Roberto Formigoni all'Agricoltura, Ignazio La Russa alla Giunta per
le autorizzazioni, Daniele Capezzone alla Finanze; Altero Matteoli,
già ministro per le Infrastrutture, alla Lavori pubblici del
Senato; Giancarlo Galan, già ministro della Cultura, alla Cultura
della Camera; Cesare Damiano, già ministro del Lavoro, alla Lavoro
di Montecitorio; Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro, alla
Lavoro di Palazzo Madama; Fabrizio Cicchitto e Pier Ferdinando
Casini omologhi alla Esteri nei due rami del parlamento; Elio Vito
e Nicola Latorre omologhi alla Difesa, Francesco Paolo Sisto e Anna
Finocchiaro alla Affari Costituzionali.
E così, alla faccia del rinnovamento, le presidenze delle
commissioni parlamentari sono diventate in questa anomala
legislatura una specie di cimitero per ex ministri, ex governatori,
ex volta gabbana, elefanti della politica in genere. Uno spettacolo
affascinante: non sono riusciti a (ri)entrare al governo, ma sono
almeno presidenti di qualcosa. Poltroncina di consolazione. Il
fontanone a cascatelle successive della politica li ha spinti un
po' più in basso, ma li ha garantiti dal finire nell'acquaio del
parlamentare semplice. Non sono mica onorevoli qualsiasi. Casini e
Finocchiaro, per dire, erano in predicato per la presidenza del
Senato. Mica bruscolini.
E adesso, al pari di tutti gli altri colleghi (tra i quali giovani
spiccano un redivivo Capezzone ormai prova senza rughe
dell'eternità in politica e un Francesco Boccia, caso unico nella
storia, marito di un ministro dell'opposto schieramento) avranno,
da presidenti, numerosi vantaggi. Un potere prima di tutto
politico: da loro dipende, prima che dai lavori d'Aula, il grado di
velocità di un progetto di legge.
E' il presidente di commissione, infatti, a stabilire (sentiti i
partiti, fatti i dovuti bilancini) il calendario dei vari ddl, a
decidere quale si esaminerà prima, quale dopo, quale mai, e
soprattutto a stabilire con quale ritmo e accuratezza si procederà.
Grazie a questo sistema, per dire, nella scorsa legislatura la
finiana Giulia Bongiorno rallentò di mesi e mesi la legge sulle
intercettazioni, disponendo calendari infiniti di consultazioni di
esperti della materia. Per non parlare della commissione Bilancio:
l'organismo che alla Camera stavolta è guidato da Boccia e al
Senato di nuovo da Antonio Azzollini (giunto alla sua quinta
legislatura), passa allo scanner tutte le proposte di legge per
verificare se ci sia la cosiddetta "copertura economica", vale a
dire i soldi perché si possano realizzare. E basta un suo parere
negativo per bloccare tutto.
Poteri politici che non sono da meno dei poteri pratico-economici.
Ogni presidente di commissione ha infatti diritto a più soldi: una
indennità aggiuntiva rispetto a quella parlamentare (5 mila euro),
di circa 1200 euro (conseguenza dell'appena varato taglio del 30
per cento, prima erano di più). Soldi ai quali il solo presidente
della commissione Agricoltura della Camera, Ermete Realacci, ha
annunciato, omaggio ai tempi, di voler rinunciare, provocando
vistosi mugugni tra i colleghi. La parte più consistente dei
vantaggi, però, riguarda la possibilità di assumere personale.
Ciascun presidente, infatti, ha a disposizione ben tre "decreti",
ovvero tre contratti (a termine) stipulati e gestiti direttamente
dal Palazzo. Fino alla scorsa legislatura alla Camera si trattava
di due assunzioni di quarto livello (il minimo netto è di 1.876
euro ciascuno) e una di quinto (2.920 euro): e anche adesso che a
Montecitorio sono stati varati tagli per circa il 25 per cento, si
tratta comunque di un pacchetto di quasi ottomila euro al mese che
i presidenti di commissione possono elargire anche a sei persone
(ciascun contratto può essere spezzettato), a titolo di
consulenza, lavoro di segreteria o quant'altro. E che si aggiunge
ai consueti 3.690 euro che ciascun deputato ogni mese riceve (in
questo caso direttamente sul proprio conto) per assumere in proprio
collaboratori e far fronte alle altre spese cosiddette "per
l'esercizio del mandato".
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