«Sono convinto che a metà anno molte piccole e medie imprese
tireranno giù il bandone, come diciamo noi in Toscana». Dall’avamposto
pistoiese del Consorzio Leonardo Servizi - 16 imprese, dalle pulizie
all’impiantistica, con un fatturato aggregato che supera i 100 milioni
di euro - il presidente Gino Giuntini vede la maratona per i rimborsi
dei crediti della pubblica amministrazione come una gara dove molti
cadranno ben prima del traguardo». Andrea Bolla, presidente di
Confindustria di una Verona relativamente felix: «Quello che mi dà
fastidio è che ancora una volta stiamo dibattendo sul se pagare, invece
di concentrarci sul come pagare. Ma che il settore pubblico non paghi i
propri debiti semplicemente non è più un’opzione».
Le schermaglie euro-italiane sul pagamento dei debiti della pubblica
amministrazione, insomma, si infrangono contro un fronte assai
composito, ma molto compatto, fatto di imprenditori piccoli e grandi.
C’è chi fa le pulizie nelle scuole e si scontra contro «questi maledetti
patti di stabilità degli enti locali», come dice ancora Giuntini, ma ci
sono anche i costruttori edili che - spiega il presidente della loro
associazione Paolo Buzzetti - «hanno avuto negli ultimi due anni 10.400
fallimenti. Siamo in una situazione che non è più compatibile con
nessuna perdita di tempo». Dopo una prima ondata di entusiasmo, mentre
il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi spiegava che la ripresa
dei pagamenti avrebbe portato un aumento del Pil dell’1% e 250 mila
posti di lavoro in cinque anni, adesso tra le imprese pare prevalere
l’ansia per quei pagamenti - settanta miliardi di euro come dice
bankitalia? Oppure di più? anche il fatto che nessuno sia mai riuscito o
abbia voluto censirli è significativo - che non arrivano mai
all’incasso.
Dopo che le commissioni parlamentari avranno approvato la relazione
di aggiornamento del Def, toccherà al ministero dell’Economia emanare il
suo decreto, che dovrebbe dare una prima indicazione sulle priorità con
cui procedere al rimborso dei debiti della pubblica amministrazione. Ma
in ogni caso anche al ministero ammettono che i primi soldi arriveranno
dopo giugno, forse addirittura a settembre. «E’ una soluzione
assolutamente insoddisfacente - attacca Franco Tumino che guida l’Anseb,
l’associazione delle imprese che emettono buoni pasto - anche perché
già oggi il ritardo medio per i pagamenti per noi va tra un anno e un
anno e mezzo. Prendere un impegno non per tutti i debiti, ma per 20
miliardi soli, e poi rimandare i pagamenti a fine anno significa
lasciare più o meno le cose come stanno». «Se tutti andassero nella
stessa direzione si potrebbe anche aspettare fino a settembre - commenta
Gabriele Vitali, che si occupa del commerciale nell’emiliana Effe Gi
impianti di cui il padre è uno dei soci - ma le banche dovrebbero
seguire le aziende nel percorso. Invece sono troppo tirate e se il primo
del mese ti chiedono di rientrare dagli affidamenti tu fallisci, anche
se hai già fatto il lavoro e aspetti i soldi». La Effe Gi, poco più di
cinque milioni di fatturato nell’impiantistica, molti clienti pubblici, è
un buon esempio della sfida che una fattura rappresenta per una piccola
impresa: «Un anno e mezzo fa ci siamo salvati - dice Vitali - perché
avevamo tenuto i soldi in azienda. I crediti verso clienti sono l’80%
circa del nostro fatturato e la rotazione del nostro capitale è di 333
giorni. Insomma, i soldi li pigliamo dopo un anno».
Le schermaglie, a dire il vero, sono anche italo-italiane. Il piano
che permette alle imprese di scontare in banca i crediti verso la
pubblica amministrazione, voluto dal ministro dell’Economia Corrado
Passera è stato finora un flop. Poche centinaia i casi in cui è stato
utilizzato. «Senza contare che - dice ancora Tumino - scontare i crediti
significa avere oneri finanziari a carico delle imprese e un
peggioramento dello stato patrimoniale».Per il ministero dello Sviluppo
Economico è presto per valutare il successo o l’insuccesso dello
strumento, visto che ha cominciato a funzionare solo da inizio gennaio.
Inoltre la pubblica amministrazione di cui si vuole ottenere la
certificazione del debito deve essere registrata in un sito apposito. E
se per chi non si registra non ci sono sanzioni - si spiega - è
difficile pensare che Asl e Comuni facciano la fila per iscriversi.
Anche Bolla, da Verona conferma che finora i suoi associati hanno
incontrato «problemi burocratici».
All’Economia, del resto, vivono con qualche insofferenza l’attivismo
di Passera su questo versante e si concentrano sulla tenuta dei bilanci
pubblici sui quali Bruxelles, come si è visto, non fa grandi sconti. Ma
certo l’alternativa tra ripresa e rigore è sempre più evidente per gli
imprenditori che a gran voce chiedono i crediti che gli spettano da
tempo. «In fondo - dice ancora Giuntini - meglio pigliare un ceffone
dall’Europa che finire strangolati».
(Fonte)
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