Vent’anni di finanziamenti privati: miliardi di lire prima, centinaia di
migliaia di euro poi. Sempre gli stessi nomi pronti a intervenire
trasversalmente con la destra e la sinistra: Della Valle, Benetton,
Caltagirone, Romeo. E tanti altri ancora
Anche nel passaggio dalla lira all’euro lo scalino è stato
ammortizzato. Tanto era allora, il doppio dopo. Anzi, i benefattori
della politica sono stati al passo con gli appetiti crescenti: bonifici
con zeri abbondanti a coprire una perenne campagna elettorale. I nomi
sono quasi sempre gli stessi: presunti capitani d’industria come la
famiglia Riva, imprenditori dall’aspetto illuminato tipo la famiglia
Benetton. O Diego Della Valle, sempre presente negli ultimi vent’anni. I
più generosi e attenti? Tutte le realtà legate al mondo della sanità e
dell’edilizia. Destra, sinistra, centro. Questo ballo coinvolge tutto il
Parlamento.
Sulla via Emilia
Metodici.
Puntuali. Con cifre crescenti. Sono i Merloni, proprietari dell’omonima
azienda legata al mondo degli elettrodomestici e della termoidraulica.
Nel 1994 intervengono con un assegno da dieci milioni a favore di
Beniamino Andreatta, uno da 30 per Gerardo Bianco, 60 al Partito
Popolare e 80 per la neonata Forza Italia. Ma la generosità non finisce
qui: ecco 270 milioni al Patto Segni, sotto la formula del “deposito
fruttifero a garanzia di scopertura bancaria” e altri 20 per il suo
leader Mariotto. Cambia stagione, non la generosità. Nel 1999: 50
milioni ai Ds, altrettanti al Ccd. Occhio alla data: 2001. È l’anno
della chance per Francesco Rutelli come leader del centrosinistra,
l’anno della frase “mangio pane e cicoria”. Per rendere più sfizioso il
companatico, i Merloni si presentano con 100 mila euro; al Patto Segni e
all’Udeur appena 10 mila. Finisce la disponibilità. Nel 2008 l’azienda
entra in crisi: chiusi due stabilimenti, amministrazione straordinaria e
debiti per 543,3 milioni di euro. Parentesi “alimentare” sulla via
Emilia: nel 1994 Parmacotto si presenta con 100 milioni per Forza Italia
e altrettanti per il candidato locale, Elio Massimo Palmizio. Non meno
generoso è mister Idrolitina, alias Giuseppe Gazzoni Frascara, candidato
nel 1995 a sindaco di Bologna. Tra il 1994 e il 1996 si presenta con
oltre 300 milioni tra Forza Italia e il Ccd.
A chi fa le scarpe?
19
marzo 2006. Vicenza. Silvio Berlusconi attacca violentemente Diego
Della Valle. Il signor Tod’s replica dalla platea. Sembrano lontani
umanamente e politicamente, almeno lì. Eppure qualche anno prima la
storia era tutt’altra. Nel 1994 il proprietario della Fiorentina si
presenta da Forza Italia con 100 milioni, mentre sono 135 per il Patto
Segni, sempre con la formula del “deposito fruttifero”. Ma la vera
amicizia è quella con Clemente Mastella: nel 1998 dà 50 milioni ai
Cristiano Democratici per la Repubblica e 150 mila all’Udeur per la
campagna del 2006, a firma di Andrea (altri 100 mila per la Margherita,
da parte di Diego, maggiore dei fratelli). Parallelamente alla passione
politica, cresce anche il pacchetto aziende, tanto da entrare, nel 2011,
nella classifica di Forbes dedicata agli uomini più ricchi al mondo; al
marzo del 2013 egli è al 965° posto (20° italiano), con un patrimonio
di 1,5 miliardi di dollari.
Fattore di “mercato”
Coerente.
Munifico e coerente. È Maurizio Zamparini, spesso in tv o sui giornali,
perché proprietario del Palermo calcio. È un uomo di destra, e quella
parte finanzia. Nel 1994 batte ogni record con due “assegni” da 250
milioni l’uno, a favore del defunto Msi, in procinto di trasformarsi in
Alleanza nazionale. Nel 2001 diventano 200 mila euro; 103 nel 2006 al
Ccd, mentre nel 2008 seduce l’Mpa di Lombardo con altri 100.
Freccia a destra
Qualche
dubbio, un’unica certezza: un misterioso benefattore spedisce nel 1994
97 milioni di lire all’Msi, da poco al governo con Silvio Berlusconi.
Sono tre bonifici provenienti dal Lussemburgo, una situazione talmente
ingarbugliata da costringere Gianfranco Fini a scrivere: “La vostra
somma non è stata ancora utilizzata. Vi preghiamo di volerci segnalare
la causale di tale versamento”. Il titolare della società non sa cosa
rispondere, ma si rifugia in un diplomatico “sostegno e stima da
italiani residenti all’estero”. Peccato che dietro ci fosse il banchiere
italo-svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia, poi condannato a sei
anni di carcere per appropriazione indebita nell’inchiesta di Mani
Pulite.
