Le elezioni europee incombono, ma in Italia pare che ad
andare al voto sia il nostro Parlamento. Qualcuno si è preso la briga di
guardare i siti dei maggiori partiti italiani? Tranne qualche sporadico
accenno, non vi è alcuna sezione dedicata alle elezioni europee, né ai
programmi che le formazioni politiche applicheranno durante il loro mandato.
Una scelta quantomeno discutibile, visto che proprio in seno all’Europa si giocherà la partita fondamentale dei prossimi mesi per il futuro dell’Italia. Una nazione che più di altre, seguendo pedestremente e maldestramente le idee di austerityimposte dai burocrati di Strasburgo, ha aggravato la sua situazione economica e che ormai risulta essere sull’orlo di una vera e propria “crisi di nervi” sociale.
Negli ultimi due anni, tutti i partiti italiani si sono riempiti la bocca d’Europa per giustificare misure da lacrime e sangue: ora, arrivati al dunque, non esprimono una sola parola sulle azioni che porteranno avanti qualora eletti nell’assise comunitaria. Uno spettacolo desolante, figlio di una politica provinciale che misura le sue fortune in base alla cura del piccolo orticello, invece di occuparsi di quella grande idrovora che si chiama Unione Europea. Si noti, l’utilizzo del termine “idrovora” non è buttato lì a caso; infatti, per stare nel club europeo l’Italia versa ogni anno tra i 22 e i 24 miliardi di euro. E ora calcoliamo i benefici che ne ricava: il saldo tra i fondi versati a Bruxelles e quelli ricevuti è negativo a ammonta a 22 miliardi di euro, che dal 2007 al 2011 l’Italia ha lasciato nelle casse dell'Unione Europea. Un bel salasso che i cittadini italiani ripianano con generosità grazie alle tasse.
Purtroppo, la scelta diseconomica di restare in Europea non si ferma qui, se si pensa che solo per finanziare i costi del semestre di Presidenza dell'Unione Europea, il premier Letta aveva stanziato nella manovra finanziaria 68 milioni di euro, soldi che vanno a coprire costi di Delegazione quali il noleggio di autovetture, la manutenzione di queste, l'acquisto di arredi, le spese per il personale. Lo stanziamento è diviso in 56 milioni per il 2014, 2 milioni per il 2015 e 10 milioni che saranno ripartiti tra tutti gli altri Ministeri impegnati nelle attività del semestre europeo. Tutto ciò va ad aggiungersi ai tanto vituperati costi interni della politica: con l’aggravante rispetto a quest’ultimi che oggi nei portali dei grandi partiti italiani non vi è traccia di ciò che andranno a dire in Europa se vinceranno le elezioni.
E si badi bene, non è sufficiente inserire un banner sul proprio sito scrivendo No Euro, come fatto dalla Lega Nord, o Più Italia in Europa, meno Europa in Italia, come pubblicato da Forza Italia, o L’Italia vince battendo il rigore, slogan rannicchiato in un angolino del sito del Partito Democratico. Ad ogni motto conseguono degli effetti che sarebbe giusto raccontare ai cittadini nella loro portata totale, per evitare fraintendimenti e bruschi risvegli. Ma c’è di più: vi è anche chi preferisce giocare con le parole pur di non affrontare i temi cardine per i quali si dibatte a Bruxelles, cioè la difesa comune, il rispetto delle peculiarità territoriali, il divieto di aggressione del tessuto produttivo dei Paesi in difficoltà, la determinazione di politiche industriali comunitarie a tutela delle produzioni nazionali, il rispetto della sovranità popolare, la gestione in comune delle politiche e dei costi riguardanti l’immigrazione clandestina, sopportati in particolare dai Paesi del Mediterraneo.
E questi sono solo alcuni. Infine, resta ancora aperta la riflessione su come i partiti italiani vogliano affrontare l’annessione silenziosa di migliaia di aziende nazionali in capo a grandi gruppi francesi e tedeschi. Perché nei palazzi di cristallo dell’UE ci si scandalizza se un popolo vota liberamente un referendum e sceglie di andare sotto un’altra Federazione, ma ci si abbandona serenamente al “lasciar fare” se a perire sotto il fuoco amico sono migliaia di posti di lavoro di Paesi non congeniali ai vertici dell’UE.
Si tratta di una situazione realmente paradossale, dove si comprende fino in fondo la debolezza dell’Italia dei mille campanili, la quale rischia di vedere la propria folta compagine di eletti naufragare tra sigle e siglette, rimanendo poi col cerino in mano, senza alcun potere contrattuale. Diventando una volta per tutte mera “colonia” franco-tedesca.
(Fonte)
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