L'allarme sulla insolvibilità dell'Istituto Dermopatico
dell'Immacolata è rimasto nella cassaforte della Congregazione per otto
anni, mentre la Regione Lazio rimborsava le fatture. Poi nel 2011 il
crac diventa ufficiale. Niente soldi per i fornitori, 1.500 dipendenti a
rischio. La Procura apre un'inchiesta: si indaga su associazione a
delinquere e appropriazione indebita. Partono 7 avvisi di garanzia.
Interviene il Vaticano. La proprietà cerca la soluzione del concordato
preventivo. Il Tribunale fallimentare esprime i suoi dubbi. C'è un
"rosso" dichiarato di 450 milioni di euro, ma forse è più grande. Medici
e tecnici resistono, ma le apparecchiature sono prive di manutenzione,
gli ambulatori quasi deserti. E ora per salvare l'Immacolata servirebbe
un miracolo
ROMA - “Verso i mesi di marzo e aprile, non avendo più
alcuna possibilità di dare garanzie alle banche, saremo in una
situazione insostenibile e senza via d'uscita, a meno di un miracolo. Vi
chiedo, quindi, la possibilità di studiare assieme con estrema urgenza
questa situazione per trovare una via d'uscita”. La lettera è del 18
dicembre 2003. La firma è del direttore amministrativo dell'Istituto
Dermopatico dell'Immacolata Piero Nicolai. I destinatari: Giuseppe
Pusceddu, presidente della Provincia italiana della Congregazione dei
figli dell'Immacolata Concezione e il consigliere delegato Pietro Puddu.
Il film horror comincia da qui.
Una lettera top secret, conservata nella cassaforte della Congregazione, in via della Luce a Roma. Otto anni trascorsi nel silenzio più assoluto: la Regione Lazio rimborsava le fatture dell'Idi, dell'ospedale San Carlo di Nancy, e di Villa Paola a Capranica. Poi, nell'agosto del 2011, il crac diventa ufficiale: non ci sono i soldi per pagare i fornitori, a rischio gli stipendi dei 1.500 dipendenti.
Una lettera top secret, conservata nella cassaforte della Congregazione, in via della Luce a Roma. Otto anni trascorsi nel silenzio più assoluto: la Regione Lazio rimborsava le fatture dell'Idi, dell'ospedale San Carlo di Nancy, e di Villa Paola a Capranica. Poi, nell'agosto del 2011, il crac diventa ufficiale: non ci sono i soldi per pagare i fornitori, a rischio gli stipendi dei 1.500 dipendenti.
Comincia il calvario.
Saltano le teste dei direttori amministrativi e dei vertici della
Congregazione. Ma la situazione non cambia. La Procura di Roma apre
un'inchiesta, coadiuvata dalla Direzione Investigativa Antimafia.
Partono sette avvisi di garanzia per associazione a delinquere e
appropriazione indebita. Sei mesi fa la Congregazione chiede al
Tribunale Civile di Roma la procedura del “concordato preventivo” per
scongiurare il fallimento. Il termine è scaduto il 24 febbraio 2013 e i
nuovi vertici dell'Idi hanno chiesto la proroga di un mese. La Procura
ha dato parere negativo al Tribunale Fallimentare, perchè alla
Congregazione è stato già concesso troppo tempo e la situazione delle
aziende sanitarie sta precipitando. In
realtà, la procedura in corso al Tribunale Civile blocca di fatto
ulteriori atti da parte della Procura, compresi eventuali mandati di
arresto.
Nel frattempo, i dipendenti continuano a non vedere un euro da sei mesi, a parte un acconto di 1.500 a dicembre, la Regione Lazio ha bloccato trasferimenti mensili alla Congregazione a partire da gennaio 2013, in attesa di capire che fine farà il gruppo religioso.
Poi, il 18 febbraio del 2013, scende in campo il Vaticano. "Il 15 febbraio il Santo Padre ha deciso - comunica la sala stampa della Santa Sede - di affidare il governo dell'Istituto religioso al cardinal Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli affari economici. In tale veste, il cardinal Versaldi avrà il compito di guidare l'Istituto religioso e di indirizzare le strutture sanitarie da esso gestite verso un possibile risanamento economico". Il mondo politico, da destra al centro alla sinistra, esulta. I dipendenti tirano un sospiro di sollievo. Peccato che nessuno abbia letto le ultime righe del comunicato: "Escludendo tuttavia una partecipazione della Santa Sede in tali opere". Al cardinale segue a ruota Giuseppe Profiti, il super esperto della sanità vaticana, ex vice di don Verzè al San Raffaele di Milano, direttore dell'ospedale Bambino Gesù di Roma.
