mercoledì 29 ottobre 2014

ROMANZO QUIRINALE - DAL COLLE NEGANO CHE RE GIORGIO SI SIA RIFIUTATO DI RISPONDERE A CERTE DOMANDE - I PM ESULTANO: “IL PRESIDENTE CONFERMA CHE COSA NOSTRA RICATTAVA LO STATO”

Per Napolitano, D’Ambrosio non spiegò la sua frase ‘indicibili accordi’ nella lettera di dimissioni - La pm Teresi: “Risultato straordinario. Napolitano ha detto che le più alte istituzioni capivano che le stragi di Roma, Firenze e Milano erano la prosecuzione del piano di Cosa nostra per ottenere benefici di natura penitenziaria. Il cuore del processo”.

giorgio napolitano

E’ durata tre ore e mezza (con 15 minuti di pausa) nella sala del Bronzino del Quirinale la testimonianza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano davanti alla Corte d’assise di Palermo nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Napolitano era chiamato a raccontare cosa gli disse Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del capo dello Stato morto per infarto nel luglio 2012, a proposito di “indicibili accordi” e a riferire quello che sa su un attentato che la mafia avrebbe progettato contro di lui nel 1993, quando era presidente della Camera.

Secondo quanto riferito da alcuni legali e riportato dalle agenzie di stampa, Napolitano- “sereno e preciso” – ha risposto a diverse domande delle parti, anche a quelle poste dall’avvocato del boss Totò Riina, Luca Cianferoni. Ma in alcuni casi – riferiscono i legali citati dalle agenzie – si sarebbe appellato alle sue prerogative. Il presidente Napolitano “ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa”, precisa invece il Colle in una nota.


VERSIONI DIVERSE: IL COLLE AUSPICA TRASCRIZIONE VELOCE DELLA REGISTRAZIONE
LORIS D'AMBROSIO











LORIS D'AMBROSIO
Versioni diverse, quindi, che hanno spinto il Quirinale a diramare una nota con cui “auspica che la cancelleria della Corte assicuri al più presto la trascrizione della registrazione per l’acquisizione agli atti del processo”. Obiettivo? Dare “tempestivamente notizia agli organi di informazione e all’opinione pubblica delle domande rivolte al teste e delle risposte rese dal Capo dello Stato” si legge nella nota.

Alla domanda sui colloqui con D’Ambrosio il presidente ha risposto che avrebbe voluto essere trasparente, ma che l’ordinanza della Corte d’Assise di Palermo che regolamenta la sua testimonianza sottolinea il diritto alla totale riservatezza del capo dello Stato sui fatti relativi alla propria funzione. “Con Loris D’Ambrosio eravamo una squadra di lavoro”, avrebbe detto ancora il presidente della Repubblica. “La parola ‘trattativa’ non è stata mai usata”, riferisce un altro legale.

GLI “INDICIBILI ACCORDI”? “D’AMBROSIO NON CHIARÌ QUELL’ESPRESSIONE”
GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIOGIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO
A proposito degli “indicibili accordi”, Napolitano – sempre secondo i legali presenti alla deposizione – ha detto che il suo consigliere non chiarì mai a cosa si riferisse con quella espressione. Loris D’Ambrosio, insomma, non parlò a capo dello Stato di quella frase contenuta nella lettera di dimissioni, del giugno 2012, poi respinte. Napolitano avrebbe anche descritto alla corte lo stato di esasperazione dell’ex consigliere giuridico, scosso perché vedeva messa in dubbio la sua lealtà di servitore dello Stato, dopo la campagna mediatica seguita alla pubblicazione delle sue intercettazioni con Nicola Mancino.

