[Ricordate
la questione dell' aquisto del microscopio elettronico grazie a una
campagna promossa da Grillo con raccolta popolare di fondi che in
breve raggiunse i 378.000 Euro? lo strumento non è più in dotazione
a
Stefano Montanari e
la moglie Antonietta
Morena Gatti o
meglio lo è ma limitato ad una sola giornata a settimana. Ora dal
dicembre 2011, per volere di un giudice, i due studiosi possono
andare un giorno la settimana a Pesaro, dove si trova lo strumento,
sobbarcandosi sette ore di viaggi.]
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Roberta Doricchi dell’Associazione Vita al Microscopio ha
intervistato la dottoressa Antonietta Gatti immediatamente dopo il suo
ritorno dalla Cina dove un consesso di scienziati provenienti da tutto
il mondo l’ha insignita del titolo di Fellow dell’International Union of Societies for Biomaterials Science and Engineering per il suo contributo al progresso della scienza.
Le varie società nazionali di biomateriali e bioingegneria contano decine di migliaia di membri a livello mondiale e l’unione delle varie società ha eletto la dottoressa Gatti a far parte dell’élite di scienziati che si compone di 32 membri.
Le varie società nazionali di biomateriali e bioingegneria contano decine di migliaia di membri a livello mondiale e l’unione delle varie società ha eletto la dottoressa Gatti a far parte dell’élite di scienziati che si compone di 32 membri.
VM
– Prima di tutto, congratulazioni per il riconoscimento
internazionale. Che cosa significa essere nominata Fellow
dell’International Union of Societies for Biomaterials Science and
Engineering?
A.M. Gatti
– Che cosa significa in generale è detto nelle motivazioni: ho
contribuito al
progresso della scienza, il che, tutto sommato, fa
parte del mio dovere di ricercatrice. La definizione del gruppo di
cui ora faccio parte, il College of Fellows, l’ha data il professor
Peppas, presidente dell’International Union of Societies for
Biomaterials Science and Engineering: the best of the best scientists
in the world, cioè i migliori tra i migliori scienziati del mondo.
Impegnativo. Che cosa significa per me è un po’ complicato da
spiegare. Non ci sono dubbi che la cosa mi ha fatto piacere anche se,
in fondo, non è stata una sorpresa. Intanto ero stata informata
della cosa oltre sei mesi fa, e poi, quando non ci sono interessi
personali e conflitti d’interesse in ballo, era difficile per chi
fa scienza e basta non riconoscere il valore della scoperta. Non mi
fraintenda: nessuna presunzione da parte mia. Semplicemente mi sono
accorta di cose che forse erano passate sotto gli occhi di chissà
quanti altri scienziati ma nessuno si era soffermato a considerarle
per quello che erano in realtà. Soddisfazione per il riconoscimento
sì ma anche tristezza.VM – Tristezza?
A.M. Gatti –
Sì, e a spiegarla basta dare un’occhiata a che cosa fece a suo
tempo chi doveva accorgersi per primo dell’importanza della
scoperta, se non altro perché io ero inserita nel sistema di chi
aveva il dovere di accorgersene. E basta dare un’occhiata a tutto
quanto è accaduto sul mio conto, negli anni, in Italia, il paese
che, bene o male, è quello in cui sono nata e in cui lavoro. Non si
può certo dire che la scoperta delle nanopatologie sia stata accolta
con gioia, che io e il mio piccolissimo gruppo siamo stati agevolati…
Addirittura l’Università mi ha prepensionata.
VM
– Com’è possibile?A.M. Gatti – Dal punto di vista legale la cosa non fa una piega: l’Università lo poteva fare e lo ha fatto.
VM – Il motivo?
A.M. Gatti – Sarebbe interessante chiederlo a loro: evidentemente non c’era bisogno di me.
VM
– E il laboratorio di biomateriali che lei aveva fondato e diretto
all’interno dell’Università?
A.M. Gatti –
Non saprei: non ho più contatti. Il problema grosso, il problema
urgente, era quello legato ad una serra sperimentale che, come
responsabile di un progetto nazionale, avevo costruito insieme con i
miei partner di progetto e che, dal punto di vista burocratico,
prevedeva la mia affiliazione all’Università. In quella serra si
studiano gl’impatti delle nanopolveri su vegetali e insetti. Io
feci il diavolo a quattro per non essere pensionata, visto che il mio
pensionamento anticipato era tutt’altro che obbligatorio, ma non ci
fu niente da fare: per l’Università era necessario che io me ne
andassi.
VM
– Ma l’Università può rinunciare all’apporto di uno
scienziato il cui valore di eccellenza è riconosciuto a livello
mondiale?