Il “re” trasversale
Per
Alfredo Romeo una condanna a quattro anni in primo grado, due e mezzo in
appello e la prescrizione in Cassazione, a causa di Tangentopoli.
Definiva i politici come “della cavallette! Anzi, delle iene”. Ma per
lui una seconda opportunità, con un patrimonio immobiliare di 48
miliardi di lire da gestire e 160 milioni di incassi. E la capacità di
intervenire, dove utile, con finanziamenti trasversali: 27.900 euro nel
2002 ai Ds di Roma, 12 a Forza Italia. Altri 20, sempre al partito di
Fassino, per il 2005. E ancora 30 mila nel 2013 a Nicola Latorre, 25 al
Centro Democratico. Oppure a Torino nel 2001: 30 mila per il sindaco
Sergio Chiamparino, 40 a Forza Italia. Infine ha dato 60 mila euro a
Renzi per le primarie. Attenzione: il business di Alfredo Romeo è di
servizi offerti agli enti pubblici. Il 13 aprile di quest’anno la terza
sezione della Corte d’appello di Napoli, lo ha condannato a tre anni per
corruzione. Poche settimane prima aveva vinto una gara bandita
dall’Anci per diventare partner della società che si occuperà della
riscossione dei tributi.
La famiglia Riva
Tutti
e tre schierati. Il padre Emilio Riva, assieme ai figli Nicola e Fabio:
sono i proprietari dell’Ilva di Taranto, ora agli arresti domiciliari.
Nel 2006 finanziarono la campagna elettorale di Pier Luigi Bersani con
98 mila euro. L’ex leader del Pd diventò ministro dello Sviluppo
economico. Ma due anni prima, i tre uomini Riva, avevano elargito 330
mila euro a Forza Italia attraverso tre bonifici. Più altri “spicci”, ai
berlusconiani di Bari, Taranto e Milano.
42 miliardi in sei anni
Nessuno
ha mai negato che Forza Italia fosse la struttura politica di
Publitalia 80, la concessionaria pubblicitaria di Mediaset, la più
potente d’Italia ancora oggi. E nessuno ha creduto a Silvio Berlusconi
quando si lamentava per i soldi spesi in campagna elettorale. Publitalia
ha pompato denaro dal ’94 al 2000 a Forza Italia e ai propri alleati
fra cui Alleanza nazionale, Lega Nord e Udc, ma anche la lista Pannella e
Bonino Presidente: spesso si trattava di sconti sugli spazi
pubblicitari oppure sconti “praticati secondo generali orientamenti di
strategia commerciale”. Qualsiasi fosse la definizione giusta, il
passaggio di favore e l’esborso di Cologno Monzese, la cifra ufficiale è
spaventosa: circa 42 miliardi di lire in sei anni. Ma per confermare la
generosità di Berlusconi va fatto notare un assegno di Forza Italia ai
leghisti di Bossi e Maroni nel 2003, e non c’è scritto che si trattasse
di divisione dei rimborsi pubblici: 300.000 euro.
Il re del
mattone di lusso, soprattutto romano, Sergio Scarpellini ebbe i
contratti per gli affitti di Montecitorio nel 1997. Qualche anno dopo,
l’imprenditore donò 50 milioni di lire ai Ds calabresi e poi 48 mila
euro ai Ds romani. Ma ha sempre contribuito alle spese dei partiti con
le sue società, Milano 90 e Progetto 90. Sempre attento ai Ds prima e Pd
poi: 200 mila euro in totale, 20 mila euro diretti a Michele Meta. Non
manca il fronte centrodestra: 100 mila euro all’Udc, 50 mila al Pdl, 35
ai Cristiano Popolari di Baccini e 25 ai leghisti. Ma chiunque spende
con speranza. Come Giuseppe Grossi, morto un paio di anni fa, vicino a
Comunione e Liberazione, che aveva monopolizzato le bonifiche in
Lombardia: per caso, prima dell’arresto, qualche anno addietro (2001 e
2004), diede 450 mila euro a Forza Italia. Funziona molto la tecnica
della presenza costante con l’associazione Federfarma che pensa a tutti,
proprio a tutti i partiti e ai tanti candidati.
Picconatore in aereo
L’aneddoto
su Francesco Cossiga, allora presidente emerito, merita un racconto. Il
picconatore viaggiava tanto e spesso a spese altrui: nel 1999, la Eliar
lo portò tra la Spagna e l’Italia; nel 2000, Silvio Berlusconi in
persona gli regalò un volo privato Roma-Nizza; poi la Joint Oriented
pagò un Roma-Nizza. Ma chi si spese di più fu la Tiscali del conterraneo
Soru che gli garantì un trasporto annuale gratuito – era il 2003 – da
Cagliari a Roma e da Cagliari a Milano, andata e ritorno ovviamente.
