Cadmio nel riso, ma a Pechino i dati sull’inquinamento sono top secret
Dopo la serie apparentemente infinita di scandali alimentari che ha
portato sulle tavole dei cinesi latte contaminato da melammina, olio di
scolo venduto come olio da cucina, simil-uova chimiche, zenzero
cresciuto all’Aldicarb (un pesticida altamente tossico), antibiotici nei
polli e antiasma nei maiali, carne di ratto spacciata per carne di
montone e così via, ora ad allarmare i consumatori cinesi è il riso: a
Guangzhou, secondo le analisi fatte dalle autorità locali all’inizio
dell’anno, la metà del riso e degli spaghettini di riso in commercio ha
alti livelli di cadmio, un metallo cancerogeno che danneggia i reni. Una
contaminazione che proviene dall’avvelenamento del suolo. Ciò significa
che l’inquinamento in Cina è ormai penetrato nel terreno, e sulle
tavole arriva cibo non idoneo alla consumazione.
Il cadmio entra nelle piante attraverso pesticidi o scarichi
industriali che contaminano i corsi d’acqua. Le informazioni disponibili
sono frammentarie: in Cina i dati sull’inquinamento del suolo sono
segreto di Stato.
La questione è così complessa da sembrare inaffrontabile: non esiste
un ministero responsabile dello stato di salute dei terreni, e il
governo ha rimandato al 2020 la creazione di un ente che si occupi della
decontaminazione dei terreni. Ogni anno circa 12 milioni di tonnellate
di grano sono contaminate dai metalli pesanti presenti nel terreno,
nelle falde acquifere o nei pesticidi utilizzati, con una perdita
economica diretta di 2.5 miliardi di euro. In certe regioni nelle zone
più industrializzate della Cina, più della metà della terra è già
inservibile per l’agricoltura.
E se la sicurezza alimentare è divenuta uno dei principali problemi,
le sue ramificazioni hanno un grosso impatto. È diffusa la diffidenza
dei consumatori cinesi verso i prodotti domestici, che hanno cattiva
fama anche oltre frontiera con notevole danno di immagine – come a Hong
Kong, quasi del tutto dipendente dalla Cina continentale per il suo
nutrimento, dove i negozi che vendono prodotti da Taiwan, o da più
lontano, li reclamizzano come cibi «deliziosi e sicuri». All’interno
della Cina, l’impossibilità di sapere che cosa ci si mette in bocca
porta a una sfiducia generalizzata. C’è l’ex ispettore d’igiene che
impedisce alla moglie di comprare la salsa di soia non importata, chi
assilla amici e parenti per farsi portare il latte in polvere per
lattanti da oltre i confini nazionali (creando improvvise e sorprendenti
carenze all’estero) e chi evita di mangiare fuori perché non si fida.
L’artista Ai Weiwei ha voluto rappresentare la crisi di fiducia
proprio con un simbolo-chiave degli scandali alimentari: un’enorme mappa
della Cina, costruita con 1.851 lattine di latte in polvere, esibita a
Hong Kong in questi giorni e chiamata «Baby Formula». Ai ha commentato
che la decisione dei cinesi di andare all’estero per acquistare latte in
polvere mostra «la mancanza di etica nell’industria alimentare, e la
mancanza di fiducia nei controlli. Questo è un Paese che può mandare un
satellite in orbita ma è incapace di mettere in bocca a un bébé un
biberon privo di rischi».
Non è solo il cibo contaminato a intimorire, ma un evolversi sociale
dove la fiducia è stata sacrificata. In parte per la fitta rete di
connivenze e corruzione, in parte perché la società cinese, cambiata
alla velocità della luce, è incapace di concedersi una pausa di
riflessione rispetto agli anni in cui nessun legame familiare,
d’amicizia o professionale era sacro. Decontaminare il suolo richiederà
anni, e un investimento massiccio. Decontaminare la società da questa
crisi di sfiducia così diffusa, richiede invece un cambiamento ancor più
profondo.
(Fonte)
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