Sino a venerdì sera non mi ero accorto di una verità: il miglior testimone della crisi italiana non è un storico, un economista, un filosofo, bensì un comico, Maurizio Crozza. Me ne sono reso conto quando ho visto sulla Sette il suo spettacolo, «Crozza nel Paese delle meraviglie». Qualcuno mi domanderà: che cosa aveva di speciale la puntata dell’altro ieri, tranne il fatto che lei non aveva visto quelle di prima? La mia risposta è semplice: perché ci presentava una foto di famiglia dei big politici italiani scattata con sacrosanta crudeltà.
Per cominciare c’era il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, presentato come un bambinone per metà carogna e per metà coglione. Intento a giocare con il telefonino e con altri aggeggi infantili nel pieno della conferenza stampa indetta per illustrare la manovra finanziaria. Il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, parlava, parlava, parlava. E il premier si trastullava, faceva versacci, si divertiva con due ministre. Un bamboccione scemo con la crapa ricoperta da un caschetto di capelli neri e due dentoni da castoro.
Poi entravano in scena i boss del sindacato rosso: Susanna Camussoe Maurizio Landini. La segretaria generale della Cgil, interpretata anche lei da Crozza, risultava un donnone vestito come una kulaka russa sopravvissuta a Stalin. Del tutto scema, mezza sorda, incapace di comprendere questioni da nulla. Il capo della Fiom, con la famosa felpa rossa dei metalmeccanici, era un ritardato mentale, sempre deciso a occupare fabbriche che non esistono più.
Infine arrivava il momento di Silvio Berlusconi. Qui la crudeltà di Crozza diventava sublime. Il povero Cavaliere appariva un signore anziano, ben tenuto sotto l’aspetto fisico, ma del tutto ebete. Nelle mani di una giovane fidanzata, la signorina Pascale, bella, elegante e autoritaria. La morosa gli scagliava addosso un telefono, ordinando: «Chiama i tuoi parlamentari e fatti restituire i soldi che hanno ricevuto da te. Ne hai bisogno perché Forza Italia ha le tasche vuote».
Silvio obbediva e cominciava a telefonare. Chiamava Renato Brunetta, poi Gianfranco Rotondi. Ma loro gli rispondevano picche: niente conquibus. Rotondi, ossia un Crozza diventato il suo sosia, gli rispondeva in dialetto avellinese: «Presidente, sei tu che devi dei soldi a me!». Allora la Pascale, spazientita, trascinava via l’amato Cavaliere. A fare che cosa? Non si sa.
Ho sempre pensato che prendere per i fondelli i padroni del vapore sia un sacrosanto diritto in tutte le democrazie. Ma lo spettacolo di Crozza mi ha confermato che l’Italia è un paese dove il caos sta diventando micidiale. Gli spettatori che affollavano lo studio del comico genovese si sganasciavano dalle risate. Ho riso anch’io, mentre avrei dovuto piangere. Per un terribile sospetto: i big messi in scena forse erano davvero così. Oppure non molto differenti dalle loro caricature.
Renzi sarà pure un capo di governo che alle elezioni europee ha preso il 40,8 per cento dei voti. Ma ogni volta che lo vedo alla televisione, dove lui imperversa tutti i giorni a tutte le ore, non mi sembra diverso dall’imitazione che ne fa Crozza. Con qualche aggravante. La più vistosa sta emergendo in queste settimane balorde, dovute alle alluvioni e alla crisi che attanaglia anche grandi aziende. Vogliamo dirla tutta? Renzi sarà un genio della politica e un rottamatore mai soddisfatto, però è un fifone, un signore che ha paura. Dobbiamo considerarla una colpa? No, in base al vecchio adagio che se un uomo non possiede il coraggio, di certo non può darselo da solo.
