Da una «spending review» ci si aspetterebbe il taglio delle spese
improduttive dello Stato. Tanto per fare un esempio: i 10 miliardi di
euro destinati all’acquisto di 90 cacciabombardieri F35, oppure il
rimborso per i farmaci di «marca». In Italia, come nel resto dell’Europa
meridionale, invece no. La via dell’austerità passa per un nuovo taglio
alla spesa pubblica da 295 miliardi di euro. È il risultato del
rapporto (consultabile su rapportiparlamento.it)
presentato ieri dal ministro per i rapporti con il parlamento Pietro
Giarda secondo il quale si deve continuare a tagliare 135,6 miliardi di
euro della «spesa inutile» per beni e servizi, 122,1 miliardi di
retribuzioni, 24,1 di trasferimenti alle imprese e contributi alla
produzione oltre a 13,2 di «contributi alle famiglie e alle istituzioni
sociali». Fino a oggi, le manovre correttive – cioè i tagli – intraprese
dal governo Monti hanno sottratto alla spese corrente dello Stato 7,8
miliardi di euro e a quelle degli enti locali (comuni, province e
regioni) 13,3 miliardi di euro.
Ammonta dunque a 21,1 miliardi il tesoretto di risparmi accumulato da
Monti in 400 giorni di governo. In questo conteggio, basato su fonti
ufficiali, bisogna considerare anche i 71 miliardi (ma altre stime
parlano addirittura di 150 miliardi) che lo Stato non eroga alle imprese
e ad altri fornitori, una forma indiretta di «spending review» decisa
unilateralmente per amministrare meglio l’insolvenza indotta dai criteri
imposti dalla Commissione Europea attraverso il Fiscal Compact. Una
decisione che ha fatto insorgere Confindustria, il Presidente della
Repubblica e tutti i partiti.
Nessuno fino ad oggi si è soffermato sull’eredità che il governo
Monti lascerà al prossimo, se e quando sarà formato. Pur ammettendo che
la regola capestro dei »tagli lineari» non è proprio il massimo, nel suo
rapporto al parlamento Giarda è chiaro: bisogna continuare a
«risparmiare» sulla spesa sanitaria (33,1% della spesa), sui
trasferimenti agli enti locali già taglieggiati dal patto di stabilità
interno (24,3%); sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici (oggi è al
5%, da incrementare impedendo l’assunzione dei precari e stringendo la
cinghia del turn-over); sui costi dello Stato e sugli enti previdenziali
(37,4%) e, ancora più inquietante, proseguire i tagli su «università e
altri enti locali» di un altro 5,2%. Tra il 2008 e il 2012 a scuola e
università sono stati tagliati all’incirca 10 miliardi, un solido
contributo al taglio del 3,8% della spesa pubblica. Ma, non basta,
evidentemente.
Giarda sostiene che questo salasso dovrebbe essere praticato «entro
il 2014». Con tutta evidenza, non potrà essere praticato dal governo
ancora in carica, ma dal prossimo che rischia di sbattere contro un
muro. Da un lato avrà la crisi sociale esplosiva, dall’altro lato il
dovere di rispettare il pareggio di bilancio che è stato approvato in
costituzione. Insomma non c’è scampo senza un cambio delle regole a
livello europeo. Intimorito da questo scenario devastante, Giarda
auspica una maggiore «collaborazione» tra lo Stato e gli enti locali i
quali però restano sul piede di guerra e non accetteranno di farsi
mettere al collo una pietra per annegare definitivamente. Il ministro
esclude anche la via di un aumento delle tasse dopo l’Imu, dato che ha
una diretta conseguenza sul Pil che nel 2013 diminuirà di almeno 1,7%,
con una disoccupazione superiore al 12%. Tutto questo mentre la spesa
previdenziale «continuerà a salire» nonostante la riforma Fornero.
La spending review fa parte del progetto dell’austerità “espansiva”
che ha fatto aumentare il debito pubblico di 27 miliardi di
euro. Secondo i dati della Banca d’Italia, tra il 2011 e il 2012 il
debito pubblico è passato da 1909 a 2,022 miliardi.. Con una crescita
sotto zero e l’aumento delle tasse, il governo Monti ha dunque
realizzato alla lettera l’austerità, consegnando il paese alla
«depressione economica cronica», come aveva preannunciato il Nobel per
l’economia Krugman. Ma non è tutto perché, stando alle più recenti
previsioni, il debito è destinato a crescere ancora nei prossimi due
anni. Il Fondo monetario internazionale sostiene che nel 2013 supererà
quota 128%. Altre stime lo calcolano addirittura al 130%. Ciò imporrà
nuovi tagli del bilancio dello Stato.
Il governo dei tecnici si è andato a infilare in un vicolo cieco, ma
continua a percorrere la via salvifica dei tagli alla spesa pubblica,
sperando che questa sia la soluzione per risollevare la domanda interna e
gli investimenti, quando invece è la strada più sicura per prolungare
la depressione economica in cui è piombato il paese. Il rapporto
quantifica, una volta di più, le ricette futuribili che mandano in
sollucchero tutti i populismi, fuori e dentro il parlamento: da un
eventuale taglio delle province da 86 a 51 si risparmierebbero tra i 370
e i 535 milioni di euro, una goccia nell’oceano dell’austerità. Giarda
avverte anche le imprese: lo Stato può tagliare 4,7 miliardi di
trasferimenti. Lo dice il «piano Giavazzi». Altro nome di famiglia
(bocconiana) che assicura la certezza del default.