A.M. Gatti –
Faccia lei.VM – Ma lei lavora anche con organismi internazionali come la NATO, come il Dipartimento di Stato Americano…
A.M. Gatti – E altri.
VM – E noi facciamo a meno di lei?
A.M. Gatti – Sarà una questione di abbondanza…
VM – E adesso?
A.M. Gatti –
Adesso forse riusciamo a salvare la serra. Da qualche mese io sono
stata adottata dal CNR di Faenza, il che mette un po’ a posto la
burocrazia, e, grazie anche e, devo dire, soprattutto, alla
collaborazione di don Giancarlo Suffritti, il parroco che ospita la
serra nel terreno della sua parrocchia, speriamo di riuscire a
portare a termine la sperimentazione, una sperimentazione che sta
fornendo risultati preliminari veramente interessanti.
VM
– Il CNR di Faenza… Ma lei lavora ancora alla Nanodioagnostics di
Modena con suo marito?
A.M. Gatti –
Naturalmente sì. Quel laboratorio fu messo in piedi proprio per
permettermi di portare a compimento il primo progetto europeo che
diressi e fu concepito su misura per la ricerca sulle nanopatologie.
VM
– E il famoso microscopio di Grillo che stava proprio alla
Nanodiagnostics?
A.M. Gatti –
Beh, credo che la cosa sia nota o, almeno, che l’informazione stia
cominciando a girare. Due anni e mezzo fa Grillo ci fece sottrarre
l’apparecchio che adesso, dopo essere restato inattivo
all’Università di Urbino per un anno e mezzo è in dotazione
all’ARPA di Pesaro dove è in attesa di un impiego almeno
continuativo. Da dicembre, per volere di un giudice, io posso andare
un giorno la settimana a Pesaro, tra parentesi sobbarcandomi sette
ore di viaggio, e usare quello che, nelle intenzioni di chi donò
quattrini, doveva essere il microscopio di mio marito e mio. Poi non
è andata così.
VM
– Perché?
A.M. Gatti –
Il perché io credo di conoscerlo ma, un po’ alla Pasolini, non ho
le prove documentali. Certo con le nostre ricerche intralciavamo
interessi enormi. (La
vicenda è spiegata a quest’indirizzo
web [N.d.R.].)
VM
– Ha qualcosa da dire a Beppe Grillo?
A.M. Gatti
–Che cosa vuole si
possa dirgli? Grillo si è solo prestato a qualcosa di cui non credo
abbia capito la portata. E poi mio marito sta cercando da anni di
avere un confronto con lui, ma non c’è niente da fare: Grillo
scappa e censura.
VM
– Se non sbaglio, chi vi tolse il microscopio sosteneva che voi lo
sottoutilizzavate e che non avete prodotto niente dal punto di vista
scientifico.
A.M. Gatti –
Trattandosi di un comico… Forse a qualcuno sorgerà un dubbio: come
avranno fatto quelli dell’International Union of Societies for
Biomaterials Science and Engineering a volermi tra la loro élite se
abbiamo oziato fino ad ora?
VM
– Che cosa significa ora avere il microscopio a Pesaro?
A.M. Gatti –
Dal punto di vista personale significa un’alzataccia una volta la
settimana, anche se alzatacce ne faccio spesso, e per tutti significa
un rallentamento vistoso della ricerca. Pensi che quando Grillo ci
sottrasse lo strumento avevamo in corso, tra le altre, una ricerca
sulle malformazioni fetali che abbiamo purtroppo dovuto sospendere.
VM
– Lei insiste sempre sui bambini…
A.M. Gatti –
Naturale: la nostra generazione ha fatto guai a non finire e ci siamo
divorati tutta l’eredità dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Cercare di metterci almeno una pezza è un dovere di onestà.
VM
– Come si fa per i divi, la solita domanda: quali sono i suoi
progetti futuri?
A.M. Gatti –
Non credo di riconoscermi nel salotto dei divi: io ho sgobbato tutta
la vita e, come Tassoni, il poeta di Modena, la città che mi ospita,
penso che potrei essere verosimilmente ritratta con un fico in mano
che, come accadde a lui, è tutto quanto di materiale ho ricevuto. Ma
questo non ha nessuna importanza. Che cosa voglio fare? Sarebbe
meglio dire che cosa devo fare: io di idee ne ho tante e di materiale
sperimentale già pronto da approfondire e sviluppare ne ho una
montagna. Credo che nessuno si stupisca se dico che la ricerca costa
quattrini e senza quelli le idee restano confinate al cervello. Io,
come mio marito, lavoro gratis e, anzi a mie spese, e più di quanto
faccio e facciamo non credo proprio sia possibile. La cosa più
impellente da fare ora è recuperare il microscopio che ci è stato
sottratto. Senza quello è come avere un calciatore senza pallone.
