Tutto era pronto nel Castello. I
dignitari di corte, in gran pompa, si apprestavano alla grande premiere
del film che avrebbe cambiato la vita dei sudditi. Considerando il tipo
di spettacolo, un film di cartoni animati, edulcorato e
sentimentalistico, prodotto dalla Walt Disney, erano accorsi anche i
familiari, coniugi, bambini, tate, parenti prossimi. Nel Regno di
Mitomània, il Bel Paese della vecchia Europa, la popolazione in festa si
accingeva a presenziare al rito celebrativo. Mamme e padri premurosi
avevano portato i figli nelle zone predisposte intorno al Castello,
nella speranza di poter carpire, per un colpo di fortuna, il lembo
svolazzante di una gonna, l’ombra di un foulard, il risvolto di un
doppiopetto firmato in alta uniforme; sarebbe bastato un solo attimo,
fuggevole ma sufficiente, per poter scattare con il cellulare una
fotografia da far vedere ai vicini e poter dir loro: c’ero anch’io quel
giorno, a corte. Finalmente la sala si riempì, le luci si spensero e il
proiettore illuminò, con i titoli di testa, il gigantesco schermo
allestito per l’occasione nella Gran Sala d’Armi del Castello.
Ma all’improvviso, accade qualcosa d’insolito, di inconcepibile, di sorprendente.
Invece dei cartoni animati, sullo schermo
cominciarono ad apparire delle immagini in bianco e nero e il film per
bambini si trasformò in un macabro dramma di Alfred Hitchcock. I bambini
si misero a piangere, le giovinette impallidirono, le cortigiane di
Mitomània urlarono dallo sdegno, ci furono svenimenti e proteste. Nel
regno surreale del paese delle meraviglie, aveva fatto irruzione Madama la Realtà.
E i sudditi del Regno di Mitomània, quantomeno i più sensibili e
accorti, si resero conto che, per la prima volta, la consueta farsa si
era trasformata in una vera tragedia. Classica.
Ciò che è accaduto davanti a Montecitorio
contiene l’elemento fondamentale che definisce la tragedia greca
classica per antonomasia, ovverossia la condizione tale per cui non ci
sono né buoni nè cattivi (caratteristica del dramma) non sono previsti
esiti da burlesque (caratteristica della farsa) né tantomeno allegre
battute sporcaccione (funzione della commedia) bensì un teatro in cui la
vittima e il carnefice sono entrambi oggetto di compassione, perché non
sono l’uno contro l’altro, non sono nemici, né oppositori: sono
entrambi oggetto dell’ira degli dei, i quali –perché in lite tra di
loro- hanno obnubilato la ragione, appannato l’etica della
relazionalità, gettando gli umani in uno stato confusionale di
conflittualità permanente violenta, definita, per l’appunto: tragedia.
Noi stiamo vivendo una tragedia. Ed è bene esserne consapevoli per
vivere (almeno questo) la liberatoria funzione catartica che la tragedia
offre come elemento di evoluzione spirituale, emotiva, psichica.
Perché il carabiniere sofferente in ospedale, oggettivamente una
vittima innocente, merita la compassione umana dell’intera cittadinanza.
Ma la merita anche l’attentatore, oggettivamente un carnefice fuori di testa perché disperato, da parte di tutti noi.
Se vogliamo trarne una lezione, imparare una lezione di civiltà e maturare una volta tanto.
Sono entrambi degli angeli, ammanettati dalla perfida catena del
disagio sociale che rappresenta la malattia mortale della nostra
società.
E’ una tragedia perché ve ne sono tutti i
connotati. Quando una vittima sceglie di trasformarsi in carnefice
perché vive in un mondo in cui gli hanno insegnato che non esistono né
diritti né doveri, né rispetto né compassione, né fedeltà né
solidarietà, dove tutte le barriere della tenuta civile del nostro
Essere Umani sono state abbattute, allora vuol dire che quel paese è
finito in uno scenario classico della tragedia greca: tutto è concesso,
la Legge non ha più valore, al concetto di cittadinanza è subentrato
quello di sudditanza, la pietas non trova ascolto perché
sostituita dall’interesse privato, e chi regna non sa che cosa avvenga
nel territorio della realtà perché vive nella surrealtà della vita del
Castello.