L’austerity nella sanità: più tasse, meno servizi
Il contributo pagato dagli italiani alle politiche dell’austerità sanitaria è stato di 5 miliardi di euro nel 2012, il 40% in più rispetto all’anno precedente. Una cifrà a cui si dovranno aggiungere dal primo gennaio 2014 altri due miliardi per effetto dell’ultima manovra Tremonti dell’estate 2011. Gli effetti si fanno sentire oggi sull’aumento del costo dei ticket e delle visite specialistiche necessarie per ripianare i deficit delle Asl e degli ospedali. Per i ricercatori del Centro di Ricerche sulla gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (Cergas) della Bocconi, che ieri hanno presentato il Rapporto Oasi 2012 presso la federazione delle Asl (Fiaso), questo aumento è stato accompagnato dall’innalzamento delle aliquote Irpef (+2,2 miliardi nel 2011), dai ricari del bollo auto e dalla cartolizzazione dei debiti per ripianare il deficit sanitario di 16 regioni, tranne Valle d’Aosta, Friuli, Trento e Bolzano, Basilicata e Sardegna. Solo il Lazio ha aumentato le tasse nel 2011 per 792 milioni. Entro il 2015 è probabile che aumenteranno ancora ovunque, insieme ai ticket. In due anni le regioni dovranno diminuire la spesa sanitaria di altri 30 miliardi di euro.Ad esclusione di Lombardia, Veneto, Umbria, Marche e Campania, tutte le altre regioni hanno chiuso in rosso il bilancio del 2012.
Il contributo pagato dagli italiani alle politiche dell’austerità sanitaria è stato di 5 miliardi di euro nel 2012, il 40% in più rispetto all’anno precedente. Una cifrà a cui si dovranno aggiungere dal primo gennaio 2014 altri due miliardi per effetto dell’ultima manovra Tremonti dell’estate 2011. Gli effetti si fanno sentire oggi sull’aumento del costo dei ticket e delle visite specialistiche necessarie per ripianare i deficit delle Asl e degli ospedali. Per i ricercatori del Centro di Ricerche sulla gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (Cergas) della Bocconi, che ieri hanno presentato il Rapporto Oasi 2012 presso la federazione delle Asl (Fiaso), questo aumento è stato accompagnato dall’innalzamento delle aliquote Irpef (+2,2 miliardi nel 2011), dai ricari del bollo auto e dalla cartolizzazione dei debiti per ripianare il deficit sanitario di 16 regioni, tranne Valle d’Aosta, Friuli, Trento e Bolzano, Basilicata e Sardegna. Solo il Lazio ha aumentato le tasse nel 2011 per 792 milioni. Entro il 2015 è probabile che aumenteranno ancora ovunque, insieme ai ticket. In due anni le regioni dovranno diminuire la spesa sanitaria di altri 30 miliardi di euro.Ad esclusione di Lombardia, Veneto, Umbria, Marche e Campania, tutte le altre regioni hanno chiuso in rosso il bilancio del 2012.
Dal rapporto Oasi emerge anche la notizia che la spesa sanitaria
italiana resta la più bassa in Europa. E tuttavia si continua tagliare
il budget complessivo a loro disposizione e a spingere i cittadini a
pagare i servizi di tasca propria, evitando di farli pesare sulla
fiscalità generale. Paradossi dell’austerità che pretende il pagamento
di 300 milioni in più sui ticket, di quasi 1,3 miliardi per visite ed
esami e di circa 3 miliardi per pagare le prestazioni delle strutture
private convenzionate a cui ricorrono in maniera crescente, anche per
evitare le disfunzioni della sanità pubblica al collasso. Nel suo
complesso la spesa privata per la sanità è arrivata nel 2012 a 30
miliardi di euro.
Le conseguenze dell’austerità non si fermano qui. Il Cergas-Bocconi ha
indagato anche sul «welfare fai da te» a cui ricorrono gli anziani che
non trovano nel pubblico, sempre più definanziato, una risposta
efficiente. Nel 2012 è stato si è consolidato un primato ormai noto: le
badanti hanno superato di gran lunga il numero dei dipendenti delle Asl e
degli ospedali: 774 mila contro 646 mila.
Il 57,8% di chi vive in Campania, Lazio, Piemonte, Calabria, Puglia e
Sicilia si è inoltre dichiarato insoddisfatto della sanità pubblica e,
di rimando, della «razionalizzazione della spesa sanitaria» a cui sono
state sottoposte queste regioni. Nelle altre regioni sono scontenti
«solo» il 23,3% dei residenti. Secondo i ricercatori questa è un’altra
spia delle fratture che stanno producendo le politiche dell’austerità:
la divisione del servizio sanitario pubblico in due o più tronconi.
(Fonte)
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