Erano gli anni Sessanta quando la miniera di Pasquasia, oggi quasi sconosciuta ai più, era una vera e propria risorsa per la Sicilia.
L'estrazione di sali alcalini misti e, in particolar modo di Kainite,
aveva permesso all'isola di accumulare un'importante ricchezza:
l'azienda che assieme alla Regione Sicilia aveva in gestione la miniera,
la Italkali, infatti, rappresentava addirittura la terza fornitrice di sali potassici in tutto il mondo, nonché la prima per la qualità.
Una ditta importante e illustre che dava lavoro a migliaia di persone tra le province di Enna e Caltanissetta, una fonte occupazionale che risultava essenziale per la popolazione. Questo idillio si spezzò, però, nel 1992.
Una ditta importante e illustre che dava lavoro a migliaia di persone tra le province di Enna e Caltanissetta, una fonte occupazionale che risultava essenziale per la popolazione. Questo idillio si spezzò, però, nel 1992.
Quell'anno, infatti, la miniera venne chiusa.
Improvvisamente, senza motivazioni -se non un tanto lacunoso quanto
sospetto “costi troppo alti”-. I lavoratori vennero licenziati,
scatenando proteste al riguardo. Soprattutto perché i battenti vennero
serrati nel totale disinteresse delle istituzioni, nel
silenzio dello Stato, il quale, considerata la crisi che la Sicilia
vedeva nel campo occupazionale, avrebbe dovuto per lo meno promuovere
dibattiti in merito. E invece niente. Come se a Roma non avessero mai
saputo neanche dell'esistenza della prestigiosa cava.
Fu necessario attendere fino al 1995 prima che qualcosa tornasse a muoversi. Merito dell'onorevole siciliano Giuseppe Scozzari. Il politico, quell'anno, si trovava a Washington, per partecipare ad una conferenza riguardante il trattamento e stoccaggio del combustibile nucleare esausto.
Fu allora che molti dubbi vennero sollevati: in quell'occasione,
infatti, i relatori citarono circa mezza dozzina di siti funzionanti in
Europa Occidentale, all'interno dei quali venivano depositate scorie
nucleari di basso e medio livello. Tra questi, la miniera di Pasquasia,
tra l'altro sita in una zona a rischio sismico. L'onorevole s'interessò
alla vicenda. Presentò un'interrogazione parlamentare
per saperne di più, ma non ricevette mai una risposta. Tentò di
introdursi nel sito, anche in questo caso senza venire a capo di niente:
le istituzioni italiane e internazionali gli rifiutarono l'accesso. Ben
più grave, lo fecero nonostante -o forse proprio- sapessero che chi
gestiva la miniera poteva contare contatti con Cosa Nostra.
Ma che Cosa Nostra c'entrasse non c'era da dubitarlo. D'altronde, il
primo in assoluto a parlare dei rifiuti radioattivi celati nella miniera
di Pasquasia era stato il pentito Leonardo Messina, tra i boss di maggiore spicco della mafia siciliana e capocantiere presso il sito. Fu lui a spiegare a Paolo Borsellino
che là sotto si celavano rifiuti atomici provenienti dall'Est Europa.
Non solo: il collaboratore di giustizia raccontò che questo genere di
attività, illecite, venivano perseguite dal 1984, mentre la miniera era ancora operativa. Narrò anche di quando il Sisde contattò alcuni amministratori per avvisare che presto il sito sarebbe servito per altre attività, coperte da segreto militare. Domandavano, cioè, di poter seppellire sostanze di non ben definita natura. Inutile dire che furono dichiarazioni scottanti, che convinsero i magistrati ad avviare numerose inchieste ma che mai riuscirono a vedersi compiute.
Eppure, delle conferme, esistevano. Nel manuale di indirizzi generali
e pratiche di gestione dei rifiuti radioattivi, stilato nel 1990, dall’Enea,
l'agenzia nazionale per lo sviluppo, si parlava chiaramente “di azioni
per la costruzione, in collaborazione con l’Italkali di Palermo, di un
laboratorio sperimentale sotterraneo nella miniera attiva di sali di
Pasquasia (Enna).”
Il Corpo Regionale delle miniere, poi, interruppe i suoi lavori di
manutenzione e vigilanza degli impianti appena dopo la chiusura del
sito. Fu così che le stesse operazioni vennero affidate a quattro
società di sicurezza privata.