Il nostro premier rifugge dalle situazioni rischiose. L’avete visto a Genova, per ringraziare e rincuorare gli angeli del fango? No. L’avete visto a Terni, per sfilare insieme a una città che può morire con l’acciaieria della Thyssen? No. Quel pomeriggio, mentre i cittadini di Terni protestavano in modo pacifico anche se alle prese con un disastro, Renzi se n’è stato chiuso dentro Palazzo Chigi a fare il cascamorto con una seducente conduttrice televisiva americana. E ha voluto che lo fotografassero, per dimostrare che il sex appeal degli italiani è intatto, sia pure del genere «poveri ma belli».
Ha persino più coraggio di lui Padoan, il ministro dell’Economia. In questi giorni, senza batter ciglio, ha ripetuto un’enormità: «Noi i tagli li abbiamo fatti e anche la riduzione delle tasse. Se poi le regioni decideranno di aumentare le imposte, i cittadini se la prendano con loro». Una perfetta dichiarazione da giocatore delle tre carte. Recitata con la faccia distrutta di un ministro alle prese con un compito immane. Deve avergliela suggerita Renzi, con l’aria di dire: «Vai avanti tu, che a me viene da ridere».
Un altro avamposto cruciale dell’Italia di oggi, è la Sicilia degli sbarchi dei clandestini che arrivano in casa nostra partendo dall’Africa sub sahariana. Renzi è mai andato di recente a ringraziare i marinai dell’operazione «Mare nostrum» e i sindaci delle città dapprima siciliane e adesso di tante aree del Sud, alle prese con i giganteschi problemi dell’accoglienza di migliaia di profughi? No
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Non sappiamo neppure quanti siano i clandestini arrivati in Italia. Il capo di Stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha detto a Chiara Giannini di Libero: «In un anno di attività, la Marina, con l’aiuto di altre forze armate, ha tratto in salvo quasi 200 mila persone». Il ministero dell’Interno continua a parlare di 140 mila. Qual è la verità, dove sono finiti e quanto ci costano? Mistero. L’operazione «Mare nostrum» dovrebbe concludersi tra due settimane, il 1° novembre. E nessuno sa dirci che cosa accadrà dopo.
Gli storici che in futuro si occuperanno di Renzi, dovranno spiegarci il mistero di un giovane leader politico che preferisce l’apparenza alla sostanza. Di solito, questa è una prerogativa dei vecchi politicanti, quelli che Matteo cerca di rottamare. Invece è diventata la bandiera di un premier non ancora quarantenne. L’Italia va a ramengo e lui va ad Assisi a improvvisare un comizio su San Francesco. Una delle vanterie renziste recita: «Io ci metto la faccia». È vero, ma soltanto dove ad aspettarlo non c’è gente infuriata, bensì una troupe televisiva.
Non è un caso che si assista a un paradosso. I media stampati mostrano dei dubbi sempre più forti sull’efficacia delle imprese di Renzi. L’Espresso di questa settimana è uscito con una copertina che dice: «Promesse da Matteo». In sette mesi di governo, l’elenco degli annunci rimasti nel limbo delle parole a vuoto si è fatto sempre più lungo. Invece certe emittenti televisive sono diventate quello che l’Eiar, l’Ente italiano audizioni radiofoniche, era per Benito Mussolini. Durante il regime fascista ero un bambino e me li ricordo i discorsi del Duce che la radio diffondeva sulle piazze. Quando vedo apparire nel telegiornale di Sky la faccia compunta di Andrea Bonini, penso con malinconia a un bravo giornalista costretto a fare ogni sera il megafono di Renzi.
Che cosa accadrebbe se l’Europa, Iddio non voglia, ritenesse insufficiente la manovra finanziaria presentata dal governo italiano? L’ipotesi più infausta sarebbe quella di andare a elezioni anticipate. Ma anche in quel caso, i problemi del premier non verranno risolti. Infatti, manca ancora la nuova legge elettorale promessa dal governo. Allora ci troveremmo nella nebbia più fitta. La condizione ottimale per andare a sbattere e finire nei marosi tutti insieme. E ad aspettare l’arrivo della Troika.
(Fonte)
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