Il nuovo capo del governo greco è un certo Lucas Papademos che ha cominciato la sua carriera presso la Banca Centrale di Grecia e nel 2002 è diventato vicepresidente della Banca Centrale Europea. Dal 2010 è stato consigliere del primo ministro socialista Georges Papandreou e recentemente proprio in
questa veste ha partecipato ai negoziati fra Atene e la «Troika» (Fmi,
Commissione europea e Bce) per salvare il Paese dal default.
In Italia sembra che la persona che andrà a sostituire Berlusconi sia tal Mario Monti che nel 1985 diventa professore di economia politica presso l'Università Bocconi di Milano, dove diventa direttore dell'Istituto di Economia Politica. Commissario Europeo (1994-2004).
Praticamente la scelta dei nuovi capi di governo di Grecia e Italia (sotto dittatura UE e per interesse della BCE??) sono economisti ma questo sarà forse solo un caso e un mio pensiero. Maurizio.
Come sappiamo già da mesi, alcuni paesi europei sono stati privati
del loro potere politico di indirizzo economico, e sostituiti da
strutture europee economico-finanziarie quali la Banca Centrale Europea,
il famigerato Fondo Salva Stati (variante europea del Fondo Monetario
Internazionale), nonché dalla stessa Unione Europea e dalla Banca
Centrale Tedesca. Di fatto, parlare di commissariamento è fin troppo
poco: quello che stanno vivendo i paesi più indebitati dell’eurozona
ricalca alla perfezione ciò che hanno vissuto, nel corso dell’ottocento e
del novecento, decine di paesi del secondo e terzo mondo, con l’FMI al
posto del Fondo Salva Stati, la Banca mondiale al posto di quella
europea e il governo statunitense al posto dell’Unione Europea.
Tutti paesi che, di fronte ad un debito pubblico sempre più grande e
col rischio dell’insolvenza, si affidavano a strutture finanziarie
sovranazionali che ne determinavano le riforme, ne garantivano la
solvibilità e ne indirizzavano le politiche economico-sociali. La
storiella del debito, dunque, è abbastanza vecchia da poter essere presa
a modello per capire cosa accadrà in Italia, ricordando anche cosa
successe a qualche paese invaso dalle stesse cure che toccheranno a noi.
Prima di tutto, è stato preparato a dovere il terreno culturale su
cui poi andare a intervenire. Si sono create le condizioni psicologiche
che hanno portato la gente ad avere una fottuta paura del debito
pubblico, così da vedere il ridimensionamento dello stesso come
condizione imprescindibile per andare avanti. La storia è più o meno
questa:
i mercati, che sono formati dalla massa di
cittadini-risparmiatori che investono i propri risparmi nelle banche
comprando obbligazioni o azioni delle società quotate in borsa, stanno
portando un attacco speculativo verso i paesi indebitati vendendo le
azioni o le obbligazioni di questi paesi, intimoriti dalla possibile
insolvenza di questi paesi. Questi mercati, dunque, non sono altro che
una sorta di opinione pubblica mondiale sui fatti economici, per cui se
decidono di vendere determinate azioni o obbligazioni è perché non si
fidano più della stabilità (=solvibilità) di ciò che hanno in
portafoglio. Questa opinione pubblica è spaventata dall’enorme massa di
debito di alcuni grandi paesi europei, dunque questo crollo di fiducia
determina una fuga di capitali dai paesi indebitati. Quindi il vero
motivo di questa sfiducia collettiva è, in fin dei conti, il debito
pubblico. Cosa avrebbe prodotto questo debito pubblico? Il debito
pubblico sarebbe il risultato di anni di gestione scellerata e
spendacciona di questi stati, che nel corso del tempo avrebbero
accumulato un debito nel confronti dei loro cittadini in virtù delle
proprie politiche di sperpero di denaro pubblico, di salari troppo
elevati, di pensioni troppo alte, di servizi pubblici garantiti e così
via. Insomma, la soluzione dovrebbe essere quella di rientrare di questo
debito riformando l’economia, abbattendo pezzi di stato sociale ormai
non più proponibili perché sarebbe finito il tempo delle “vacche
grasse”, in cui un po’ tutti abbiamo vissuto “al di sopra delle nostre
possibilità”, mentre sarebbe giunta l’ora di “tirare la cinghia”. E’ ora
di liberare l’economia dai lacci e laccioli che la imbrigliano,
diminuendo la spesa statale, abbassando le tasse e così via, per far
risalire finalmente la fiducia degli investitori internazionali nei
nostri confronti così da generare di nuovo profitti e crescita economica. Torna, vero?
Questa, in linea di massima, la visione politica odierna di ciò che
sta succedendo in Italia e nei paesi maggiormente indebitati. Bene,
tutto questo è falso.