Nel 1997, nuove tracce. Un controllo dell'Usl rivelò la presenza di Cesio 137,
in concentrazioni superiori alla norma, la qual cosa poteva avere un
unico significato: vi era stato un incidente, nella totale ignoranza
degli abitanti, supportato anche dall'aumento di casi di leucemia e
tumori nel territorio. Nello stesso anno, la procura di Caltanissetta
dispose un'ispezione all'interno della miniera: vennero rinvenute alcune
centraline di rilevamento rilasciate dall'Enea, ma nessuno seppe spiegare a cosa potessero servire.
Una serie di misteri che, proprio come accadde a Scozzari, fecero insospettire un altro parlamentare: Ugo Maria Grimaldi,
a quel tempo assessore al Territorio e Ambiente alla Regione Sicilia.
Egli tentò di farsi autorizzare l'accesso all'interno delle gallerie di
Pasquasia, cosa che ottenne solo dopo aver superato molti ostacoli. Una
volta dentro, raccontò durante un'intervista datata 2001, si trovò di
fronte a dei pozzi che, secondo lui, erano stati
riempiti prima del suo arrivo con del materiale atto a nascondere ciò
che originariamente vi era sotterrato. Ovviamente, le sue denunce a
nulla valsero e il silenzio tornò ad imperare sul sito siciliano. Appena
qualche accenno nel 2003, quando una riunione coordinata dall'allora
Presidente dei Consiglio Berlusconi e dai Ministri Matteoli, Marzano,
Giovanardi, Pisanu e Letta, si indicò “Pasquasia
come uno dei venti siti nazionali idonei allo stoccaggio di materiale
radioattivo. Perché annoverato tra quelli con presenza di salgemma
ritenuti per anni particolarmente adatti al confinamento delle scorie
radioattive in virtù dell’impermeabilità dell’acqua delle strutture
saline”. E poi ancora tre interrogazioni parlamentari, nel 2011, cadute
nel vuoto, ma, soprattutto, un evento inquietante: l'omicidio
dell'avvocato palermitano Enzo Fragalà, trovato senza vita nel 2010 di
fronte il Palazzo di Giustizia del capoluogo, massacrato a bastonate.
Per il penalista la cava di Pasquasia era un vero e proprio cruccio da
risolvere, un interesse che potrebbe averlo condotto alla morte, di cui
ancora non si conoscono i colpevoli.
Una svolta parve accadere nel 2012, quando il presidente della Sicilia, Lombardo, annunciò che erano pronti 24 milioni di euro per rimuovere da Pasquasia “22mila metri cubi di terreno e materiali inquinati”.
Un'ammissione della presenza di scorie radioattive? Assolutamente no.
La bonifica avrebbe infatti interessato soltanto dei residui d'amianto
contenuti in bidoni nei pressi della miniera, che già avevano comportato
il sequestro del sito da parte della Procura di Enna. Depositi di
rifiuti tossici che, con non troppa fantasia, si configuravano come esche per
nascondere il vero problema, quello del sottosuolo, laddove poteva
celarsi la reale fonte di inquinamento. Un altro sopralluogo dell'Arpa Sicilia,
sempre dell'anno scorso, non rivelò alcuna emissione radioattiva:
eppure, anche in questo caso, gli esami erano stati condotti soltanto in
superficie.
La decisione di smaltire l'amianto nei bidoni, comunque, portò nuovi
intoppi: i lavori sarebbero dovuti partire nel settembre 2012, ma a
seguito di un contenzioso legale tra due società lombarde che
parteciparono alla gara d'appalto per l'assegnazione dei lavori,
l'operazione ha subito un ritardo che si è protratto per mesi, almeno
fino allo scorso aprile, quando il Tar del Lazio ha
emesso la propria sentenza decretando quale, tra la 1 Emme di Brescia e
la Consap di Milano, dovrà operare a Pasquasia. La decisione verrà resa
pubblica nei prossimi giorni, e i lavori potranno finalmente partire. E
sempre dei giorni scorsi è la notizia secondo cui l'ex consegnatario
della miniera, Pasquale La Rosa, imputato per disastro ambientale
per non aver smaltito quegli scarti d'amianto, è stato assolto da ogni
accusa. Così che, a seguito delle operazioni di bonifica, potrebbero
persino riprendere le attività estrattive, dopo oltre un decennio.
Questa novità potrebbe portare una soluzione al giallo: una
riapertura della miniera sarebbe come annunciare che non vi sarebbe mai
stata nessuna attività illecita, legata a servizi segreti e Cosa Nostra.
Nessun rifiuto radioattivo nascosto, niente di niente. Se non che, la
prima ditta ad essersi dichiarata interessata ad un'eventuale ripresa
delle estrazioni di sali, è proprio la Italkali. Quella che la possedeva già negli anni Ottanta, quando tutto ebbe inizio.
(Fonte)
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