lunedì 4 marzo 2013

IL TERZO MONDO SIAMO NOI!

In Italia la paga dei neoassunti è più bassa del 61%

Sono sfavoriti rispetto a chi ha un’anzianità aziendale di 15 anni. Le paghe italiane inferiori del 14,6% a quelle tedesche

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Una volta si diceva “l’anzianità fa grado”. Oggi potremmo parafrasare che l’anzianità fa reddito. Così perlomeno si deduce dal report sulle retribuzioni del 2010, che l’Istat ha recentemente diffuso. Il dato più immediatamente macroscopico riguarda la cospicua differenza tra la paga dei dipendenti, con  almeno15 anni di anzianità aziendale, rispetto a quella percepita dai colleghi assunti da meno di 5 anni.
La distanza, che corre nel trattamento stipendiale tra le due diverse “anagrafi” aziendali, è misurata nel 61,4%.
Dal punto di vista metolodologico, la ricerca condotta dall’istituto statistico è il frutto di una  rilevazione quadriennale armonizzata a livello europeo, nell’analisi rientrano imprese industriali e  terziarie con più di 10 addetti, a esclusione delle attività afferenti alla pubblica amministrazione.

L’Istat offre più di un dettaglio numerico. I dipendenti con oltre 15 anni di anzianità percepiscono 36.247 euro annui contro i 22.461 di coloro che hanno preso servizio da meno di un quinquennio. Sia
pure meno rilevante, la distanza reddituale è evidenziabile anche nel raffronto tra le retribuzioni lorde orarie: per i più “freschi” di assunzione la paga è di 13,7 euro, mentre per i “veterani” con tre lustri di milizia aziendale si arriva a 19,9 euro.
Il lavoro dell’Istat amplia l’orizzonte di indagine ad altre forme di gerarchia retributiva, per esempio quella correlata ai titoli di studio. Infatti, se il laureato guadagna inmedia 42.822 euro all’anno, il  dipendente, in possesso della sola licenza di scuola dell’obbligo, si ferma a 19.296 euro.
Distanza riscontrabile anche nel confronto sulle retribuzioni orarie: il dipendente, equipaggiato con titolo di studio, riceve un salario di 26,2 euro contro gli 11,6 guadagnati da chi ha limitato all’obbligo la formazione scolastica.
Altra differenza, presa in esame dai ricercatori Istat, distingue stavolta il salario decisamente più alto  nella busta dei dipendenti a tempo indeterminato rispetto ai colleghi chedebbonoaccontentarsi di uncontratto a tempo determinato: per i primi si tratta di 29.852 euro annui che quasi doppiano i  5.633 euro intascati dai meno fortunati precari. Tra i livelli dirigenziali e quelli dell’occupazione non specializzata la differenza è di 4 volte e mezzo a favore dei manager: in questo caso parliamo di 81.649 euro annui contro 18.290.
Infine, un altro esempio di divaricazione salariale, per quanto meno marcata di quanto  recedentemente scorso, concerne gli stipendi di uomini e donne, che vedono i primi “in vantaggio“ per 31.394 euro versus 24.828 sulle seconde. Differenza - spiega l’Istat - in gran parte riconducibile al numero di ore lavorate, in quanto il “gap” uomo/donna a livello retributivo orario è inferiore al  10%.
Ma l’istituto di statistica non si è limitato a verifiche e raffronti interni al sistema retributivo nazionale, si è affacciato allo scenario continentale, dove i nostri salari si classificano in una non esaltante metà classifica, al dodicesimo posto sui 27 paesi Ue. Il riferimento temporale va sempre al 2010, per esattezza al mese di ottobre: la paga oraria nazionale, parlando di dipendenti “full time”, si attesta a 14,5 euro, leggermente superiore rispetto all’intera Ue (14 euro), ma inferiore alla media dell’Unione monetaria (15,2 euro). Infatti, nella comparazione con i paesi più importanti della Ue, il  salario orario nostrano perde punti: è inferiore del 14,6% rispetto a quello tedesco, del 13% rispetto a quello britannico, dell’11% rispetto a quello francese. Per non parlare di danesi, irlandesi, lussemburghesi. Ci prendiamo una magra rivincita sugli spagnoli, il cui guadagno orario è più basso del nostro per il 25,9%
(di  Massimo Greco da Il Piccolo del 04.03.13)

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