In questi mesi abbiamo potuto sentire spesso parlare del patto di stabilità,
regolando quest’ultimo le principali variabili macroeconomiche delle
nazioni europee ( sono recenti le ultime modifiche varate).
Per
chi avesse – saggiamente! – cambiato canale durante i tg, gli si potrà
dire che questa legge altro non è che un accordo preso – o meglio
subito in seguito a forti pressioni dell’Europa – nel 1997 dall’Italia
in sede comunitaria per cercare di far fronte all’esigenza di far
convergere le economie degli stati membri verso specifici parametri. Tra
questi – ricordandoci del trattato di Maastricht – troviamo in
particolare l’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione in
rapporto al P.I.L che non deve superare il 3%, e il debito pubblico che
, sempre rapportato al P.I.L., deve aggirarsi intorno al 60%. In realtà
esistono ancora forti dubbi e comunque tesi contrastanti circa il fatto
che questi parametri siano effettivamente ottimali. Nondimeno il
controllo dell’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione, e in
particolar modo degli enti territoriali come regioni ed enti locali è
uno dei principali obiettivi delle regole fiscali che costituiscono il
patto di stabilità.
Anche
i comuni allora sono chiamati a contribuire alla riduzione del debito
pubblico nazionale osservando regole di anno in anno sempre più
restrittive. Quindi gli enti hanno confini molto rigidi in termini di
programmazione, risultati e azioni di risanamento. In particolare forti
sono i limiti relativamente ai pagamenti, il che porta alla paradossale
situazione in cui anche chi dispone di risorse si trova impedito
riguardo al loro utilizzo. Si pensi ad esempio a tutti quei debiti
mostruosi – più di 70 miliardi secondo Bankitalia – che le PA devono, da
anni, alle imprese( si sorvolerà per decenza sul fatto che al contrario
quando sono le imprese ad essere in debito con lo Stato, questo, non
tollera neppure il minimo ritardo e attua, immancabilmente, drastici
provvedimenti). Quest’ultimo in particolare è stato il tema di una
importante manifestazione che pochi giorni fa si è tenuta al teatro
Capranica di Roma organizzata dall’Anci (associazione nazionale comuni
italiani). Centinaia di sindaci italiani sono infatti giunti nella
Capitale per manifestare contro il Patto di stabilità che con i vincoli
sopra descritti blocca nelle casse di comuni e province ben 9 miliardi
di euro.
La giornata è stata relativamente positiva in quanto il
premier uscente Mario Monti in una conferenza stampa con il ministro
dell’Economia Grilli ha annunciato che: «La prima operazione che il
governo italiano promuove è quella di introdurre misure di accelerazione
del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso i
fornitori» . Si parlerebbe di importi da corrispondere per circa 20
miliardi nella seconda parte del 2013 e di ulteriori 20 nel 2014.
Sicuramente si tratta di un forte segnale di fiducia, ma ciononostante
non sono mancati i malumori, relativi sopratutto all’entità della somma
prevista dal piano, essendo appena poco più della metà dei valori
stimati ( senza considerare che ora la palla passa al governo, e al
piano suddetto non solo mancano oltre 30 miliardi, ma bisogna anche
vedere quando – e se! – verrà attuato).
Intanto le imprese sono
sempre più a corto di liquidità, il che spesso si traduce,nel caso più
roseo, in licenziamenti (ma in fondo abbiamo solo poco più di tre
milioni di precari e quasi altrettanto di disoccupati, niente di cui
allarmarsi) o nella chiusura dell’azienda. Come se non bastasse le
banche non concedono più denaro, nè alle imprese in questione nè tanto
meno ai privati, e quindi alle famiglie. E mentre siamo ancora in cerca
di un governo stabile e a Montecitorio abbondano soltanto chiacchiere,
Moody’s non manca mai di presentarci il suo conto divertendosi ad
abbassare ancora il nostro rating. La domanda è sempre quella: “ ma
l’Italia dov’è?”
(Fonte)
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