Due anni fa ci fu il terribile incidente di Fukushima.
Si verificò subito dopo il referendum nel quale gli Italiani ribadirono
la propria contrarietà al nucleare. Ciononostante, ogni mese, tonnellate
di scorie nucleari ad altissima radioattività viaggiano sui binari
ferroviari delle nostre città, senza che la popolazione ne venga messa
al corrente. Ho chiesto a Stefano Ciafani, vicedirettore nazionale di Legambiente, di raccontarlo al blog.
I TRENI DELLA MORTE
intervista a Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente
Il nostro Paese continua ad essere interessato, ormai da qualche anno, dall’esportazione soprattutto di barre di uranio irraggiato,
ovvero il combustibile che veniva utilizzato nelle quattro centrali
italiane che erano in funzione fino agli anni ’80, e che poi
fortunatamente sono state spente grazie al referendum approvato e poi
votato dalla maggioranza degli Italiani nell’’87. Quelle barre vengono
esportate su rotaia, e dovrebbe essere segnalato chiaramente agli
abitanti dei territori che vengono attraversati. Cosa che succede
abbastanza normalmente negli altri Paesi. Noi non stiamo facendo nulla
di tutto ciò.
In questo periodo la direttrice principale è Piemonte- Francia,
anche se qualche mese fa c’era stato un viaggio, di cui non si è
parlato adeguatamente e che ha scatenato molte polemiche sul territorio,
che dalla provincia di Vercelli doveva andare verso Trieste, perché in
quel caso i rifiuti radioattivi sarebbero stati imbarcati su una nave
per essere poi destinati all’esportazione via mare. Diciamo che ci sono
magari differenze nelle tratte, ma la costante è la totale assenza di corretta informazione su questi viaggi molto pericolosi
che, se in alcuni casi sono inevitabili, devono esser fatti nel
rispetto delle norme, nel rispetto della giusta necessità da parte dei
cittadini di essere informati. E questo purtroppo non si sta facendo.
I treni con le scorie radioattive viaggiano sui binari tradizionali:
quindi sulle ferrovie che vengono ogni giorno seguite dai treni dei
pendolari, dai treni di chi si sposta da una città all’altra piuttosto
che dai treni merci. Ed è per questo che è fondamentale informare le
popolazioni, perché ad esempio quei treni passano nelle stazioni,
dove magari ci sono persone che stanno aspettando il treno per andare
al lavoro, o per andarsene in un’altra città o per andarsene in vacanza e
magari rischiano di vedersi passare il treno coi rifiuti radioattivi davanti senza saperlo.
Ecco, questo è il punto: si deve rendere consapevole la popolazione che
a quell’ora, in quella stazione ferroviaria, oppure a quell’ora, a quel
passaggio a livello, oppure a quell'ora, davanti a una casa, passa il
treno. Si devono informare tutti che sta passando un treno coi rifiuti radioattivi.
Chi non vuole starci, accanto a un treno coi rifiuti radioattivi, deve
essere adeguatamente informato perché si deve allontanare quantomeno per
quei minuti in cui il treno sta passando. Se non si dice a che ora e
dove passerà il treno, i cittadini non potranno scegliere, saranno in
qualche modo obbligati a subire il passaggio del treno con le scorie.
La legge esiste. Viene previsto l’obbligo della corretta informazione.
Il vuoto sta nella politica locale e nel network delle prefetture e dei
territori che vengono interessati dal passaggio del treno, che non
fanno quello che è previsto dalla norma. Questa è la cosa più grave che
abbiamo denunciato per l’ennesima qualche lunedì fa. Un treno di scorie è
più sicuro rispetto alle scorie che possono viaggiare su un TIR, su
gomma, ma è possibile che si verifichino incidenti ferroviari.
I cittadini devono essere informati sugli scenari possibili, anche
quelli più catastrofici, che speriamo non si concretizzino mai. Senza
un'adeguata informazione aumentano i rischi di coinvolgimento delle
popolazioni o dei territori in potenziali incidenti. Dovremmo imparare
dagli altri Paesi: continuiamo a gestire questa partita in maniera
sbagliata, e questo finisce per creare inutili polemiche, che a loro
volta producono tanti ritardi. Ma si tratta di ritardi voluti da chi
decide di realizzare le opere: pensano di poter fare le cose alla
chetichella, ma poi questa mancata informazione si paga. In Francia
esiste una legge da diversi anni: la legge sul cosiddetto dibattito
pubblico che prevede una fase di consultazione vera del territorio che
sarà oggetto di questa nuova infrastruttura stradale, autostradale,
ferroviaria, impiantistica eccetera... Insomma c’è una fase di
discussione, a volte anche accesa, nella quale si mette in discussione
il progetto o i suoi dettagli. Si perde un po’ di tempo prima, ma poi
quel tempo che tu perdi prima dell’approvazione dell’impianto lo
recuperi nel momento in cui l’impianto o l’infrastruttura trasportistica
la devi realizzare, dopo.
