Allarme rosso: stanno per “mangiarsi” le nostre banche,
prosciugando i conti correnti a tutto vantaggio dei colossi della
finanzia mondiale. Ossigeno e denaro vero – il nostro – per tamponare la
maxi-falla di Wall Street. Lo lascia intendere il nuovo piano di
“salvataggio” messo a punto dal Canada, che prevede che in caso di crisi
ai risparmiatori sia prelevato il denaro sul conto, lasciando loro solo
un pugno di azioni-spazzatura. Lo afferma il professor Michel
Chossudovsky, professore emerito di economia all’università di Ottawa e direttore del centro ricerche sulla mondializzazione “Global Research”. La ricapitalizzazione delle banche
cipriote? Solo un prova generale di quello che ci attende. E’ possibile
prevedere un “furto dei risparmi” in seno alla Comunità Europea e in
Nord America in grado di portare alla confisca completa dei depositi
bancari? E’ quello che starebbe per succedere a livello planetario,
grazie a una manovra che coinvolge la banca centrale del Canada, Wall
Street, la Goldman Sachs, il Fmi e la Bce.
Cipro come semplice test? Sull’isola mediterranea il sistema dei
pagamenti è stato completamente perturbato, provocando l’affondamento
dell’economia reale:
pensioni e salari non vengono più erogati e il potere d’acquisto si è
inabissato. La popolazione cipriota, un milione di persone, è stata
impoverita. E le piccole e medie imprese rischiano il fallimento. Che
cosa succederà se si “rasa” in questo modo il sistema bancario dagli
Stati Uniti al Canada, fino all’Unione Europea? Secondo l’Iff,
l’Institute of International Finance, con sede a Washington,
«l’approccio cipriota che consiste nello sfruttare i depositi e i
crediti quando le banche sono in situazione critica diventerà probabilmente un modello per fare fronte ai crolli in Europa». Attenzione: «I potenti attori finanziari che hanno innescato la crisi
bancaria a Cipro – avverte Chossudovsky – sono anche gli architetti
delle misure di austerità socialmente devastanti imposte in seno alla
Unione Europea e in America del Nord».
Domanda: Cipro è un modello o uno scenario? Ovvero: questi importanti
attori della finanza hanno delle “lezioni da impartire” che possono
essere applicate a uno stadio ulteriore della situazione bancaria
dell’Eurozona? Sempre secondo l’Iff, “attaccarsi ai depositi” potrebbe
diventare la “nuova norma” di questo progetto diabolico, utile agli
interessi dei gruppi finanziari mondiali. Fmi e Bce approvano. E per i
portavoce dell’élite finanziaria, «sarà opportuno per gli investitori
considerare le conseguenze a Cipro come un riflesso del modo in cui le
future tensioni saranno trattate». Si tratta di un clamoroso processo di
“pulizia finanziaria” mondiale, spiega Chossudovsky, attraverso cui le banche europee e nordamericane “troppo grosse per fallire” (Citigroup, Jp Morgan Chase e Goldman Sachs) contribuiscono a destabilizzare
le istituzioni finanziarie di dimensioni inferiori con l’obiettivo di
prendere presto o tardi il controllo di tutto il sistema bancario.
Si tende quindi a centralizzare e concentrare il potere bancario, processo che comporta il vistoso declino dell’economia reale. Le ricapitalizzazioni, spiega Chossudovsky in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”,
sono già state previste in passato in numerosi paesi: in Nuova Zelanda
un “piano di attacco” era stato progettato nel 1997, in parallelo alla crisi
finanziaria asiatica. Esistono precise clausole sulla confisca dei
depositi nei paesi anglosassoni, in base a cui i fondi delle banche
in difficoltà sarebbero trasformati in “capital action”: «Questo
significa che il denaro confiscato dai conti bancari sarà utilizzato per
rispondere agli obblighi finanziari della banca in difficoltà». In
compenso, i detentori dei depositi bancari confiscati diventerebbero
azionisti di una istituzione finanziaria in crisi
al limite del fallimento: «Dall’oggi al domani, i risparmi saranno
trasformati in un concetto illusorio di proprietà di capitale».