Anzitutto, i mercati. Nei mercati finanziari non investono i
cittadini, i risparmiatori, i contribuenti o come sono stati definiti
nel corso di questi anni coloro che detengono azioni in borsa. Nei
mercati finanziari agiscono le società di intermediazione mobiliare, le
istituzioni finanziarie e monetarie, i fondi pensione e i fondi
d’investimento, le banche, le assicurazioni. Ciò non vuol dire che sia
vietato ai cittadini di poter investire in borsa, e sicuramente ci
saranno molti “privati” che decidono di impegnare il gruzzoletto
risparmiato in azioni. Però gli attori dei mercati borsistici sono
altri, sono coloro che possiedono i capitali, quelli veri, e che muovono
stock di azioni che niente hanno a che vedere con quelle che potrebbe
spostare il singolo risparmiatore. Dunque, nei mercati non è riflessa
alcuna opinione pubblica mondiale, o europea.
Questi stessi attori protagonisti nelle borse sono gli stessi che nel
corso degli anni hanno prodotto la gran parte del debito pubblico
italiano. Riflettiamoci un istante con un semplice esempio: poniamo che
un ipotetico fondo pensione statunitense possieda, mettiamo, 50 milioni
di euro in azioni a Piazza Affari, e realizzando una manovra speculativa
decida di venderli. Questa vendita (sommata ad altre vendite) produrrà
un abbassamento del valore della borsa italiana di un qualche punto
percentuale, che si rifletterà in campo economico in una perdita di
fiducia delle istituzioni finanziarie verso la nostra struttura
finanziaria, andando così ad aumentare le percentuali di rischio di
solvibilità del nostro paese, che quindi andranno ad aumentare il tasso
d’interesse che servirà a comprare i nostri titoli del tesoro. Un
aumento del tasso d’interesse significa che per acquistare i nostri
titoli dovremmo offrire più soldi, per trovare mercato, e così facendo
saremmo costretti ad indebitarci di più. Ecco come, in questo semplice
quanto evidente esempio, il nostro debito pubblico sarebbe aumentato
senza che sia avvenuto alcun tipo di movimento nell’economia reale,
nessun aumento di spesa pubblica, nessun abbassamento delle tasse o
aumento delle pensioni. Questo è esattamente ciò che sta accadendo
all’economia finanziaria italiana per quanto riguarda il debito
pubblico, che ricorda vagamente ciò che è accaduto nel corso della
storia per le economie dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa che
hanno assaggiato la cura dell’FMI. Enormi manovre speculative ai danni
delle economie dei paesi emergenti, che aumentava a dismisura il loro
debito pubblico – detenuto dagli investitori esteri – e che costringeva,
con l’acqua alla gola, queste economie all’abbraccio mortale delle
istituzioni finanziarie internazionali guidate da Washington.
Perché tutto questo sta avvenendo in Italia in questi anni e non è
avvenuto prima? Perché fino all’inizio degli anni novanta il debito
pubblico italiano era detenuto da strutture finanziarie italiane (banche
e assicurazioni), era un debito interno, detenuto quasi esclusivamente
da attori italiani che non avevano alcun interesse a far crollare la
fiducia di un mercato nel quale detenevano la stragrande maggioranza di
azioni e in cui avevano il loro territorio economico d’appartenenza. Con
la crescente finanziarizzazione dei mercati, con il progressivo
abbattimento di ogni frontiera per lo spostamento dei capitali, per la
cavalcata trionfale della deregulation finanziaria, i mercati azionari
italiani si sono sempre più fusi con quelli internazionali. Oggi la
quota di debito pubblico detenuta da investitori internazionali è del
52,4%, a fronte del 5,59% del 1991 (dati Bankitalia). Questi investitori
internazionali hanno, al contrario di quelli nazionali, tutto
l’interesse alle manovre speculative nei confronti di un qualsiasi
stato. Non solo perché non rischiano nulla, potendo spostare i propri
capitali da una parte all’altra del mondo nel giro di un click col
mouse, ma soprattutto perché un aumento del rischio d’insolvenza fa
salire i tassi d’interesse per collocare i nostri titoli pubblici sul
mercato. Si stabilisce un circolo vizioso per cui più uno stato è a
rischio fallimento e più genera profitti per gli investitori
internazionali, generando ulteriore debito e dunque aumentando il
rischio fallimento.
