Un valido difensore della valle di Susa aggredita dalla Torino-Lione,
colossale spreco di denaro pubblico, ben peggio del mitico Ponte sullo
Stretto. E un nemico giurato della “casta”, quella che vive – anche – di
finanziamento pubblico a quei partiti che non hanno voluto cambiare la
legge elettorale tenendosi l’orrido “Porcellum”, per poter comodamente
imbottire il Parlamento di “nominati” di stretta fiducia, inclusi
indagati e pregiudicati. Questo in sostanza il profilo politico iniziale
del “Movimento 5 Stelle”, che si è via via evoluto – durante la
campagna elettorale, di piazza in piazza – per voce del leader, sempre
più incline a puntare sul “reddito minimo di cittadinanza” per tenere in
piedi un’Italia sul punto di crollare. Elementi di decrescita e
riconversione ecologica dell’economia,
certo. E poi: scuola pubblica e sanità pubblica, investimento
culturale, Internet veloce e gratuito per tutti. Con che soldi? Forse si
comincia a capirlo solo ora, dopo le elezioni.
Illuminante la sintesi che “Ernesto”, ipotetico militante grillino,
espone sul blog del Capo mentre Bersani balbetta le sue otto
“non-proposte”, così vaghe
e deboli che sembrano scritte apposta per incassare un rifiuto
irridente dal “Movimento 5 Stelle”. Sul blog di Grillo, è impietoso il
“decalogo” che inchioda Pd e Pdl: entrambi vogliono la linea Tav
Torino-Lione e le “missioni di pace” per continuare a esportare la
guerra nel mondo. Entrambe le maggiori coalizioni sono a favore delle
iperboliche spese militari necessarie all’acquisto dei cacciabombardieri
F-35, gli “stealth” di ultima generazione attrezzati per sganciare
ordigni atomici. Nonostante le pallide promesse di Bersani, Pd e Pdl non
accennano a rinunciare alla cornucopia dei rimborsi elettorali, né a
sostenere la scuola privata, né a restaurare le prerogative
dell’articolo 18 smantellato da Monti e Fornero su ordine della
tecnocrazia europea al servizio delle massime lobby economiche del
pianeta, nemiche irriducibili della “democrazia dei diritti”, quella che ha il potere di trasformare i sudditi in cittadini.
Meglio si spiega, il giorno dopo, l’ecatombe elettorale del Pd, umiliato sul traguardo persino dall’incredibile Berlusconi: in materia di Europa, diritti
e lavoro, il centrosinistra non è andato oltre i mormorii di Stefano
Fassina, il malpancismo di Vendola e gli allarmi della Cgil. Il toro da
affrontare per le corna? Lo evoca sempre “Ernesto”, il 6 marzo 2013:
Mes, Fiscal Compact, pareggio di bilancio, sovranità monetaria. Poteva
essere l’arma letale del cartello democratico “Cambiare si può”,
naufragato grazie al magistrale ostruzionismo suicida di “Rivoluzione
Civile”. Sovranità finanziaria, unica possibile premessa per un ritorno
alla democrazia
reale, la famosa “autodeterminazione dei popoli” – compreso quello del
Venezuela, che oggi piange la scomparsa di Hugo Chávez, l’uomo che per
garantire pane e diritti alla sua gente oppressa ha innanzitutto nazionalizzato il petrolio e le banche.
Per anni, un solitario come Paolo Barnard – esiliato dalla Rai – ha
predicato nel deserto, proponendo i dettami neo-keynesiani della teoria
della moneta moderna sviluppata da Warren Mosler: solo la sovranità
finanziaria garantisce la resurrezione di un’economia
e quindi di un intero sistema sociale, e può offrire benefici immediati
e inimmaginabili. Oggi, Barnard fa una denuncia amara: molti ex
detrattori, fino a ieri estranei alla “Modern Money Theory”, negli
ultimi mesi hanno fatto a gara per “rubargli” scampoli di idee, senza
però mai citare né lui, né Mosler, né il gruppo di economisti
democratici, per lo più statunitensi, che lavora da tempo per
un’alternativa economica partendo proprio dal problema cruciale della
sovranità finanziaria – il potere statale di spesa pubblica – da
innescare “liberando” innanzitutto la moneta.