Stiamo facendo una cosa molto discutibile: inviamo i nostri rifiuti radioattivi all’estero,
negli impianti di riprocessamento delle scorie. Li inviamo in quello
francese piuttosto che in quello inglese di Sellafield. Poi le barre,
dopo essere state trattate adeguatamente, vengono rispedite al mittente,
nella loro parte, diciamo, di rifiuto, con tutto il loro contenuto
altamente radioattivo. Quel tipo di radioattività decade con intervalli
di tempo lunghissimi: si parla di decine di migliaia di anni. Questi
rifiuti torneranno in Italia vetrificati, cementificati, ma con tutto
il loro contenuto radioattivo che dovrà essere depositato nel famigerato
deposito nazionale di rifiuti radioattivi che ancora ad oggi non è
stato realizzato, e che ancora ad oggi non è stato neanche localizzato,
dopo il folle percorso che il governo Berlusconi nel novembre del 2003
decise di imboccare quando decise la localizzazione di Scanzano Jonico
in Basilicata. Volevano realizzare un deposito di rifiuti radioattivi
senza aver fatto la minima condivisione con il territorio. Non lo
sapevano gli enti locali, non lo sapevano i cittadini, non lo sapevano
le categorie produttive, gli agricoltori e gli operatori turistici. Il
risultato fu che come ricordiamo tutti la Basilicata fu bloccata dalle
proteste popolari per un mese. E dopo un mese, il governo Berlusconi
fece il secondo errore: dopo aver individuato un sito senza condividerlo
con nessuno, decise di ritirare quella localizzazione, creando un
precedente assolutamente pericoloso perché innanzitutto non abbiamo
bisogno di un deposito per rifiuti ad alta attività, visto che
fortunatamente dalla fine degli anni ’80 non ne produciamo più (e mi
auguro non ne produrremo più, visto che il NO al nucleare detto in
maniera chiara dagli Italiani nell’’87 è stato ribadito poi con
altrettanta forza nel referendum del 2011).
Quei pochi rifiuti radioattivi ad alta produttività, l’Italia può
stoccarli in quelli che la direttiva europea sullo smaltimento dei
rifiuti radioattivi definisce depositi internazionali,
nei confini europei, magari realizzati in quei Paesi che continuano a
produrre elettricità dall’atomo, e che quindi continuano a produrre
rifiuti radioattivi. Tuttavia, dalla fine degli anni ’80, continuiamo a
produrre ogni anni circa 2 mila metri cubi di rifiuti radioattivi a media e bassa attività,
che sono i rifiuti che sono prodotti nell’industria, piuttosto che
negli ospedali, piuttosto che nei centri di ricerca. Ecco, li stiamo
producendo anche nel 2013 e, quindi, è comunque necessario individuare
uno o più siti che li possano ospitare, per le decine di anni in cui
quei rifiuti continueranno ad emettere radioattività. Per questo genere
di scorie in qualche modo bisognerà trovare una sistemazione nei confini
nazionali. Ma con il precedente di Scanzano ora sarà complicatissimo
anche trovare una localizzazione per i rifiuti a media e bassa attività.
Quindi è stato fatto un doppio disastro dall’allora governo Berlusconi,
che purtroppo ancora oggi paghiamo perché, ad esempio, le scorie che
stiamo inviando in Francia, le scorie che abbiano inviato nel passato in
Gran Bretagna, quelle torneranno indietro, qui, con tutto il loro
corico di radioattività. E noi, ad oggi, non sappiamo dove metterle.
Non abbiamo neanche firmato un accordo con un altro Paese, nel rispetto
della direttiva europea, per conferirli. Ad oggi, è bene ricordare che
nessun Paese del mondo ha realizzato un deposito per rifiuti ad alta
attività, un deposito definitivo. E non ce n’è neanche uno in attività.
L'unico che c'è, negli Stati Uniti, è per rifiuti nucleari derivanti
dalle attività militari, ma un deposito per rifiuti radioattivi civili
non è attivo, parlo di depositi definitivi. E questo dimostra, se mai ce
ne fosse ancora bisogno, la follia che sta dietro a questa tecnologia
per produrre elettricità, in Europa così come nel resto del mondo.
(Fonte)
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