martedì 7 maggio 2013

Al peggio non c'è mai fine. Francesco Nitto Palma presidente della commissione Giustizia del Senato

Commissioni, l'ex guardasigilli Nitto Palma alla Giustizia. Silvio blinda il "falco" di via Arenula nella giornata dell'incubo giudiziario 

 



C’è un motivo se pure il comunicato per commemorare il Divo Giulio diventa occasione per mandare il messaggio che più gli sta a cuore: “Auspichiamo negli anni della demonizzazione segua finalmente una pacificazione, di cui il governo appena insediato possa rappresentare il giusto prologo”. E c’è un motivo se nel giorno in cui torna, inquietante, l’incubo della ripresa dei processi, Silvio Berlusconi mette il silenziatore ai dichiaratori (e a se stesso), dando a vedere di essere seriamente impegnato nell’operazione statista. 

A mettere in fila gli elementi l’ex premier si è convinto che la costruzione della tregua stia funzionando, o comunque è una via che non va ancora abbandonata. Riavvolgendo la pellicola a qualche settimana fa, quando il predestinato al Quirinale era Prodi, e a palazzo Chigi era diretto Bersani, al grido di ineleggibilità e conflitto di interessi, era impensabile immaginare che Angelino Alfano (l’uomo del Lodo), l’avvocato chiamato a operare da via Arenula in base alle indicazioni di Ghedini sarebbe andato all’Interno. E che il suo successore, Francesco Nitto Palma, il falco ugualmente fedele, avrebbe ottenuto l’incarico di presidente della commissione Giustizia del Senato. 

Per le loro mani passeranno dossier cruciali, certo, ma è prima ancora il significato simbolico dell’operazione che è pesante. Farlo saltare, è stato il ragionamento con cui ha frenato i falchi, significa tornare indietro, col rischio stavolta di una saldatura tra Pd e grillini: “Se facciamo cadere il governo – dice un azzurro di rango – non si va al voto, ma ci sarà chi lavora per una maggioranza sullo scalpo del premier”. È su questo sfondo che si capisce la portata dell’incarico all’ex guardasigilli. 

Proprio alla nomina di Nitto Palma si è dedicato personalmente Berlusconi, nel giorno delle trattative più lunghe e dei veti incrociati, sapendo che per il Pd era difficilmente digeribile. E proprio sull’altare della commissione Giustizia, Berlusconi ha sacrificato il fedelissimo Paolo Romani, uomo Mediaset e amico di una vita, destinato alla commissione Trasporti (con delega alle Comunicazioni) e su cui pesavano gli stessi veti del Pd. Pur di chiudere sull’ex guardasigilli, che mantiene ancora oggi potenti ramificazioni a via Arenula e nella magistratura di cui si occupò da ministro, il Cavaliere ha chiesto a Romani un sacrificio. Per lui si parla della commissione Difesa, se spetterà al Pdl. 

L’obiettivo Giustizia era troppo importante. Più di ogni altra considerazione o retropensiero, conta il simbolo. E cioè che la tregua è possibile, se per un motivo o per un altro il Pd è costretto ad accettare un ex guardasigilli del Cavaliere. Ed è costretto a tacere sulla vicenda giudiziaria di Berlusconi, con cui è alleato al governo. E si capisce, in questa logica, quale sia il punto di caduta del ragionamento. Basta leggere la dichiarazione di Augusto Minzolini, l’unico a violare la consegna del silenzio: “La Cassazione – afferma l’ex direttore del Tg1 - dice no alla richiesta di spostare i processi al Cav a Brescia. Dire che il tribunale di Milano non sia sereno sul Cav è eufemismo: è un no a pacificazione”. 

Ecco la pacificazione. È attraverso la politica che passa la difesa giudiziaria. Se cioè regge il clima di unità nazionale, se Berlusconi agisce da leader politico e non da imputato, se sostiene lealmente un governo di salvezza o servizio che dir si voglia, quando pioveranno sentenze, a quel punto – è il ragionamento – sono le procure a minare la tregua, non altri. Se poi dovesse concretizzarsi il disegno di approdare alla presidenza della Convenzione, l’operazione sarebbe perfetta. È una linea pensata, ragionata: “Fottersene delle sentenze e pensare in grande” è il consiglio che l’ascoltato Giuliano Ferrara ha ripetuto fino alla noia. Anche delle sentenze più infamanti. Per questo, dicono nell’inner circle del Capo, Berlusconi non ha affatto intenzione di dismettere i toni pacati. Certo, un conto è non attaccare un conto è rinunciare a difendersi. In questa fase l’obiettivo è mostrare come le accuse siano lunari, commentandole più con distacco che con la bava alla bocca. Emblematica l’intervista, la prima di una serie, concessa al Tg5 che andrà infatti in onda domai in uno speciale di seconda serata, per entrare nel merito del processo Mediaset: “Confido – dice - in una sentenza di piena assoluzione a meno che si voglia ancora una volta eliminarmi attraverso la via giudiziaria”. O a meno che non si voglia minare la pacificazione. Chissà. 
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