Sistema Trieste: assassinio di Stato
Per oltre 50 anni il territorio triestino è stato devastato da ogni sorta di rifiuto. È il cosiddetto
“Sistema Trieste”: fanghi industriali, residuati bellici, scorie
radioattive, armi chimiche, gas tossici (ossidi di azoto, ossidi di
zolfo, cloruri, fluoruri), diossine e metalli pesanti provenienti
da varie parti d’Italia. Un piccolo lembo di terra utilizzato come punto
strategico per il traffico di rifiuti tossico nocivo a livello internazionale.
Nel 1954, con il Memorandum di Londra, il Territorio
Libero di Triesteviene
dato in amministrazione fiduciaria al Governo italiano. Poco tempo
dopo, le amministrazioni pubbliche decidono di realizzare grandi
discariche, dal mare (intero arco costiero di Barcola, porto franco nord,
fino al confine con la Slovenia) all’altopiano carsico che ben si adattava a
far “sparire” rifiuti di ogni tipo. Il “Sistema Trieste” altro non è se
nonl’intreccio tra politica, economia e criminalità organizzata, come
definito dall’ambientalista dell’associazione triestina Greenaction TrasnationalRoberto
Giurastante (autore di un libro chiave, “Tracce
di legalità” – che non si trova più ma che può essere acquistato
telefonando al numero 040 0641602 – e destinatario di pesanti intimidazioni mafiose), che mise in atto quel
processo di smaltimento incontrollato di rifiuti.
Doline e grotte sono state riempite prevalentemente da idrocarburi,
acidi, fanghi industriali, esplosivi e materiale radioattivo. I mezzi
pesanti che trasportavano i rifiuti “speciali” venivano scortati dalle forze
dell’ordine fino alle doline in cui venivano scaricati.
Delle 2695 cavità registrate dal Catasto regionale delle
grotte, 128 risultano essere particolarmente inquinate, 247 non sono più
accessibili e di 19 si sono perse le tracce. Un esempio sono il Pozzo
del Cristo, una cavità a sviluppo orizzontale e verticale profonda 65
metri, dotata di un comodo bocchettone per lo scarico di nafta,
idrocarburi, residui lavorazioni industriali e oli esausti; il Pozzo
dei Colombi, cavità di 45 metri in cui venne gettato il terreno contaminato
dal petrolio, dopo l’attentato del 1972 di “Settembre nero” all’oleodotto di
San Dorligo, e immense quantità di fanghi industriali e sostanze chimiche; o la caverna
presso la 17 VG, riempita da nafta e residui oleosi.
L’epicentro di questa devastazione è stata la ex discarica
RSU (rifiuti solidi urbani) di Trebiciano, gestita dal comune di Trieste dal
1958 al 1972. Su un area di 120.000 mq, sono stati scaricati 600.000
metri cubi di rifiuti di ogni tipo, compresi i fusti contenti armi
chimiche dell’ex arsenale italiano.
All’interno del “Sistema Trieste”, il porto franco internazionale omonimo
aveva un ruolo importante e strategico. Qui infatti, arrivavano i rifiuti
tossici che dovevano essere poi trasportati in altre aree e scaricati
nell’ambiente, in particolare in Somalia, e le armi, come
raccontato nel memoriale presentato dall’ex boss della ‘ndrangheta calabrese
Francesco Fonti alla Direzione Nazionale Antimafia e pubblicato nel 2005 da
L’Espresso.
Quello triestino è stato un inquinamento di Stato
pianificato e perpetuato nel tempo ai danni di una popolazione
indifesa e che l’ha portata ai vertici delle classifiche per mortalità
tumorale: come altro chiamarlo se non “Assassinio di Stato”?
(Di Barbara Mapelli - Fonte byoblu)
Documenti:
- Accordo Comune di Trieste su discariche.
- Catasto cavità inquinate.
- Risultato analisi mortalità (studio epidemiologico
SENTIERI) – estratto sulla città di Trieste.
Trieste, ambiente, rifiuti e malattie:
la discarica di Trebiciano.
Lo Stato risponda!
Trieste: continua il nostro viaggio nelle malattie dell’ambiente. Dopo aver dato uno sguardo al “Sistema Trieste” nel suo complesso, oggi apriamo uno squarcio sui rifiuti tossici accumulati nella discarica di Trebiciano.