La confisca dei risparmi sarà adottata sotto la forma di
“compensazione” fittizia in azioni. Si prevede l’applicazione di un
processo selettivo di confisca dei depositi bancari con il fine di
coprire i debiti provocando la scomparsa delle istituzioni finanziarie
“più deboli”. Negli Stati Uniti, la procedura eluderà le clausole della
Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), che assicura i titolari di
depositi contro i fallimenti bancari. Nessuna eccezione è prevista per i
“depositi assicurati” degli Stati Uniti, inferiori ai 250.000 dollari.
«Difficilmente può trattarsi di una omissione, dal momento che ad
emettere questa direttiva è la stessa Fdic, una compagnia di
assicurazioni sostenuta dai premi pagati dalle banche
private». La direttiva si chiama “processo di risoluzione”, definita
come un piano “da applicarsi in caso di fallimento di un assicuratore”.
La sola menzione dei “depositi assicurati” è legata alla legislazione
vigente nel Regno Unito e che la direttiva firmata da Fdic e Bank of
England qualifica inadeguata, intendendo che deve essere modificata se
non superata. E i titolari del deposito? Non sono eleggibili alla copertura dell’assicurazione, «perché viene data loro una falsa compensazione».
La dichiarazione più candida della confisca dei depositi bancari come mezzo di “salvataggio delle banche”,
continua il direttore di “Global Research”, è formulata in un documento
pubblicato recentemente dal governo canadese, il “Piano d’azione
economica 2013.
Occupazione, crescita e prosperità a lungo termine”,
presentato al Parlamento dal ministro delle finanze Jim Flaherty il 21
marzo 2013. Una sezione del rapporto, intitolata “Instaurare un panorama
di gestione dei rischi per le banche nazionali importanti a livello di sistema”, identifica la procedura di ricapitalizzazione per le banche
commerciali canadesi. Il termine “confisca” non è menzionato, e il
gergo finanziario «serve a oscurare le vere intenzioni, che consistono
essenzialmente nell’impossessarsi dei risparmi dei cittadini», in virtù
del progetto canadese di “gestione dei rischi”. Stessa musica: con
procedura speciale, le banche
sarebbero ricapitalizzate tramite una conversione-lampo, in fondi
propri regolamentari, di diverse “passività”. Ovvero: i soldi che la
banca deve ai propri clienti depositari sarebbero confiscati in cambio
di azioni “carta straccia”, data la situazione di crisi dell’istituto di credito.
Le risorse confiscate, aggiunge Chossudovsky, saranno in seguito
utilizzate dalla banca per onorare i propri impegni con le grandi
istituzioni finanziarie creditizie. «In altre parole, questo piano è una
“rete di sicurezza” per le banche
“troppo grosse per poter fallire”, un meccanismo che permetterebbe
loro, in quanto istituti di credito, di eclissare le istituzioni
bancarie di dimensioni minori, casse di risparmio incluse, contribuendo
al loro declino e assumendone il controllo». Il programma di gestione di
rischio e di ricapitalizzazione è cruciale per tutti i canadesi: una
volta adottato dalla Camera dei Comuni nel quadro della finanziaria, le
procedure di ricapitalizzazione potranno essere applicate dal governo
conservatore. Il pericolo non è considerato imminente, date le forti
perdite che il sistema bancario canadese ha accumulato coi “derivati” di
Wall Street, ma i timori si concentrano sul prossimo futuro: le cinque
maggiori banche
– Banque Royale du Canada, Td Canada Trust, Banque Scotial, Banque de
Montreal e Cibc, con potenti associate che operano nella finanza
statunitense – consolideranno la loro posizione a discapito delle altre banche e delle istituzioni finanziarie minori, quelle che sostengono l’economia reale.