Chi detiene dunque il nostro debito pubblico? Secondo i vari organi
di propaganda neoliberista, il debito pubblico dovrebbe essere la quota
che ognuno di noi rischia di perdere se lo stato fallisse, i soldi che
lo stato ci dovrebbe dare e che non è in grado di onerare (sempre perché
è vissuto al di sopra delle sue possibilità e altre mega bufale del
genere). Al momento in cui scriviamo, ogni italiano dovrebbe avere una
quota di 33.000 euro sul proprio groppone. Anche questo è falso. Il
debito pubblico italiano è detenuto per il 52% da quelle istituzioni
finanziarie estere di cui sopra (fondi speculativi, banche,
assicurazioni, società di intermediazione e così via); per il 32% da
banche e istituzioni finanziarie italiane; dal 4% dalla Banca d’Italia e
solo per l’11% dalle famiglie e da altre società non finanziarie.
Insomma, circa l’85% del nostro debito pubblico è detenuto dalle banche,
italiane o estere. Se noi dovessimo finalmente fallire, chi perderà i
propri “risparmi” saranno proprio quelle istituzioni finanziarie che
hanno contribuito ad esacerbare questa crisi, che ci stanno speculando
sopra anche oggi, e che stanno costringendo, tramite la longa manus
delle tecnostrutture europee, alle riforme economiche che invece
andranno ad incidere, queste si in maniera indelebile, sulla vita delle
famiglie italiane. Ovviamente, delle famiglie più povere, visto il
carattere squisitamente di classe della manovra economica appena
approvata e dettata da Bruxelles.
Capito perché non possiamo fallire? Perché fallirebbero le banche e i
fondi europei che nel frattempo stanno giocando in borsa col nostro
debito pubblico, sicure del fatto che, al momento del bisogno, sarà
l’economia reale dei lavoratori in carne ed ossa a ripagare i debiti che
vengono prodotti ad ogni movimento speculativo.
Questo giochetto, e cioè utilizzare il grimaldello del debito
pubblico, gonfiato ad arte dalla finanza internazionale, per poter
riformare in senso neoliberista l’economia degli stati, è stato usato
nel corso degli anni, come abbiamo detto, proprio nei confronti di quei
paesi che avevano bisogno di un “aggiustatina” economica, o che
risiedevano su territori appetibili economicamente, o possedevano una
vasta mano d’opera a basso costo desiderosa di farsi sfruttare. E non
solo in Argentina o in Cile, in Corea del Sud o in Messico come in
Brasile o in Bolivia, ma anche in quei paesi del “primo” mondo che
avevano bisogno di una svolta liberista, come l’Inghilterra della
Thatcher o gli Stati Uniti di Reagan. Questi episodi storici di
introduzione forzata di misure neoliberiste sono partiti tutti
dall’assunto di un debito pubblico troppo elevato, di una riforma
dell’economia per ridimensionarlo e dell’impossibilità di andare avanti
in questo modo. Proprio grazie a questo, e alla battaglia culturale
(stravinta) sulla necessità di avere un debito in ordine per marciare
verso il progresso e il benessere, è stato possibile la vittoria
schiacciante del neoliberismo in molti stati. Oggi è il turno
dell’Italia, della Grecia, della Spagna, del Portogallo e dell’Irlanda.
Sebbene paesi capitalisti e liberisti, hanno ancora uno strato
socio-economico basato sulla presenza dello Stato nell’economia, hanno
ancora un potenziale non indifferente di profitto per la finanza
speculativa mondiale.
E’ per questo che o usciamo dalla logica del debito, decidendo di non
pagare i nostri debiti agli speculatori internazionali, oppure saremo
costretti nell’abbraccio mortale di una nuova spinta neoliberista che
devasterà ulteriormente il nostro paese. E’ una riflessione un po’
retorica, ovviamente, visto che sappiamo bene di che pasta sono fatte le
nostre “sinistre” e quali sono le loro visioni del mondo per quanto
riguarda l’economia e il rapporto con l’Europa. Ma sono riflessioni che
dovremmo fare nostre in vista del 15 Ottobre, quando l’opposizione a
questa crisi creata dal capitale manifesterà per le strade di tutta
Europa. Ci vediamo nella lotta.
(dal sito www.militant-blog.org - 20
Settembre 2011 )
Riferimenti interattivi e bibliografici:- Girolamo De Michele su debito, manovra finanziaria e speculazione internazionale http://www.carmillaonline.com/archives/2011/08/003994.html#003994
- Andrea Fumagalli su Uninomade http://uninomade.org/la-farsa-dellemergenza-economica-parte-ii/
- Chi ha in mano il nostro debito? http://www.linkiesta.it/chi-detiene-debito-pubblico-italiano-
- Rapporto della Banca D’Italia dove, se si ha la pazienza di andarselo a spulciare, si scoprirebbero cose interessanti http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimefp
- “Breve storia del neoliberismo”, di David Harvey, 2005, edizioni Il Saggiatore
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