In campagna elettorale, Grillo ha promesso un referendum sull’euro,
la valuta che ormai gli italiani temono e detestano. E ora, sul suo
blog, si mettono a fuoco gli obiettivi contro cui battersi: la
sostanziale “schiavitù finanziaria” indotta dal Mes, cioè l’insidioso
fondo “salva-Stati” che in realtà vincola in eterno i paesi
“beneficiati”, nel frattempo tenuti a violentare alla radice la propria
Costituzione democratica, garante dei diritti, per piegarla all’orrore del “pareggio di bilancio”, in ossequio all’abominevole Fiscal Compact, di fatto tagliando il welfare, l’assistenza e tutte le misure sociali che in Europa
hanno garantito decenni di pace, sicurezza e conquiste, grazie alle
lotte progressiste di sindacati, lavoratori, partiti di sinistra e
società civile. Mentre in Italia l’indignazione generale era totalmente
assorbita da proteste locali – prima contro la partitocrazia corrotta di
Tangentopoli, poi contro la “casta” dei nuovi privilegi e di nuovi
scandali – negli uffici di Bruxelles, dominati dalla potenza mondiale
delle lobby, maturava in silenzio lo scandalo supremo: la confisca
sostanziale della democrazia, per mano “tecnica”.
Senza lo “tsunami” Grillo, oggi il problema non avrebbe la minima
cittadinanza mediatica: saremmo ancora intrattenuti da bonari
smacchiatori, giaguari e caimani, perfetti per oscurare ancora la verità
e sovrastare le grida di dolore che salgono dalle fabbriche che
chiudono una dopo l’altra, dai giovani che fuggono, dagli imprenditori
che si sparano. Poteva finir peggio? Eccome: in Grecia, i camerati di
“Alba Dorata” danno la caccia agli stranieri. Isolate voci europee,
specie anglosassoni, plaudono alla democrazia elettorale italiana che, se non altro, dà segni di vita. Ma il tempo vola, e la crisi
– insistono analisti come Giulietto Chiesa – ci sta venendo addosso,
come previsto, alla velocità della luce. La casta delle auto blu?
Andiamo al sodo, raccomanda l’economista italo-danese Bruno Amoroso:
questi partiti sono stati tutti meticolosamente “infiltrati”, decenni
fa, dalla finanza-canaglia,
che li ha semplicemente comprati. Politici “licenziabili” in una sola
tornata elettorale? Attenzione: sono soltanto fanterie, soldati
semplici, camerieri e maggiordomi. Non rappresentano che la vetta
dell’iceberg, il poco che si vede, mentre i veri dominatori restano
lontani e inafferrabili, saldamente al riparo di un infinito potere di
ricatto domiciliato tra Wall Street e Bruxelles, la City di Londra e l’Eurotower di Francoforte.
Le piazze grilline straripanti di popolo parlano la stessa lingua
dell’anziano Dario Fo: comprensibile sollievo, innanzitutto, di fronte
alla sensazione che finalmente si sia aperto qualcosa che assomiglia a
uno spiraglio, dopo decenni di consumismo cieco e autolesionistico,
dogmi bugiardi come quello della crescita infinita che, in un mondo
dalle risorse non illimitate, fa rima con la tragica realtà della
“guerra infinita”. Spirale inaugurata su scala mondiale con l’11
Settembre e drammaticamente anticipata dalla “macelleria messicana” di
Genova, la città presidiata da 700 agenti dell’Fbi per ordine di un
super-potere terrorizzato dal movimento internazionale no-global, il
primo nella storia a rivendicare diritti
democratici per tutta l’umanità. A partire dagli anni ’70, accusa
Barnard, è stato pianificato l’accecamento dell’opinione pubblica
partendo dalla colonizzazione militare dei media e delle università.
Partiti e sindacati un tempo schierati dalla parte dei diritti?
Tutti reclutati per la “guerra invisibile” contro i loro popoli, da
imbrigliare e distrarre per scongiurare l’esplosione della protesta.
Oggi, è la crisi
a far saltare i piani. Gli ottimisti salutano le elezioni italiane come
l’inizio di una possibile lunga marcia. A cui manca, ancora, una
narrazione inequivocabile e pienamente condivisa: se non è
definitivamente chiaro il motivo per cui stiamo precipitando, come
sperare di trovare una via d’uscita credibile?
(Fonte)
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