La strada sembra segnata: concentrare i grandi capitali in pochissime
mani. «C’è un importante circuito di oltre 300 casse di risparmio e di
credito e di banche
di credito cooperativo a livello provinciale – spiega Chossudovsky –
che potrebbe essere il bersaglio delle operazioni selettive di
“ricapitalizzazione”». Nel mirino le regioni-chiave dell’economia
canadese e quelle più interne, dal Quebec all’Ontario, da Vancouver
all’Alberta. Si chiama Credit Union Central of Canada: sono organismi
finanziari vitali, spesso cooperativi e su scala provinciale, che «hanno
una relazione di governance con i loro membri e offrono attualmente una
alternativa ai cinque grandi istituti bancari». Cadranno presto, perché
anche il Canada ha deciso che la ristrutturazione del suo sistema
bancario sarà “allineata alle riforme apportate in altri paesi e alle
principali norme internazionali”. Non lascia dubbi il modello di
confisca dei depositi suggerito nel documento del governo: è conforme a
quello delineato negli Stati Uniti e nell’Unione Europea.
Ad oggi, precisa Chossudovsky, questa ipotesi è un “punto di
discussione” (a porte chiuse) nei diversi summit internazionali che
riuniscono i governatori delle banche
centrali e i ministri delle finanze. Benché presieduto dal governatore
della banca centrale del Canada, Mark Carney, che il governo britannico
ha recentemente nominato capo della Banca d’Inghilterra, l’ente supremo
di regolamentazione è il Csf, Consiglio di Stabilità Finanziaria, con
sede in Svizzera. Carney ha giocato un ruolo-chiave nell’elaborazione
delle clausole di ricapitalizzazione per le banche canadesi. E prima di approdare nel mondo delle banche
centrali, aggiunge il direttore di “Global Research”, lo stesso Carney
era membro del direttivo della Goldman Sachs, dove «ha svolto un ruolo
nei retroscena per la creazione dei piani di salvataggio e delle misure
di austerità nell’Unione Europea». Tutt’altro che rassicurante il
mandato del Csf: coordinare le procedure di ricapitalizzazione, insieme
alle “autorità finanziarie nazionali” e gli “organismi internazionali di normalizzazione”, fra cui il Fmi.
Nei piani di salvataggio, il governo trasferisce una porzione significativa dei proventi dello Stato alle istituzioni bancarie in crisi. Negli Stati Uniti, ricorda Chossudovsky, nel 2008-2009, un totale di 1450 miliardi di dollari è stato convogliato alle istituzioni finanziarie di Wall Street nel quadro dei piani di salvataggio di Bush e Obama. Piani considerati de facto come delle spese governative, e che necessitano del clima di emergenza che produce misure di austerità: «I piani di salvataggio come il drammatico incremento delle spese militari sono finanziati dalla riduzione draconiana dei programmi sociali, come Medicare, Medicaid e della sicurezza sociale». Contrariamente al piano di salvataggio, finanziato dal Tesoro pubblico, la “ricapitalizzazione” implica invece la confisca (privata) dei depositi bancari, senza quindi l’utilizzo di fondi pubblici.
Nei piani di salvataggio, il governo trasferisce una porzione significativa dei proventi dello Stato alle istituzioni bancarie in crisi. Negli Stati Uniti, ricorda Chossudovsky, nel 2008-2009, un totale di 1450 miliardi di dollari è stato convogliato alle istituzioni finanziarie di Wall Street nel quadro dei piani di salvataggio di Bush e Obama. Piani considerati de facto come delle spese governative, e che necessitano del clima di emergenza che produce misure di austerità: «I piani di salvataggio come il drammatico incremento delle spese militari sono finanziati dalla riduzione draconiana dei programmi sociali, come Medicare, Medicaid e della sicurezza sociale». Contrariamente al piano di salvataggio, finanziato dal Tesoro pubblico, la “ricapitalizzazione” implica invece la confisca (privata) dei depositi bancari, senza quindi l’utilizzo di fondi pubblici.
