Gli ultimi bombardamenti delle zone tribali al confine con
l'Afghanistan potrebbero essere stati effettuati dalle forze armate di
Islamabad con i velivoli comprati da Finmeccanica
C'è un mistero nella guerra dei droni che potrebbe portare alla
lunga ombra di Finmeccanica e ai 'successi' bellici dell'export
italiano.
Gli attacchi degli aerei robot statunitensi sono diventati il nuovo volto della lotta al terrorismo e stanno creando più di un imbarazzo al presidente Obama, principale fautore di questi strumenti. Nel mondo islamico i raid dei velivoli teleguidati, che spesso restano in volo per giorni in attesa di scovare i bersagli e in alcuni casi hanno provocato l'uccisione di civili, alimentano proteste crescenti contro gli Usa. I droni infatti colpiscono ovunque, senza rispettare le frontiere: in Yemen, in Somalia, in Afghanistan, in Iraq. Ma - come ha rivelato il "New York Times" - due degli ultimi assalti condotti in Pakistan non sono opera degli americani. Un'inchiesta del quotidiano avanza l'ipotesi che i bombardamenti sui villaggi della "zona tribale", la regione al confine con l'Afghanistan dove i talebani radicano il loro potere, siano stati realizzati da droni pakistani. Le autorità del Paese, da sempre impegnate a criticare le azioni americane sul loro territorio, avrebbero mantenuto il segreto proprio per evitare reazioni popolari: tutti hanno pensato che i bombardamenti fossero statunitensi.
Il Pakistan da tre anni dispone di una flotta di droni, grazie a Finmeccanica.
L'azienda italiana, controllata dallo Stato, gli ha venduto il Falco, un aereo teleguidato progettato dalla Selex-Galileo. Più piccolo dei Predator americani, il Falco ha comunque ottime prestazioni. E' lungo cinque metri, con un'apertura alare di sette e può rimanere in volo per dodici ore, trasmettendo dati a oltre duecento chilometri di distanza. E' stato concepito per la ricognizione, con visori all'infrarosso o radar, in modo da spiare il territorio e individuare i bersagli.
Di fatto, è l'unico drone europeo operativo disponibile sul mercato, dominato dalle aziende Usa e da quelle israeliane: un'ottima occasione per quei paesi che vogliono disporre di aerei robot senza avere le mani legate. E' stato ceduto all'Arabia Saudita, alla Giordania mentre la rivoluzione ha fatto saltare il contratto con la Libia di Gheddafi. Ma il primo a comprarlo è stato proprio il Pakistan, con un ricco accordo firmato nel 2007.
Il governo di Islamabad ne ha acquistati 25: cinque batterie complete di sistemi di controllo e trasmissione. I primi esemplari sono arrivati dall'Italia, gli altri sono stati assemblati lì. Risultano in servizio dal 2009, con grande soddisfazione degli utilizzatori: un solo velivolo è andato perso per un incidente. Ma i generali pakistani non si accontentano di usarlo per missioni di spionaggio e da anni cercano di dotare il Falco di veri artigli per trasformarlo in un drone da combattimento.
Lo scorso 20 settembre il ministro della Difesa Syed Naveed Qamar ha annunciato la volontà di produrre il Falco nello stabilimento statale Pakistan Aeronautical Complex di Kamra, nella regione del Punjab. E i dirigenti dell'impianto hanno dichiarato di stare disegnando una versione del drone italiano «equipaggiata con armi per condurre operazioni offensive».
Sotto le ali del Falco possono essere facilmente posizionati due missili, per un peso totale di 70-80 chili. In particolare, stando alle notizie trapelate sui siti specializzati, i pakistani avrebbero condotto dei test con razzi e studiano il modo di armare i loro droni con missili di ultima generazione. Si tratterebbe degli Umtas turchi, ordigni del tipo "spara e dimentica" che si dirigono autonomamente sul bersaglio assegnato e pesano esattamente 37,5 chili ciascuno. Gli Umtas sono ben noti agli ingegneri di Finmeccanica: il sistema è stato progettato per equipaggiare gli Agusta T129 Atak, i nuovi potenti elicotteri da battaglia costruiti in Italia per il governo turco che ne ha acquistati sessanta per un valore di tre miliardi di euro.
Ovviamente, i lunghi voli del Falco non sono piaciuti a Washington che teme di vedere arrivare tecnologie sofisticate negli arsenali di governi poco affidabili. Quando l'Italia ha firmato il contratto con il Pakistan, il paese era saldamente in mano al generale Musharraf che prometteva piena collaborazione agli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Poi le cose sono cambiate e la diffusione nei droni made in Italy in Pakistan ha creato più di un attrito tra la diplomazia statunitense e la nostra industria bellica, molto spesso disposta a tutto pur di fare affari. Anche a mettere a rischio le alleanze più importanti.