Si scatenano pertanto le pulsioni primitive e fioriscono gli Iago
traditori, gli amletici dubitanti, le Clitennestra deliranti e le Furie e
le Erinni cavalcano a cielo aperto, invisibili all’occhio degli umani,
mute tessitrici della cappa di depressione sociale che incombe su di noi
nascondendoci il sole del Bel Paese che fu.
Si dice che il carnefice era un ludopata,
ossessionato dal video poker, un povero disgraziato, privo di elaborati
strumenti psico-culturali, travolto da una disperazione esistenziale
che poteva essere colmata soltanto aderendo all’invito perentorio che
proviene dal Castello, quotidianamente, incessantemente, ogni giorno,
centinaia di volte, attraverso la propaganda di Stato del Regno di
Mitomània su tutte le reti televisive: “vuoi vincere facile? Allora
acquista un gratta evinci” e che introduce, attraverso continui messaggi
subliminali, l’altro invito che in realtà è un ordine “vai al bar
sottocasa e gioca alle video slot, vai alla sala bingo e punta su un
numero” perché tu non hai diritti, non vali nulla come essere umano, non
hai accesso al mercato del lavoro, perché al Lavoro è stata sottratta
la sua funzione di “Valore Sociale”, non riuscirai mai a ottenere nulla
di utile da te stesso, la tua unica e ultima speranza è puntare
sull’azzardo cieco che noi, Stato amorevole e paterno, mettiamo a tua
disposizione in ogni bar di ogni quartiere, di ogni comune, di ogni
città, di ogni provincia, di ogni regione del Gran Regno di Mitomània.
C’è da stupirsi che un evento tragico come quello si sia verificato?
Nelle tragedie non esistono complotti dietrologici, tutto avviene in
maniera chiara, perché la tragedia si dipana nel racconto narrativo di
quella che definirei “la occulta regia emotiva”, ben più poderosa,
perniciosa e diabolica di quella del grande vecchio delle brigate rosse o
del terrorismo nero vissuto 40 anni fa.
La copertina e il testo interno del
settimanale L’Espresso, laddove si presentava l’immagine di Beppe Grillo
come quella di un avido speculatore finanziario che aveva aperto
miliardari resort in Costa Rica, dimostratasi subito falsa: quei
giornalisti sono i “mandanti emotivi”. Così come lo sono i giornalisti
de L’Unità che in prima pagina, solo venti giorni fa, mostravano
un’immagine di Grillo e Berlusconi appaiati, sostenendo che si fossero
associati per fare il governo. Quei mascalzoni dei hacker che hanno
oscenamente violato la discrezione della privacy dell’onorevole Giulia
Sarti, senza che nessuno della cupola mediatica abbia osato gridare allo
scandalo, neppure da parte dei più alti organi di controllo della
magistratura: quelli sono i veri “mandanti emotivi”. Tutti coloro che
ogni giorno sulla stampa, su facebook, su twitter, falsificano la
realtà, la camuffano, la alterano, e si lanciano in attacchi personali e
violenti contro chi la pensa diversamente, al solo fine di ottenere dei
contatti pubblicitari o una squallida soddisfazione egoica narcisista,
ebbene, tutti questi sono i “mandanti emotivi”. I giornalisti sciacalli
in cerca di uno scoop, quelli che sono andati a intervistare il figlio
dell’attentatore, e hanno messo sotto pressione un bambino di dieci
anni, con una vita difficile già rovinata, tutta in salita, queste vere
iene sono “i mandanti emotivi” della sparatoria di Montecitorio.