Questo introduce gli oltre 420 mila euro che la Energex diede al Ccd di
Casini prima che diventasse Udc: la società anonima, sede in
Lussemburgo, si occupa di noleggio aereo e la Camera non sa spiegare
questi soldi di “capitale straniero”.
Re del mattone
Il
costruttore romano Domenico Bonifaci, per la campagna elettorale fra
Romano Prodi e Silvio Berlusconi, la sfida numero uno, diede in prestito
3 miliardi di lire al Pds. Ma è soltanto un esempio di quanto, in
questi anni, abbiano speso costruttori e immobiliaristi per sostenere i
partiti: non mancano i Gavio o Toto. Da quando Pier Ferdinando Casini ha
sposato la figlia Azzurra, Gaetano Francesco Caltagirone, attraverso le
varie società di famiglia o in prima persona, non si è risparmiato: ha
donato 2 milioni di euro in poco tempo. Anche se, dieci anni fa, diede
un piccolo contributo di 20.000 euro ai Democratici di sinistra romani. I
Ds in giro per l’Italia, e in particolare nella Capitale, hanno sempre
potuto contare sui signori del mattone. Salini non si è sprecata, scarsi
100.000 divisi fra le varie sezioni rosse, stessa cifra per Italiana
Costruzioni che, però, ne ha dati 25mila all’Udc, più 120 milioni del
’96 al Pds. I Ds di Roma, a colpi di 10 milioni di lire poi diventati
20mila euro, sono stati finanziati tanto dai potenziali o reali clienti
come Romeo di Global Service o come Mondialpol che ha creduto anche nei
progetti di Marrazzo presidente del Lazio o dell’Udc del munifico
Casini. La bolognese Astaldi, che realizza grandi opere, ha sempre
preferito la destra come testimoniano i 100 mila euro a Forza Italia che
mal si sposano con i 70 mila ai Ds di qualche anno prima. I Cantieri
Italiani di Pescara, anche con piccole somme di 5 mila euro, hanno
cercato di tenere in piedi il centrosinistra italiano in Abruzzo: dai
Democratici di Sinistra al Partito popolare hanno effettuato più di 30
donazioni. Tra i grandi finanziatori va ricordato Giannino Marzotto,
amico di Enzo Ferrari, scomparso qualche anno fa, che in un colpo solo
diede un milione di euro ciascuno a Forza Italia e Lega Nord.
Supermercati
Il
patrón di Esselunga, Bernardo Caprotti, non ha mai nascosto le sue
preferenze politiche. E i supermercati enormi, che puntellano
soprattutto la Lombardia, sono merito di sapienza imprenditoriale e di
un buon affiatamento con gli amministratori locali. Esselunga ha sempre
finanziato i candidati di Forza Italia con bonifici di 20 milioni di
lire, stiamo parlando degli anni che vanno dal 1996 al 2000, e tra i
benificiari si trovano anche l’allora sindaco di Milano, Gabriele
Albertini e l’attuale ministro Mario Mauro: entrambi, però, hanno
mollato il Cavaliere per il professor Monti. Una volta sola, nel 2002,
Caprotti stacca un assegno a suo nome di 200 milioni di lire per Forza
Italia: l’anno prima la controllata Orofin ne aveva dati 500. Anche i
centristi di Casini (Ccd) sono nelle grazie di Caprotti, che
contribuisce con 210 milioni di lire in due rate.
Il colore dei soldi
La
famiglia Benetton ha sempre fatto i propri (lauti) affari con debita
distanza dai palazzi romani, ma accade qualcosa di strano nel 2006.
Quando si comincia a parlare di una fusione tra Autostrade per l’Italia e
la spagnola Albertis, un’operazione internazionale, e dunque anche
politica. Prima di conoscere l’inquilino di Palazzo Chigi, se ci sarà la
conferma di Silvio Berlusconi o il ritorno di Prodi, la società investe
1,1 milioni di euro e li distribuisce, sotto forma di donazioni, ai
partiti. Un assegno di 150 mila euro ciascuno per la coalizione di
centrodestra, Alleanza nazionale, Forza Italia, Lega Nord e Udc; stessa
cifra per la coalizione di centrosinistra, Comitato per Prodi,
Democratici di Sinistra, La Margherita e soltanto 50 mila euro per la
piccola Udeur di Clemente Mastella. Il governo di Prodi avrà l’onore di
battezzare lo scambio imprenditoriale con lo spagnolo Zapatero, ma
Antonio Di Pietro, allora ministro per le Infrastrutture, si oppone con
durezza. Finché il progetto non va malamente in archivio.
(di Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce, da il Fatto quotidiano, 13 maggio 2013)
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