Ma anche lui non porta buone notizie: le banche non tirano fuori un euro, niente da fare per gli stipendi arretrati. Stiamo studiando una soluzione. Una potrebbe essere la vendita del San Carlo di Nancy per fare cassa, l'altra è di accettare l'offerta di una multinazionale tedesca che ha messo sul piatto 360 milioni di euro. Ma ora i "tedeschi" danno segnali di nervosismo, vista la situazione confusa.
Questo oggi. Vediamo di vederci più chiaro alla luce delle audizioni alla Commissione d'inchiesta del Senato sulla Sanità, presieduta da Ignazio Marino.
Mercoledì 21 novembre 2012.
Enrico Bondi, commissario ad acta per il piano di rientro dai disavanzi
della sanità nel Lazio: "Una parte importante delle fatture, pari a 110
milioni di euro, sono state pagate per cassa dalla Regione, che
comunque l'IDI ha ugualmente scontato. Ora il factor pretende il
rimborso dalla Asl. Si tratta di un doppio sconto... Poi, ci sono 51
milioni non riferibili a prestazioni sanitarie. Poi ci sono fatture
relative a prestazioni non riconoscibili, che ammontano a 140 milioni di
euro. Quindi il totale di rischio per la Asl RmE in questo momento è di
244 milioni di euro, in parte per soldi pagati e fatture scontate dopo
essere state pagate. Poi ci sono gli stipendi arretrati del personale.
Spero che la magistratura individui le responsabilità per gli
ammanchi... E in futuro si potrebbe scoprire l'esistenza di un debito
sommerso".
Mercoledì 24 ottobre 2012.
Vincenzo Boncoraglio, Presidente dell'IDI: "I giornali parlano di
sofferenze intorno ai 600-800 milioni di euro, ma un lavoro certosino di
ricerca mi ha portato a sottoscrivere un ammanco di 450 milioni di
euro... i crediti che venivano erogati dalla Asl venivano
sistematicamente bloccati e pignorati dai creditori... ho avuto contatti
con il Collegio pastorale per le opere sanitarie, con la Conferenza
Episcopale e con la Segreteria di Stato vaticana... spero in segnali di
sensibilità e vicinanza".
Mercoledì 28 novembre 2012.
Lucia Caterina Odello, giudice del Tribunale di Roma, sezione
fallimentare: "Tanti sono i modi in cui si sostanzia un concordato
preventivo. Qui la sostanza non c'è... La norma, introdotta da pochi
mesi, serve per dare la possibilità all'azienda in difficoltà di
lavorare senza il fiato sul collo dei creditori... Molto spesso questo
strumento viene usato anche da chi non ha alcuna speranza di restare sul
mercato... si finge di presentare un piano per ottenere un tempo
ulteriore senza subire l'aggressione del proprio patrimonio".
Una giornata particolare.
All'Idi si respira un'atmosfera felliniana. Medici, tecnici di
laboratorio, infermieri all'opera come se tutto fosse normale. Le
bandiere dei sindacati sventolano sull'ingresso di via dei Monti di
Creta, il luogo dove il padre fondatore, tra porcilaie e orti, aprì il
suo primo luogo di accoglienza per poveri e sofferenti. All'orizzonte,
prepotente, la cupola di San Pietro. Ma girando tra i reparti si avverte
l'aria di angoscia e demoralizzazione che serpeggia tra i dipendenti.
La Radiologia è alla canna del gas: bloccata la risonanza magnetica,
fuori uso la Tac. La Siemens, che ha fornito i macchinari, ha bloccato
la manutenzione perché vanta un credito di 30 milioni di euro. Eppure
medici e tecnici sono lì, non mollano, anche se hanno poco da fare e non
prendono soldi da tempo. Anche gli ambulatori, fiore all'occhiello
dell'Idi, sono quasi deserti. Sui display i numeri delle prenotazioni:
103. Un'inezia rispetto alle 700 degli anni d'oro quando i pazienti si
accalcavano ai cancelli fin dalle 5 di mattina per prendere il "numero".
E molti venivano da Campania, Puglia e Sicilia, perché l'Idi era un
ospedale unico nel centro-sud per le patologie dermatologiche.
Un patrimonio buttato alle ortiche. Un futuro drammatico.
(Fonte)
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