulla disoccupazione non sono incoraggianti, per le
strade e nelle piazze si respira un’aria pesante che trova sfogo nel
mugugno più e meno violento contro simboli generici come “la casta” o
“la politica”, mentre si avverte – pericolosa – l’assenza di
un’opposizione ordinata, capace di convogliare, organizzare e
stemperare, il risentimento e il livore popolare. Il difetto della
grande coalizione, specie in tempi di crisi, è la difficoltà nel
distinguere tra le responsabilità del centrosinistra e del centrodestra,
tra quelli che erano maggioranza e quelli che un tempo erano
opposizione: entrambe le maggiori forze politiche del paese si trovano
al governo e questo determina l’idea fallace che tutti i partiti siano
uguali, mentre forze che mai potrebbero governare (o che non vogliono
governare), come il Movimento cinque Stelle, lucrano dall’esterno
consensi facili e amministrano un pericoloso monopolio del livore
genericamente rivolto contro gli altri. A Brescia, sabato, la piazza del
Pdl è quasi venuta alle mani con la piazza dei contestatori: un quadro
da guerra civile, italiano contro italiano, manifestazione contro
manifestazione, muscoli contro muscoli. Il Pd soffre l’alleanza di
governo, mentre Silvio Berlusconi si fa un po’ troppo spavaldo e rischia
di destabilizzare definitivamente il fragile alleato di centrosinistra
con effetti che alla fine potrebbero non convenire nemmeno a lui. Le
elezioni anticipate, in questo clima, secondo tutti i sondaggi,
consegnerebbero infatti ancora una situazione di ingovernabilità.
Se non agisce, se non prende l’iniziativa politica,
l’esecutivo delle larghe intese rischia di essere travolto dalle sue
contraddizioni interne, dalla natura stessa di una stranissima
maggioranza che con molta fatica tiene insieme un centrosinistra
frastornato dall’alleanza incestuosa con Berlusconi e un Cavaliere
sempre uguale sé stesso, incartato nei suoi guai giudiziari e tentato da
forzature di piazza come quella di sabato a Brescia. Letta cerca di
tenere insieme il marasma che lo circonda, ma tanto più si addentra
nella ragnatela politica con l’aria di voler piacere a tutti e a nessuno
dispiacere, tanto più si affatica e intuisce di poterci restare
impigliato dentro per sempre, soffocato nei tanti fili che prova a
recuperare, e ritessere, uno per uno. Il premier ha caricato di enormi
aspettative il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno, quello che dovrebbe
sbloccare i fondi europei contro la disoccupazione giovanile, prepara
anche la revisione della riforma Fornero sul mercato del lavoro, e spera
pure di poter convincere la feldmarescialla Merkel a scorporare dal
computo del deficit gli investimenti infrastrutturali, una mossa abile
che darebbe fiato all’economia, agli appalti, ai lavori pubblici,
insomma posti di lavoro. Ma tutto questo è Monti-bis, gestione ordinaria
di una situazione straordinaria ed emergenziale, mentre l’iniziativa
politica delle larghe intese è tutt’altro affare, e si complica,
lambisce pericolosamente i confini della palude, in un disordine che non
rinvia alla luce di un principio ma al principio della fine. Ma questa
settimana potrebbe essere importante, persino decisiva, se davvero
venisse approvato uno scadenzario delle riforme.
Solo una seria e martellante iniziativa politica può
riempire di senso l’azione di governo e, se non placare, almeno sfumare
il tramestio che agita il centrosinistra, sedimentare la baldanza del
Cavaliere e annacquare l’aggressività del grillismo. La politica
economica ed europea è certo importante, fondamentale, ma esiste pure un
fronte interno che va necessariamente coperto pena un fragoroso botto
del governo. Anche solo la riduzione del numero dei parlamentari, la
legge elettorale e il finanziamento pubblico ai partiti sarebbero
argomenti sufficienti a tacitare la retorica di Grillo e allontanare
pure l’idea velenosa che questo sia il governo del solo Berlusconi. Per
questo l’agenda delle riforme, questa settimana, è un passaggio cruciale
per il futuro delle larghe intese. Il più consapevole e preoccupato è
Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica lo ha già fatto
capire per via riservata, pensa che giugno sia il limite massimo, dopo
di che il presidente tirerà il guinzaglio finora tenuto lasco, e ancora
una volta, di mala voglia, in mancanza delle riforme si farà supplente e
lui stesso motore riluttante dell’iniziativa politica.
(Fonte)
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