Gli attacchi degli aerei robot statunitensi sono diventati il nuovo volto della lotta al terrorismo e stanno creando più di un imbarazzo al presidente Obama, principale fautore di questi strumenti. Nel mondo islamico i raid dei velivoli teleguidati, che spesso restano in volo per giorni in attesa di scovare i bersagli e in alcuni casi hanno provocato l'uccisione di civili, alimentano proteste crescenti contro gli Usa. I droni infatti colpiscono ovunque, senza rispettare le frontiere: in Yemen, in Somalia, in Afghanistan, in Iraq. Ma - come ha rivelato il "New York Times" - due degli ultimi assalti condotti in Pakistan non sono opera degli americani. Un'inchiesta del quotidiano avanza l'ipotesi che i bombardamenti sui villaggi della "zona tribale", la regione al confine con l'Afghanistan dove i talebani radicano il loro potere, siano stati realizzati da droni pakistani. Le autorità del Paese, da sempre impegnate a criticare le azioni americane sul loro territorio, avrebbero mantenuto il segreto proprio per evitare reazioni popolari: tutti hanno pensato che i bombardamenti fossero statunitensi.
Il Pakistan da tre anni dispone di una flotta di droni, grazie a Finmeccanica.
L'azienda italiana, controllata dallo Stato, gli ha venduto il Falco, un aereo teleguidato progettato dalla Selex-Galileo. Più piccolo dei Predator americani, il Falco ha comunque ottime prestazioni. E' lungo cinque metri, con un'apertura alare di sette e può rimanere in volo per dodici ore, trasmettendo dati a oltre duecento chilometri di distanza. E' stato concepito per la ricognizione, con visori all'infrarosso o radar, in modo da spiare il territorio e individuare i bersagli.
Di fatto, è l'unico drone europeo operativo disponibile sul mercato, dominato dalle aziende Usa e da quelle israeliane: un'ottima occasione per quei paesi che vogliono disporre di aerei robot senza avere le mani legate. E' stato ceduto all'Arabia Saudita, alla Giordania mentre la rivoluzione ha fatto saltare il contratto con la Libia di Gheddafi. Ma il primo a comprarlo è stato proprio il Pakistan, con un ricco accordo firmato nel 2007.
Il governo di Islamabad ne ha acquistati 25: cinque batterie complete di sistemi di controllo e trasmissione. I primi esemplari sono arrivati dall'Italia, gli altri sono stati assemblati lì. Risultano in servizio dal 2009, con grande soddisfazione degli utilizzatori: un solo velivolo è andato perso per un incidente. Ma i generali pakistani non si accontentano di usarlo per missioni di spionaggio e da anni cercano di dotare il Falco di veri artigli per trasformarlo in un drone da combattimento.
Lo scorso 20 settembre il ministro della Difesa Syed Naveed Qamar ha annunciato la volontà di produrre il Falco nello stabilimento statale Pakistan Aeronautical Complex di Kamra, nella regione del Punjab. E i dirigenti dell'impianto hanno dichiarato di stare disegnando una versione del drone italiano «equipaggiata con armi per condurre operazioni offensive».
Sotto le ali del Falco possono essere facilmente posizionati due missili, per un peso totale di 70-80 chili. In particolare, stando alle notizie trapelate sui siti specializzati, i pakistani avrebbero condotto dei test con razzi e studiano il modo di armare i loro droni con missili di ultima generazione. Si tratterebbe degli Umtas turchi, ordigni del tipo "spara e dimentica" che si dirigono autonomamente sul bersaglio assegnato e pesano esattamente 37,5 chili ciascuno. Gli Umtas sono ben noti agli ingegneri di Finmeccanica: il sistema è stato progettato per equipaggiare gli Agusta T129 Atak, i nuovi potenti elicotteri da battaglia costruiti in Italia per il governo turco che ne ha acquistati sessanta per un valore di tre miliardi di euro.
Ovviamente, i lunghi voli del Falco non sono piaciuti a Washington che teme di vedere arrivare tecnologie sofisticate negli arsenali di governi poco affidabili. Quando l'Italia ha firmato il contratto con il Pakistan, il paese era saldamente in mano al generale Musharraf che prometteva piena collaborazione agli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Poi le cose sono cambiate e la diffusione nei droni made in Italy in Pakistan ha creato più di un attrito tra la diplomazia statunitense e la nostra industria bellica, molto spesso disposta a tutto pur di fare affari. Anche a mettere a rischio le alleanze più importanti.
(Fonte)
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