A Trebiciano, paese confinante con la Slovenia,
si trova una delle più grandi discariche di tutto il Carso triestino.
Era stata realizzata come discarica di rifiuti solidi urbani (RSU) nel 1958 e
gestita dal Comune di Trieste fino al 1972. Ufficialmente l’area interessata
ricopre una superficie di circa 120.000 mq, ma recentemente è stato accertato
che la zona inquinata risulta essere molto più estesa. Nel corso degli anni
sono stati scaricati almeno 600.000 metri cubi di rifiuti di ogni tipo:
materiali organici e inorganici, fanghi industriali, rifiuti tossico nocivi,
idrocarburi, oli esausti, residuati bellici e una parte delle armi
dell’arsenale chimico e batteriologico italiano, accumulato prima e dopo la
seconda guerra mondiale. Gli agenti chimici più diffusi erano l’iprite, il
fosgene, l’antrace e l’arsenico, gas utilizzati nei proiettili di artiglieria
dall’esercito della Marina e nelle bombe dall’areonautica militare.
Una parte dell’arsenale chimico italiano era stato
ridislocato con l’apertura del fronte a est. Trieste giocò un ruolo importante,
sia per la sua posizione strategica (città confinante con la Jugoslavia), sia
per la presenza di un vasto porto con impianti petrolchimici (raffineria
Aquila), luoghi perfetti dove trasportare, immagazzinare e occultare le
armi chimiche.
Nell’estate del 2012, l’associazione ambientalista Greenaction
Transnational lanciò l’allarme per la presenza, nell’area della ex discarica
di Trebiciano, di fusti di cemento di grandi dimensioni, parzialmente
interrati e vuoti. Nove mesi dopo quella segnalazione, i fusti sparirono
misteriosamente. Come sottolineato sul sito della stessa associazione, quei
fusti di cemento “erano molto probabilmente serviti quali contenitori per
le scorie tossiche dell’arsenale militare italiano”.
Il metodo di smaltimento di rifiuti “speciali” era
molto semplice. Autobotti piene delle così dette “sludges” (mix di
fanghi industriali e idrocarburi) venivano scortati dalle forze dell’ordine
fino alla dolina o grotta prescelta. Posizionavano i manicotti di scarico nella
fessura e riversavano litri di veleni nella cavità. Altre volte,
invece, erano i mezzi pesanti dell’Esercito a scaricare materiali “scomodi”.
Camion accuratamente sigillati giungevano nell’altopiano carsico con lo scopo
di seppellire, nelle doline, fusti metallici o di ferro-cemento. Il tutto
veniva poi ricoperto di terra e rifiuti.
Analisi fatte agli inizi degli anni ’90 nell’area della
discarica di Trebiciano, a pochi chilometri da Trieste, misero in evidenza la
presenza di idrocarburi e metalli pesanti come: cadmio, mercurio,
nichel, piombo, rame e zinco, oltre a ceneri a varie profondità nel
terreno. In altri punti della discarica il terreno presenta colorazioni
innaturali che vanno dal verde marcio al blu metallico. Sono state
anche individuate presenze di biogas, come denunciato in passato da alcuni
abitanti di Trebiciano. Dati che dovrebbero preoccupare perché a soli 500 metri
dalla discarica si trova l’Abisso di
Trebiciano, grotta dove a trecento metri di profondità scorre
il fiume Timavo che si alimenta dalle acque piovane del Carso. Per anni era
stato utilizzato come fonte primaria per rifornire d’acqua il
territorio triestino. Il crescente inquinamento del fiume Timavo, alla fine
degli anni ’70, costringe la società Acegas a ricercare fonti
alternative per il rifornimento idrico di Trieste.
In conseguenza di questo disastro ambientale, che
abbiamo appena iniziato a descrivere nella puntata precedente (“Sistema Trieste: assassinio di Stato“), per quanto tempo
ancora gli abitanti della zona dovranno continuare a convivere con questa “bomba
chimica”? Per quale motivo la Commissione Parlamentare di inchiesta
italiana sulle ecomafie non è mai intervenuta seriamente di fronte a questo
scandalo nemmeno quando le evidenze erano ormai incontrovertibili? Aspettiamo
una risposta dallo Stato italiano.
(Di Barbara Mapelli - Fonte byoblu)
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