VM
– Come si può riaverlo?
A.M. Gatti –
Quello che si raccontò ai donatori che doveva essere nostro e che
ora è a Pesaro è difficilissimo da recuperare. C’è un processo
in corso ma siamo alle prime battute del primo grado di giudizio e,
conoscendo i tempi della giustizia nostrana, ne parleremo tra almeno
dieci anni. Il che è esattamente ciò che si voleva portandocelo
via: imbavagliarci. L’unica possibilità reale è quello di
acquistarne un altro e, questa volta, che sia intestato a noi per
evitare fregature.
VM
– Il costo?
A.M. Gatti –
La possibilità più economica per un apparecchio che si adatti a ciò
che facciamo noi costa, tutto compreso, intorno ai 260.000 Euro più
qualche accessorio. Non è esattamente il microscopio ideale, perché
quello di Euro ne costa 400.000, ma ce lo faremmo andare bene
ugualmente. Poi si tratta di mantenerlo, perché quelli del
mantenimento sono costi da affrontare.
VM
– In fondo non parliamo di una cifra enorme.
A.M. Gatti –
Per noi è una cifra inimmaginabile, ma per una nazione di 60 milioni
di abitanti… Soprattutto se si pensa che non passa giorno senza che
qualcuno, molto spesso più di qualcuno, venga a chiederci aiuto, un
aiuto che oggi non siamo in grado di dare.
VM
– Chi chiede aiuto?
A.M. Gatti –
Una varietà notevole di persone. Si va dal militare malato di
cancro, spesso giovanissimo, alla signora che continua ad abortire
poltiglia o che ha un bambino malformato. Spessissimo, poi, sono
persone cui si sta costruendo dietro casa un inceneritore o una
centrale a biomassa, e c’è ben poca differenza tra i due impianti.
Pensi che roba del genere esiste a poche centinaia di metri da
abitazioni o da scuole e le cosiddette autorità non muovono un dito.
Anzi, “tranquillizzano” e la prego di scriverlo tra virgolette.
Ma, al di là dei bambini che rappresentano un punto cruciale
dell’impegno mio e di chi lavora con me, e un punto che ci dà
forza e rabbia, credo ci sia da preoccuparsi di un gruppo di persone
particolari tra quelle che chiedono di essere aiutate: pazienti
affetti da malattie cosiddette misteriose cui i medici non sanno
attribuire una diagnosi né, tanto meno e a maggior ragione, sanno
applicare una terapia. Pensi alla SLA o alla sensibilità chimica
multipla, ma esistono malattie di cui non esiste nemmeno uno straccio
di casistica perché non si erano mai viste prima. È fin troppo
ovvio che io non presumo di risolvere tutti i casi che mi si
presentano, ma di certo posso fornire non poi troppo raramente
elementi diagnostici e di prevenzione importanti. Forse, però,
dovrei dire non posso ma potrei, viste le condizioni in cui il mio
gruppo è stato ridotto nell’indifferenza generale. Ma la speranza
che gli Italiani si sveglino resta accesa.
VM –
Ve ne andrete all’estero anche voi?
A.M. Gatti –
All’estero ci sono già andati quattro dei nostri ragazzi, troppo
in gamba per giocare in una squadretta da quattro soldi com’è
l’Italia di oggi. Quanto a noi, non ci s’illuda: la nostra guerra
è qui e sono in troppi a dover pagare per comportamenti non
propriamente corretti. Se ce ne andassimo, chi si è comportato male
potrebbe in qualche modo farla franca. Nessun desiderio di vendetta:
solo un’esigenza di giustizia, e giustizia non tanto nei nostri
riguardi ma verso tutto coloro che soffrono sulla loro pelle per gli
interessi non proprio puliti di qualcuno.
VM
– Grazie, dott.ssa Gatti, e ancora congratulazioni per il suo
riconoscimento.A questo punto, la stessa domanda rivolta alle autorità politiche e a quelle accademiche da una parte e una alla gente comune dall’altra: può il nostro paese permettersi di fare a meno della dottoressa Gatti e della sua piccola squadra? A noi non resta che chiederci se sia una questione di risorse economiche o ci sia dell’altro. Considerando le cifre davvero irrisorie in gioco, temiamo ci sia dell’altro.
(Tratto
da www.vitalmicroscopio.net)
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