NAPOLITANO: “MAI TURBATO DALLE NOTIZIE SUL PRESUNTO ATTENTATO NEL 1993″
NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANONICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO
Napolitano ha detto di non essere stato mai “minimamente turbato” delle notizie su presunti attentati alla sua persona nel 1993 “perché faceva parte del suo ruolo istituzionale”, ha spiegato l’avvocato Nicoletta Piergentili della difesa di Nicola Mancino, ex ministro dell’Interno (di cui comunque non si sarebbe mai parlato durante la deposizione). “Chi riveste un ruolo istituzionale non può mostrare paura o farsi intimidire. Parisi – avrebbe detto Napolitano – mi disse di continuare a fare la mia solita vita e quindi avevo percepito che c’era un allerta ma non importante”. Napolitano ha detto di “non aver mai saputo di accordi” tra apparati dello Stato e Cosa nostra per fermare le stragi, ha sottolineato all’uscita dal palazzo Giovanni Airò Farulla, avvocato del Comune di Palermo.

CAPO DELLO STATO: “STRAGI ’92 – ’93 SUSSULTO OLTRANZISTA DI COSA NOSTRA”
NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANONICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO
“Un sussulto della fazione oltranzista di Cosa nostra con la funzione di dare aut aut ai pubblici poteri o fare pressioni di tipo destabilizzante. L’allarme non venne sottovalutato, anche il black out a palazzo Chigi fu preso con attenzione”. Questa la valutazione che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, secondo quanto riferito dagli avvocati, avrebbe fatto delle stragi del 92-93 nel corso della sua deposizione.

“LA STRAGE DI CAPACI TALMENTE FORTE DA FAR TROVARE ACCORDO SU ELEZIONE SCALFARO”
La strage di Capaci fu un fatto talmente forte da essere da stimolo a trovare un accordo politico sulla nomina di Oscar Luigi Scalfaro a capo dello Stato. Lo avrebbe detto, secondo quanto riferito dai legali presenti oggi all’udienza al Quirinale, il presidente della Repubblica durante la sua deposizione, ricordando l’attentato contro il giudice Giovanni Falcone del 23 maggio 1992, mentre le Camere riunite votavano per il nuovo Capo dello Stato.

IL PM NINO DI MATTEOIL PM NINO DI MATTEO
“LA STRAGE DI VIA D’AMELIO ACCELERÒ CONVERSIONE DECRETO CHE INTRODUCEVA 41BIS”
La strage di via D’Amelio accelerò la conversione del decreto legge dell’8 giugno 1992 che introduceva il carcere duro per i mafiosi. Lo avrebbe detto ai giudici il capo dello Stato precisando che si doveva dare un segnale al nemico mafioso. Napolitano, precisando che all’epoca era presidente della Camera e quindi non entrava nel merito dei provvedimenti legislativi, ha sostenuto che i diversi gruppi politici non ebbero dubbi sulla necessità di una linea di intransigenza nella lotta alla mafia, compresa l’adozione del 41 bis. Il capo dello Stato ha anche detto di non ricordare contrapposizioni politiche sul carcere duro.

I PM FANNO DOMANDE, NAPOLITANO RISPONDE: “PENSATE CHE SIA PICO DELLA MIRANDOLA?”
La bomba agli UffiziLA BOMBA AGLI UFFIZI
Non sono mancati momenti di ironia durante la testimonianza del capo dello Stato, che a un certo punto, di fronte ad alcune domande dei pm, che, secondo il Presidente della Repubblica, si allontanavano dall’alveo originario della sua testimonianza, ha risposto: “Pensate che abbia la memoria di Pico della Mirandola?”. Il siparietto è stato riportato da un legale che ha assistito all’udienza.

PROCURATORE TERESI: “DA PRESIDENTE CONTRIBUTO PER VERITÀ”
“Il presidente ci ha dato un importante contributo per la ricerca della verità. Siamo molto, molto soddisfatti”. Per il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, l’udienza in ‘trasferta’ del processo per la trattativa Stato-mafia è stata un grande successo.

