L’ITALIA E’ IL RING SU CUI SI SFIDERANNO AMERICA E CINA - PECHINO HA MESSO IL PIEDE IN MEZZO SISTEMA INDUSTRIALE (TELECOM, ENI, ENEL, GENERALI, PIRELLI, FIAT, PRSYMIAN, CDP RETI, ANSALDO ENERGIA) MA WASHINGTON NON GRADISCE E HA SCATENATO BLACKROCK
La preoccupazione degli Usa è che l’avanzata cinese in Italia sia un segnale di come la Repubblica popolare cerchi di rendere più autonoma l’Europa dal nord America - Alcuni esponenti dell’esecutivo sono stati avvicinati negli ultimi mesi da alcuni diplomatici del dipartimento di stato e da alcuni pezzi grossi dei fondi di investimento americani.
Nei prossimi giorni, complice il vertice eurasiatico che si svolgerà tra giovedì e venerdì a Milano, sui quotidiani italiani continuerete a leggere molti approfondimenti che vi racconteranno di come negli ultimi anni la Cina abbia scelto, passo dopo passo, di entrare in modo deciso all’interno del mercato italiano.
I casi di investimenti sono noti ma metterli in fila uno accanto all’altro può essere utile per fotografare l’entità del fenomeno. In Telecom, Eni, Enel, Generali, Pirelli, Prysmian e Fiat la Banca centrale cinese ha superato di poco il 2 per cento. In Cdp Reti, attraverso la State Grid Corporation of China, Pechino è arrivata al 35 per cento, e grazie a questa acquisizione avrà due componenti su cinque nel cda di Cdp Reti e un componente nei cda di Snam e terna.
In Finmeccanica la Cina ha portato avanti due operazioni parallele: da una parte entrando in Ansaldo Energia, di cui, attraverso la Shanghai Electric, i cinesi controllano ora il 40 per cento; dall’altra entrando in BredaMenarinibus, società del gruppo Finmeccanica, uno dei principali produttori italiani di autobus, che a fine giugno si è fusa con un’altra azienda (Irisbus) formando una nuova società partecipata al 20 per cento da Finmeccanica e all’80 per cento da King Long Italia, filiale italiana di Xiamen King Long United Automotive Industry, maggiore casa costruttrice di autobus della Repubblica popolare (a oggi, tra l’altro, si tratta, dell’unica privatizzazione vera del governo Renzi).
Questa dunque è la storia degli ultimi due anni. La storia di una improvvisa domanda di asset del nostro paese arrivata da parte della Cina (dal 2009 a oggi, secondo un rapporto Rothschild, il 10 per cento delle operazioni commerciali fatte dalla Cina con imprese europee è avvenuto in Italia. Nel 2014 l’Italia è il terzo paese europeo per dimensione di investimenti di Pechino).
Ma una storia che non si può capire fino in fondo senza raccontare come nel nostro paese a soffrire l’attività espansiva della Repubblica popolare sia stato non l’universo imprenditoriale e politico italiano, che anzi ha fatto di tutto per aprire le porte agli investitori cinesi, bensì quello americano. Tramite fonti dirette e indirette, a quanto risulta al Foglio, il governo statunitense ha chiesto più volte a Matteo Renzi alcuni chiarimenti sui rapporti del nostro paese con Pechino.
Gli americani non gradiscono lo shopping del governo cinese su alcuni servizi strategici italiani (energia, telecomunicazioni, difesa) e alcuni esponenti dell’esecutivo sono stati avvicinati e contattati negli ultimi mesi da alcuni diplomatici del dipartimento di stato e da alcuni pezzi grossi dei fondi di investimento americani.
La preoccupazione è che l’avanzata cinese in Italia sia un segnale di come la Repubblica popolare cerchi di rendere più autonoma l’Europa dal nord America e da questo punto di vista la ripetuta triangolazione tra Cina e Italia osservata in alcuni settori chiave come Finmeccanica ha portato l’Amministrazione americana ad alzare le sue antenne e ad attrezzarsi per mettere in campo una difesa simmetrica.
L’esempio più significativo riguarda l’attivismo del fondo di investimento più grande del mondo: Blackrock, primo tra i fondi stranieri sulla Borsa milanese, con venti miliardi di euro di partecipazioni (5,2 per cento in Unicredit, 4,8 in Telecom, 3,2 in Mps, 3,7 in Enel, 3,2 in Bpm, 6,8 in Banco Popolare, 5 in Intesa Sanpaolo).
Dire che Blackrock sia una protesi dell’Amministrazione americana è una sciocchezza. Ma dire che alcuni investimenti di questo colosso (il suo ad, Larry Fink, è in buoni rapporti con Obama ed è stato a lungo in lizza per sostituire Geithner come segretario al Tesoro) siano mossi anche da interessi geopolitici coincidenti con quelli del governo è forse più corretto, e fa capire meglio l’entità della partita che si sta giocando in Italia.
Una partita che se non sfuggirà di mano potrà essere positiva per il nostro paese e che potrebbe emergere alla luce del sole quando partirà il processo di privatizzazione di Enel ed Eni, delle quali il governo dovrebbe cedere il 5 per cento entro l’anno. “Esiste – dice al Foglio Alberto Forchielli, ad di Mandarin capital partners, fondo di private equity specializzato nei rapporti tra Europa e Cina – una battaglia in Italia tra America e Cina.
Di solito gli americani comprano il meglio e i cinesi il peggio. Ma siccome il peggio sta prevalendo sul meglio i cinesi si compreranno l’Italia”. Renzi dunque sa che dovrà essere abile a mostrare equidistanza tra i due blocchi. Richiamare investimenti è importante. Ma farlo con cautela lo è ancora di più, se è vero che tra Cina e America, oggi, in Italia, c’è qualcosa di più di una semplice e formidabile battaglia economica.
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