È assodato che la situazione in Libia si sta facendo più difficile di settimana in settimana, e che la chiusura delle forniture per il gasdotto Greenstream
da parte di Eni è stata dovuta principalmente a questioni di sicurezza.
C’è da credere alla versione di Eni: a parte le dichiarazioni stesse
dell’azienda, è chiaro che alla fine di un conflitto civile le varie
tribù cerchino di accaparrarsi le rendite che possono. È successo con i
diamanti del Congo, con il petrolio dell’Angola, con il gas della
provincia di Aceh, in Indonesia. Sta succedendo anche nell’area di
Mellitah in Libia. Due milizie hanno litigato per stabilire chi dovesse
“proteggere” l’impianto Eni, cercando di farsi assegnare un qualche tipo
di assegno mensile dal governo; probabilmente dall’azienda petrolifera.
L’interruzione è durata poco: dopo la chiusura decisa sabato 2 marzo,
già la mattina successiva da Tripoli il viceministro per la Difesa
Khalid Sharif faceva sapere che l’esercito era stato incaricato della
protezione, con buona pace delle due avide milizie. Insieme all’azienda
nazionale libica del petrolio, Eni a Mellitah gestisce il compressore
che convoglia il gas in Greenstream, approvvigionandosi da tre campi
principali in territorio libico on- e off-shore (Bahr Essalam, Bouri e
Wafa). Lo stop è stato una minaccia fin troppo credibile per il governo
di Tripoli, in quanto la pipeline per l’Italia è di diametro
medio-grande (otto miliardi di metri cubi l’anno), e rappresenta una
fonte di reddito irrinunciabile per i libici in bancarotta. La stessa
installazione di Mellitah gestisce anche alcune esportazioni di
petrolio, trattando circa 100.000 barili al giorno prodotti dal pozzo di
El Feel.
Il governo è intervenuto tempestivamente, temendo di
perdere rendite preziosissime in un periodo delicato come questo. Per
Eni, il danno è stato più limitato. Prima di tutto, ha ottenuto che la
Libia schierasse l’esercito a protezione dell’impianto. Inoltre, questa
mossa può servire per dimostrare ai vari fornitori nazionali in che modo
si stia muovendo il settore del gas, per tentare di rinegoziare alcuni
contratti dopo il brusco calo dei consumi dal dopo-crisi. Nella tabella qui sotto le importazioni italiane di gas (per Paese di provenienza, dal 1990 al 2011):
Eni è ancora legata a contratti del tipo “take-or-pay” con la Russia: se
i volumi “prenotati” non vengono ritirati, Eni deve corrispondere una
penale. Molti dei contratti libici, poi, sono legati a strutture
contrattuali estremamente onerose, in cui il partner locale riceve una
percentuale altissima del profitto (tra le più alte al mondo).
Rinunciare al gas libico serve per dimostrare ai libici che di Libia si
può fare a meno; e serve per dimostrare ai russi che di gas ce n’è così
tanto, che ci si può permettere di chiudere un rubinetto a piacimento.
Nel frattempo, se poi il rubinetto si chiude, si compra più gas dalla
Russia, evitando di corrispondere onerose penali.
Del resto, se i consumi in Italia sono crollati, la Russia ci ha rimesso molto in termini di volumi esportati.
Nel 2006 in Italia si consumavano ancora 83,5 miliardi di metri cubi di
gas, di cui 22,5 di provenienza moscovita. Nel 2011 la domanda è scesa a
76,7 miliardi, coperti per 19,6 dai russi. Anche dall’Algeria le
importazioni sono diminuite nello stesso periodo, passando da 25 a 21,3
miliardi. La Libia in periodi “normali” rappresenta il 12,5% delle
importazioni italiane di gas. Ecco la mappa dei gasdotti e dei rigassificatori:
In merito a questo presunto “bilanciamento” del Cane a sei zampe tra Libia e Russia si
scatena lo scetticismo degli operatori del settore. La voce tra gli
addetti è che Eni, che controlla tutti gli accessi per l’importazione di
gas in Italia, sfrutti le vicende libiche per ottenere vantaggi in
chiave russa – come sarebbe già successo con la precedente chiusura di
Greenstream in occasione della guerra civile libica. Le chiusure
rappresenterebbero eventi dalla gestione difficile per molti operatori
nazionali che operano su base geografica più limitata. Per fortuna,
stavolta l’interruzione è durata poco e ha avuto luogo in un
finesettimana, quando i consumi sono più bassi. Così, in poco tempo i
malumori si sono chetati, e l’Eni ha un esercito in più a proteggerla.
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