“Abbiamo incassato un risultato straordinario dal punto di vista processuale – ha detto Teresi – perché Napolitano ha detto che subito dopo le stragi di Roma, Firenze e Milano del ’93 tutte le più alte istituzioni hanno capito che era la prosecuzione del piano stragista di Cosa nostra, che tendeva a ottenere un aut aut – ha continuato il procuratore aggiunto – O si ottenevano benefici di natura penitenziaria per l’organizzazione o ci sarebbero state finalità destabilizzanti. Questo per noi è il cuore del processo. E questo è arrivato dalla viva voce del Capo dello Stato”.
Toto RiinaTOTO RIINA

Da Teresi, inoltre, sono arrivati ulteriori particolari circa l’andamento della deposizione. “Abbiamo potuto porre tutte le domande previste e il Capo dello Stato non si è mai opposto. Non si è mai sottratto ad alcuna domanda”.

Sulla stessa linea d’onda di Teresi anche il pm Nino Di Matteo, che tra le 40 domande poste al capo dello Stato è stato protagonista di quelle sui fatti del ’92/’93 (quelle su D’Ambrosio le ha poste Teresi): “Oggi, grazie alla testimonianza di Giorgio Napolitano, abbiamo acquisito ulteriori e importanti elementi di conoscenza anche a conforto della nostra tesi processuale”.

AVVOCATO RIINA: “PRESIDENTE UN PO’ DIFESO DALLA CORTE”
FALCONEFALCONE
“Napolitano durante l’udienza è stato un po’ ‘difeso‘ dalla Corte”. Parola del legale di Totò Riina, Luca Cianferoni, secondo cui “il dibattimento è stato gestito in maniera molto cauta. L’udienza – ha detto – a mio avviso è stata interessante al 51 per cento”. Il presidente, ha riferito ancora Cianferoni, “ha difeso la memoria di Loris D’Ambrosio. La mia idea? Se resta viva un po’ di gente – ha rimarcato il legale del superboss di Cosa nostra – questa vicenda del ’93 alla fine darà molte sorprese…”.

Nel frattempo, i legali di Nicola Mancino hanno presentato una eccezione di nullità del processo. Il motivo? “E’ stato inibito l’ingresso, è stata preclusa la partecipazione degli imputati, che mai in nessun caso deve essere impedita, costituzionalmente parlando”. E’ quanto dichiarato da uno dei difensori di Mancino, Massimo Krogh, secondo cui l’eccezione di nullità “è una mina vagante che c’è in questo processo e che potrebbe esplodere alla fine se il processo andasse male per gli imputati“.
OSCAR LUIGI SCALFAROOSCAR LUIGI SCALFARO

Piazzale del Quirinale assediato da cronisti per la deposizione del capo dello Stato
Dalle 8 il piazzale davanti al Quirinale era presidiato da cronisti e fotografi in attesa di catturare voci e scatti del pool dei pm. I componenti della Corte e i pm sono entrati nel palazzo pochi minuti prima delle 10, utilizzando l’ingresso laterale. Gli avvocati difensori degli imputati e i legali delle sette parti civile invece hanno utilizzato l’ingresso principale.

All’udienza hanno preso parte circa quaranta persone: i giudici, la cancelliera, cinque pubblici ministeri e gli avvocati delle parti civili e degli imputati, questi ultimi non ammessi dalla Corte a partecipare direttamente o in video conferenza alla testimonianza di Napolitano. Telefoni cellulari, tablet, computer e ogni altro strumento di registrazione sono rimasti fuori dalla porta, secondo le disposizioni del Colle.

“Preferisco nel giorno dell’udienza non entrare nel merito di un processo che è aperto”, ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, su Radio 24 rispondendo alla domanda se considerasse “normale che anche l’avvocato di Totò Riina possa intervenire” al processo che ha come testimone il Presidente della Repubblica. “L’aggettivo normale non è esattamente quello utilizzabile per questa vicenda – ha risposto il ministro – non voglio entrare dei procedimenti aperti – rimarca – credo sia incompatibile con la funzione che sto esercitando”.

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