All’inizio del primo mandato di Obama, gennaio 2009, era stato
annunciato un piano di salvataggio bancario da 750 miliardi di dollari,
che si aggiungeva a quello di altri 700 miliardi, creato
dall’amministrazione Bush. In tutto, i due programmi raggiungono la
somma astronomica di 1.450 miliardi di dollari finanziati dal Tesoro
degli Stati Uniti. A questa somma si aggiungeva il peso stupefacente
allocato per il finanziamento dell’economia di guerra
di Obama (2010), 729 miliardi di dollari. I piani di salvataggio,
insieme alle spese della difesa (2189 miliardi di dollari) inghiottirono
dunque la quasi totalità degli introiti federali, che si dimensionarono
sui 2381 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2010. Conclusione:
«Quello che sta succedendo è che i salvataggi bancari non funzionano
più». O meglio: ci si sta orientando verso il “prelievo forzoso” del
risparmio privato. «Gli strati sociali a basso e medio reddito,
invariabilmente indebitati, non saranno le vittime principali.
L’appropriazione dei depositi bancari colpirà essenzialmente dalle
classi medio alte in su, che possiedono depositi bancari significativi. I conti bancari dei piccoli e medi imprenditori saranno colpiti in seguito».
Questa transizione, sostiene Chossudovsky, fa parte della crisi
economica e della criticità soggiacente alla applicazione delle misure
di austerità. «L’obiettivo degli attori finanziari internazionali è
quello di annientare i concorrenti, di consolidare e centralizzare il
potere bancario, di esercitare un controllo preponderante sull’economia
reale, le istituzioni governative e l’esercito». Anche se i piani di
ricapitalizzazione fossero regolamentati e applicati in maniera
selettiva a un numero limitato di istituzioni finanziarie in difficoltà,
«l’annuncio di un programma di confisca dei depositi potrebbe portare a
una “rovina generale delle banche”».
Al punto che, in questo contesto, «nessuna istituzione bancaria è al
sicuro». Ipotesi apocalisse: «L’applicazione (anche locale e selettiva)
delle procedure di ricapitalizzazione che comportano la confisca dei
depositi creerebbe un caos finanziario. Interromperebbe i processi di
pagamento, i salari non sarebbero più versati, né sarebbero disponibili
risorse per gli investimenti per le fabbriche e per le infrastrutture,
il potere di acquisto crollerebbe, le piccole e medie imprese sarebbero
costrette al fallimento».
Se la ricapitalizzazione fosse messa in opera in seno all’Unione
Europea e nell’America del Nord, darebbe inizio a una nuova fase di crisi
finanziaria mondiale, perché intensificherebbe la depressione economica
e la centralizzazione bancaria e finanziaria come quella del potere
imprenditoriale nell’economia
reale, a scapito delle imprese locali e regionali. In seguito, tutto il
circuito bancario mondiale – transazioni, depositi e prelievi – senza
contare le perturbazioni sistemiche sulle transazioni monetarie sui
mercati di Borsa e la borse delle merci. «Le conseguenze sociali
sarebbero devastanti: l’economia
reale cadrebbe in seguito al crollo del sistema dei pagamenti», fino a
minacciare il sistema monetario mondiale integrato e provocare «un nuovo
tracollo economico e, di conseguenza, un ribasso del commercio
internazionale delle merci». Conclude Chossudovsky: «E’ importante che i
cittadini europei e nordamericani agiscano fermamente a livello
nazionale e internazionale contro questi intrallazzi diabolici dei loro
governanti, che operano per conto degli interessi finanziari dominanti
con il fine di creare un processo selettivo di confisca dei depositi
bancari».
(Fonte)
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