«Vendete agli amici le sementi del pomodoro giallo salentino, che
nessuno coltiva più da due secoli? Ronzate su Internet alla ricerca
dell’introvabile seme di pera veneta rinascimentale per abbellire il
vostro orto? Ebbene, siete da oggi tutti fuorilegge. Come i pirati che
scaricano film coperti da copyright, come i ragazzini che trafficano con
i Cd copiati dalla Rete». Così Debora Billi,
all’indomani di una sentenza della Corte Europea che già nel 2012
prevedeva il divieto di vendere sementi non iscritte allo specifico albo
certificato dell’Unione Europea,
prima ancora che – nel 2013 – venisse formalmente proposto il
“riordino” della materia, attraverso l’Agenzia delle Varietà Vegetali
Europee, cui anche i piccoli produttori dovrebbero sottoporsi, per poter
commercializzare i prodotti del loro orto. Super-burocrazia per
scoraggiare le piccole coltivazioni? Di questo passo, avvertono
l’inglese Ben Gabel del “Real Seed Catalogue” e lo scrittore Mike Adams,
i divieti potrebbero insidiare persino gli orticoltori amatoriali.
«Un’altra bella norma liberista che va a favore della libertà di
impresa e di libero scambio, ne siamo certi», ironizzava Debora Billi un
anno fa, segnalando i sospetti avanzati da “Net1News”:
«Perchè non esiste un registro ufficiale dei bulloni e delle viti?
Forse perchè non c’è una Monsanto della minuteria metallica». Perché mai
regolamentare la produzione di ortaggi e vietare il libero commercio
dei semi? «Sottomettere le sementi ad una procedura del genere, che
esiste ed è giustificata per i medicinali e i pesticidi, ha
evidentemente il solo scopo di eliminare alla lunga le varietà di
dominio pubblico, e quindi liberamente riproducibili, per lasciare in
campo solo quelle brevettabili». O forse, conclude la Billi, è solo un
altro favore alle compagnie sementiere, «le uniche a godere delle norme
protezioniste liberiste», su cui vigila il Wto. «Pensavate che tale
libertà fosse, ancora, a vostro vantaggio?».
Attenti: sottoporre anche i semi alla logica industriale è un
pericolo per l’umanità. Lo afferma la fisica e ambientalista indiana
Vandana Shiva, che a partire dalla storica conferenza mondiale sul clima
svoltasi a Nairobi nel 2007 si è spesa per sostenere il “manifesto per
il futuro
delle sementi”. Primo caposaldo, la biodiversità: è la nostra più
grande sicurezza, sostiene il “manifesto”. «La diversificazione è stata
la strategia di innovazione agricola più diffusa e di successo negli
ultimi 10.000 anni». Vantaggi evidenti: «Aumenta la scelta tra diverse
opzioni e le probabilità di adattarsi con successo ai cambiamenti
ambientali ed ai bisogni umani». Perciò, in contrasto con l’attuale
tendenza verso la monocultura e l’erosione genetica, proprio la
diversità «deve tornare ad essere la strategia di punta per lo sviluppo futuro delle sementi».
Si tratta di preservare la diversità di semi, di sistemi agricoli, di culture e di innovazioni, ricorda Marco Pagani su “Ecoalfabeta”,
analizzando il “manifesto” di Vandana Shiva. Diversità e, naturalmente,
libertà dei semi: «Le sementi sono un dono della natura e delle
diverse culture, non un’invenzione industriale. Trasferire questa antica
eredità di generazione in generazione è un dovere ed una
responsabilità. Le sementi sono una risorsa di proprietà comune, da
condividere per il benessere di tutti e da conservare per il benessere
delle generazioni future e per questo non possono essere privatizzate o
brevettate», checché ne pensino il Wto e l’Unione Europea. In gioco, sottolinea Pagani, è quindi «la libertà dei contadini di conservare le sementi, di scambiarle e commerciarle, di sviluppare nuove varietà e di difendersi dalla privatizzazione, dalla biopirateria e dalle contaminazioni genetiche degli Ogm».
Servono semi per il futuro,
liberi da vincoli, per dare cibo alle comunità locali. Agricoltura
pulita, riduzione dei gas serra: «Le sementi non devono richiedere input
energetici esterni (attraverso i fertilizzanti, i pesticidi e il
combustibile) oltre lo stretto necessario». E niente veleni:
«Eliminazione di agenti chimici tossici nello sviluppo delle sementi».
Il che significa salute, oltre che qualità del cibo, cioè sapore e
valore nutrizionale. Vandana Shiva riconosce il protagonismo femminile
nell’agricoltura libera: «Le donne rappresentano la maggioranza della
forza lavoro agricola e sono le tradizionali custodi della sicurezza,
diversità e qualità dei semi: il loro ruolo centrale nella protezione
della biodiversità deve essere sostenuto». Insomma, le sementi non sono
una faccenda tecnica per esperti agronomi, ma devono interessare tutti,
perché ne va del futuro
della nostra sovranità alimentare. «Democratizzare l’uso delle sementi –
conclude Pagani – è uno dei pilastri per la difesa futura della democrazia
sulla terra». Contro le lobby che dettano legge, imponendo sempre nuove
dipendenze, fino a far “privatizzare”, con tanto di brevetto, anche i
semi di pomodoro.
(Fonte)
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