Tutti i facitori di odio, sono “i mandanti emotivi”.
E valga per tutti la copertina del quotidiano “Il Giornale” che vedete in bacheca: loro sono “i mandanti emotivi”.
I giudici della Corte Costituzionale, nel
2012, hanno bocciato la legittima richiesta da parte del pubblico
ministero genovese perché si imponesse alle dodici concessionarie che
gestiscono il gioco d’azzardo legale in Italia di pagare la cifra dovuta
di 98 miliardi di euro come era stato stabilito, approvato, sentenziato
e legiferato nel 2007. Accolto il ricorso da parte degli imputati è
stato applicato uno sconto del 98%, la pena pecuniaria ridotta a 2
miliardi. Quei giudici hanno scelto che invece di pagare i 120 miliardi
di debiti alle piccole e medie imprese, lo Stato dovesse regalarne 96
agli industriali dell’azzardo legalizzato. Loro, sono “i mandanti
emotivi”.
Come se dentro al Castello, vi sia una
strategia accurata, tesa ad ammalare la società, a ottundere il
pensiero, a interpretare le responsabilità dell’esecutivo come la
consueta variante del Regno di Mitomània, dove l’illusione sostituisce
la realtà e va sempre tutto bene e sempre tutto andrà a posto e non c’è
di che preoccuparsi.
Dipende da noi, da tutti noi, da tutti i 60 milioni di cittadini,
fermare il dipanarsi di questa tragedia. Bisogna cominciare a eliminare i
focolai dove alligna il virus.
Il neo ministro Graziano Delrio (uno dei
migliori tra i nuovi governanti del regno) è una persona solida,
equilibrata, ottimo medico, padre di nove figli, sindaco di Reggio
Emilia (fino all’altro ieri) che ha portato quella città al vertice dei
comuni virtuosi, segnalato a Bruxelles come uno dei cento comuni più
virtuosi d’Europa, primo d’Italia. Costui, circa otto mesi fa,
angosciato all’idea di vedere la sua cittadinanza abbrutirsi nei bar
affollati da ludopati, si è precipitato nel Comune, ha convocato
l’intero consiglio e, con una maggioranza del 90%, ha fatto approvare
d’urgenza con “decorrenza immediata” un decreto ingiuntivo che ha
imposto ai concessionari del gioco d’azzardo legale di portare via tutte
le macchinette, tutti i minicasinò, tutte le sale bingo, fuori dal
centro abitato, costituendo una specie di centro giochi per ludopati in
aperta campagna, purchè a distanza da dove la gente vuole vivere.
Non è stato dato alcun risalto alla vicenda: zero visibilità.
C’è quindi un precedente: quella è una possibile strada da seguire.
“Voglio tutte le macchinette del gioco
d’azzardo fuori dal centro abitato della mia città’ e lo voglio subito:
c’è un precedente, l’ha fatto il Ministro Delrio”. Questa è una
battaglia immediata che noi 60 milioni di sudditi possiamo fare per
porre un argine al dilagare vergognoso di questa piaga sociale che lucra
sulla disperazione esistenziale spappolando i cervelli.
L’attentatore è una vittima trasformatasi
in carnefice perché il suo cervello dipende ormai da una macchinetta
elettronica che gli trasmette gli input, anche se lui non lo sa. Ma lo
sappiamo noi. E lo sanno tutti gli abitanti del Castello.
Diamo tutti, subito, una risposta operativa contro la tragedia.
Per ogni video slot di meno, c’è una
persona in più che, forse, dico forse, può pensare, ragionare, e quindi
ideare, inventare, produrre.
Sveglia cittadini. Facciamo qualcosa
subito, insieme, senza faziosità. E se non fate nulla, non lamentatevi
poi se un giorno, nel Gran Regno di Mitomània, i consueti burlesque e i
cartoni animati proiettati nel Castello, si trasformeranno in tragedie
esistenziali vere. Le vostre.
(Fonte)
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