lunedì 13 maggio 2013

PRESIDENTE DOVE SEI?

Riforme subito per salvare un governo già spaccato




Oggi pomeriggio Enrico Letta e i suoi ministri ritorneranno a Roma, dopo un giorno e mezzo di conclave, nell’abbazia di Spineto. Quella che si apre dovrebbe essere la settimana delle riforme, o meglio della loro sistematizzazione all’interno di un piano articolato e pubblico. Ed è anche di questo, tra i mille guai che tormentano il governo, che Letta e i suoi ministri hanno probabilmente parlato nelle lunghe ore in cui sono stati in compagnia forzata nel loro ritiro umbro. Gaetano Quagliariello, ministro delle riforme, dovrebbe presentare tra qualche giorno, forse già domani, un’agenda cadenzata delle riforme istituzionali e non: regolamenti parlamentari, finanziamento ai partiti, bicameralismo e premierato. Nel governo pensano di sottoporre alcuni temi a un referendum informale, telematico: che tipo di sistema elettorale preferiscono gli italiani tra quelli selezionati nel lungo dossier prodotto dai dieci saggi incaricati dal Quirinale di individuare le riforme possibili, quelle condivise? L’agenda delle riforme, cadenzata con date precise, è gia qualcosa.


Ma il governo rimane fragile. La crisi economica morde e i dati sulla disoccupazione non sono incoraggianti, per le strade e nelle piazze si respira un’aria pesante che trova sfogo nel mugugno più e meno violento contro simboli generici come “la casta” o “la politica”, mentre si avverte – pericolosa – l’assenza di un’opposizione ordinata, capace di convogliare, organizzare e stemperare, il risentimento e il livore popolare. Il difetto della grande coalizione, specie in tempi di crisi, è la difficoltà nel distinguere tra le responsabilità del centrosinistra e del centrodestra, tra quelli che erano maggioranza e quelli che un tempo erano opposizione: entrambe le maggiori forze politiche del paese si trovano al governo e questo determina l’idea fallace che tutti i partiti siano uguali, mentre forze che mai potrebbero governare (o che non vogliono governare), come il Movimento cinque Stelle, lucrano dall’esterno consensi facili e amministrano un pericoloso monopolio del livore genericamente rivolto contro gli altri. A Brescia, sabato, la piazza del Pdl è quasi venuta alle mani con la piazza dei contestatori: un quadro da guerra civile, italiano contro italiano, manifestazione contro manifestazione, muscoli contro muscoli. Il Pd soffre l’alleanza di governo, mentre Silvio Berlusconi si fa un po’ troppo spavaldo e rischia di destabilizzare definitivamente il fragile alleato di centrosinistra con effetti che alla fine potrebbero non convenire nemmeno a lui. Le elezioni anticipate, in questo clima, secondo tutti i sondaggi, consegnerebbero infatti ancora una situazione di ingovernabilità.

Se non agisce, se non prende l’iniziativa politica, l’esecutivo delle larghe intese rischia di essere travolto dalle sue contraddizioni interne, dalla natura stessa di una stranissima maggioranza che con molta fatica tiene insieme un centrosinistra frastornato dall’alleanza incestuosa con Berlusconi e un Cavaliere sempre uguale sé stesso, incartato nei suoi guai giudiziari e tentato da forzature di piazza come quella di sabato a Brescia. Letta cerca di tenere insieme il marasma che lo circonda, ma tanto più si addentra nella ragnatela politica con l’aria di voler piacere a tutti e a nessuno dispiacere, tanto più si affatica e intuisce di poterci restare impigliato dentro per sempre, soffocato nei tanti fili che prova a recuperare, e ritessere, uno per uno. Il premier ha caricato di enormi aspettative il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno, quello che dovrebbe sbloccare i fondi europei contro la disoccupazione giovanile, prepara anche la revisione della riforma Fornero sul mercato del lavoro, e spera pure di poter convincere la feldmarescialla Merkel a scorporare dal computo del deficit gli investimenti infrastrutturali, una mossa abile che darebbe fiato all’economia, agli appalti, ai lavori pubblici, insomma posti di lavoro. Ma tutto questo è Monti-bis, gestione ordinaria di una situazione straordinaria ed emergenziale, mentre l’iniziativa politica delle larghe intese è tutt’altro affare, e si complica, lambisce pericolosamente i confini della palude, in un disordine che non rinvia alla luce di un principio ma al principio della fine. Ma questa settimana potrebbe essere importante, persino decisiva, se davvero venisse approvato uno scadenzario delle riforme.

Solo una seria e martellante iniziativa politica può riempire di senso l’azione di governo e, se non placare, almeno sfumare il tramestio che agita il centrosinistra, sedimentare la baldanza del Cavaliere e annacquare l’aggressività del grillismo. La politica economica ed europea è certo importante, fondamentale, ma esiste pure un fronte interno che va necessariamente coperto pena un fragoroso botto del governo. Anche solo la riduzione del numero dei parlamentari, la legge elettorale e il finanziamento pubblico ai partiti sarebbero argomenti sufficienti a tacitare la retorica di Grillo e allontanare pure l’idea velenosa che questo sia il governo del solo Berlusconi. Per questo l’agenda delle riforme, questa settimana, è un passaggio cruciale per il futuro delle larghe intese. Il più consapevole e preoccupato è Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica lo ha già fatto capire per via riservata, pensa che giugno sia il limite massimo, dopo di che il presidente tirerà il guinzaglio finora tenuto lasco, e ancora una volta, di mala voglia, in mancanza delle riforme si farà supplente e lui stesso motore riluttante dell’iniziativa politica.
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