Per la prima volta nella storia italiana, il governo in carica è
diretta emanazione del capo dello Stato, di fronte all’ “impotenza” del
Parlamento la cui fiducia è più forzata che ottenuta. Napolitano non si
limita a nominare il presidente del Consiglio, ma interviene
direttamente nella scelta dei ministri e stabilisce anche le linee guida
del programma. Dunque: «Siamo già di fronte ad una evoluzione di tipo
semi-presidenziale che volge al modello francese», rileva Aldo Giannuli.
E’ il caso di parlare di “golpe”, come ha fatto Grillo? Dipende da come
si intende il concetto di “colpo di Stato”, sostiene il politologo: si
può avere “rottura costituzionale” anche senza per forza i carri armati
nelle strade. Tecnicamente, «si ha colpo di Stato quando viene mutata la
natura del sistema politico con modalità diverse da quelle legali, ad
opera di una fazione al potere».
Se proprio serve una data, Giannuli risale al 1993: fu la riforma
elettorale voluta dal referendum Segni, sull’onda dell’emergenza
Tangentopoli, a incrinare pericolosamente la nostra democrazia.
Primo problema dell’agenda 2013: la rielezione di Napolitano. In un
primo momento, l’Assemblea Costituente si orientò contro la
rieleggibilità del presidente,
ma poi tornò sui suoi passi: la Costituzione non contiene nessuna
prescrizione in questo, dunque non esiste alcun appiglio giuridico per
parlare di “golpe”. «Però – avverte Giannuli –
le cose sono più complesse e vanno viste nel loro sviluppo».
Nell’immaginario diffuso, il colpo di Stato consiste in un avvenimento
unico che spazza via il sistema politico vigente e le sue regole con una
“spallata”. E si pensa che questo coincida con una azione di forza: un
governo di militari che si impone schierando l’esercito. E’ accaduto in
Grecia nel 1967, in Indonesia del 1965, in Cile nel 1973 e in Argentina
nel 1976. Un copione che però non esaurisce il tema, «perché
storicamente il fenomeno è molto più complesso e ha manifestazioni molto
più varie».
Esempio classico: la Marcia su Roma del 1922, grazie alla quale
Mussolini ottenne la guida del governo. Attenzione: la nomina, seguita
dal voto di fiducia del Parlamento, avvennero in modo perfettamente
conforme alla carta costituzionale di allora, lo Statuto Albertino. Idem
per le elezioni
del 1924: «Furono segnate da una serie di violenze senza precedenti, ma
nessuno mette in dubbio che Mussolini avrebbe avuto la maggioranza dei
consensi anche senza violenze». Persino le “leggi fascistissime” del
1925-26, quelle che comportarono la vera “rottura costituzionale”,
«vennero approvate in modo regolare». Dunque: senza ignorare il clima di
violenza che fece da sfondo a quel processo, «il passaggio dal sistema
politico liberale a quello fascista avvenne attraverso tappe che, nella
maggior parte dei casi, erano formalmente corrette». Tant’è vero che la
norma fondamentale non fu mai
abolita e restò “dormiente”, per essere risvegliata il 25 luglio 1943
quando, proprio sulla base di essa, il re destituì Mussolini.
Dunque, abbiamo due “colpi di Stato”: il primo preparato da una serie
di violenze ma realizzato da un succedersi di atti parlamentari
formalmente corretti, e il secondo – il “contro-golpe” del sovrano –
altrettanto ineccepibile sul piano formale. «Fermarsi al solo aspetto
formale, come si vede, non rende conto di un colpo di Stato», conclude
Giannuli, ricordando che persino l’affermazione del regime
nazionalsocialista ebbe una sua giustificazione formale: «Il presidente
Hindenburg incaricò formalmente Hitler come capo del governo». E
l’assunzione dei pieni poteri, dopo l’incendio del Reichstag, «avvenne
sulla base della proclamazione dello stato d’eccezione previsto
dall’articolo 48 della Costituzione di Weimar». Quindi, «non è affatto
necessario che un golpe avvenga in un unico atto: la congiura castrense è
solo una delle forme in cui il colpo di Stato può essere attuato, non
l’unica».
E questo ci porta all’altro punto: lo “strappo” costituzionale deve
sempre accompagnarsi ad atti illegali e di forza o no? Com’è noto,
quando si parla di Prima e Seconda Repubblica, lo spartiacque è
rappresentato dal 1993. Quello che conta, infatti, «non è tanto la
Costituzione formale, quanto quella materiale». Nel ’93, ricorda
Giannuli, è stata di fatto messa in mora la Costituzione formale, che da
allora è restata in vigore come una sorta di “Costituzione
provvisoria”. «Lo stravolgimento del sistema politico – osserva
l’analista – è stato determinato da una riforma apparentemente estranea
alla Costituzione: la legge elettorale, che è una legge ordinaria». Il
punto è che l’intera architettura costituzionale – sistema bicamerale,
poteri del presidente del Consiglio e dei ministri, ruolo dei partiti –
presuppone il sistema elettorale proporzionale e il governo di
coalizione. «Quello del 1993 fu un vero colpo di Stato: cosa che riesce più difficile da dire perché ad attuarlo fu l’ex Pci, ma le cose stanno così».
Come nacque, il “golpe bianco” del ’93 che originò il disastro
bipolare e berlusconiano della Seconda Repubblica? Fu provvidenziale la
solita comodissima emergenza. In coincidenza con Mani Pulite, il coro
compiacente dei media
suonò la grancassa, insistendo sul nesso tra corruzione dei partiti e
sistema proporzionale: per debellare la piaga delle tangenti, sarebbe
bastato abolire il proporzionale. «E infatti – commenta Giannuli,
sarcastico – con il passaggio al maggioritario nelle due forme del
Mattarellum e del Porcellum la corruzione politica
è scomparsa, come tutti possono constatare». In realtà, fu proprio la
campagna mediatica «a manipolare l’opinione pubblica, orientandone la
giusta protesta in una direzione che nulla aveva a che fare con i motivi
apparenti». A questo si aggiunse «il comportamento vile della Corte
Costituzionale che, smentendo una sua stessa pronuncia di un anno prima,
ammise il referendum “golpista”. Come si vede, continua Giannuli, non
ci fu bisogno di mettere i carri armati in piazza: «Bastò un ben congegnato raggiro per avviare un percorso che, attraverso una serie di tappe formali, ha stravolto il sistema».
Il percorso: abolizione dell’immunità parlamentare, indicazione del
nome del presidente del Consiglio sulla scheda elettorale, “riforme”
federaliste, modalità del nuovo finanziamento dei partiti. E
soprattutto: «Una prassi sempre più lontana dallo spirito della
Costituzione». Un vero e proprio colpo di Stato, anche in Italia, «può
benissimo assumere un carattere strisciante e non aver bisogno di atti
violenti: ed è esattamente quello che sta accadendo di nuovo, a partire
dal 2010», per continuare con la “deposizione” di Berlusconi nel 2011, sostituito con Mario Monti
– sotto il ricatto europeo della Bce e dello spread – in base ad
un’operazione direttamente concepita e minuziosamente diretta dal
Quirinale. E siamo a oggi, col presidente succeduto a se stesso: «La
rielezione di Napolitano va inserita in questo percorso: non è un colpo
di Stato in sé, ma accompagna un “golpe strisciante”».
(Fonte)
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