Una "Maddalena bis" nella laguna, chiesti 14 rinvii a giudizio. E un commissario nominato da Bertolaso per l'inquinamento fantasma
UDINE - Questa è la storia di una laguna che è
diventata una mangiatoia. Una laguna malata e mai bonificata. Un buco
nero di sprechi e veleni nel quale lo Stato ha annegato 100 milioni. È
una storia di fanghi al mercurio e commissari indagati, di canali
otturati e analisi creative. Per raccontare lo scandalo della laguna di
Grado e Marano basterebbe dire come è iniziato e come sta (forse)
finendo. È iniziato con uno stato di emergenza (3 maggio 2002, ministro
dell'Ambiente era Altero Matteoli) e la nomina di un commissario da
parte dell'allora boss della Protezione civile Guido Bertolaso
(dall'anno dopo e fino allo stop di Monti si andrà avanti col sistema
della deroga che ha causato le porcate del G8 e della ricostruzione
post-terremoto dell'Aquila).
Lo scandalo sta finendo con la
richiesta di rinvio a giudizio per 14 persone (tra commissari e soggetti
attuatori; diversi i politici di entrambi gli schieramenti). Dovranno
rispondere di peculato, omissione e truffa ai danni dello Stato. Non
solo: si sta prefigurando anche il reato di disastro ambientale. Perché -
ha scoperto Viviana Del Tedesco, il sostituto procuratore di Udine che
indaga sulla vicenda e ha firmato le 40 pagine d'accusa - i lavori per
l'eliminazione dei fanghi inquinanti ("un falso presupposto"), in questi
dieci anni - ecco l'ulteriore beffa - hanno provocato, a loro volta,
seri danni alla laguna. "Sia alla morfologia che all'ecosistema". Per la
serie: non bastava sprecare 100 milioni per non risolvere un problema; bisognava anche aggravarlo.
Un pasticcio all'italiana. Con tutti gli ingredienti al loro posto e qualche chicca...
Per esempio l'immancabile cognato (indagato) di Bertolaso, quel Francesco Piermarini esperto di cinema ma anche di bonifiche, ma forse più di cinema se dopo il flop della Maddalena (72 milioni per ripulire i fondali che però sono ancora pieni di idrocarburi) l'hanno imbarcato (47mila euro) anche in questa folle operazione nell'Alto Adriatico finita nella maxi-inchiesta della procura di Udine. L'hanno chiamata, non a caso, "finta emergenza del Sin" (sito inquinato di interesse nazionale, la laguna appunto). In origine è lo stabilimento Caffaro di Torviscosa. La Caffaro sta alla chimica come l'Ilva sta all'acciaieria. Fondata nel 1938 alla presenza di Mussolini come sede produttiva del gruppo "Snia Viscosa", più di 25mila tonnellate di prodotti venduti ogni anno. Adesso l'azienda è chiusa (il gruppo Snia è in amministrazione straordinaria). Per anni, però, la Caffaro ha sputato veleno. Fango al mercurio trascinato in laguna dai fiumi Aussa e Corno. Il risultato è che lo specchio d'acqua antistante lo stabilimento si è riempito di metalli. I canali (cinque) si sono intasati rendendo sempre più difficile la navigazione e mandando su tutte le furie le marinerie di Aprilia Marittima (si costituiranno parte civile assieme a Caffaro). "Era chiaro fin da subito che l'inquinamento riguardava solo una minima parte della laguna di Grado e Marano - osserva il pm Del Tedesco - . Ma qualcuno ne ha approfittato".
È il 2001, iniziano le sorprese. La commissione fanghi nominata dalla Regione deposita un progetto definitivo per i drenaggi di tutti i canali. Lo studio viene consegnato il 28 febbraio 2002. Resterà nel cassetto per dieci anni. Due giorni fa la Guardia di finanza di Udine va a prenderlo a Trieste negli uffici della Regione. Una scoperta "interessante". Per due motivi: primo, il 3 maggio del 2002 - tre mesi dopo il deposito della ricerca - il ministero dell'Interno decreta lo stato di emergenza. Che manda il progetto in soffitta. Secondo: il piano "dimenticato" dalla Regione (quanto è costato?) prevedeva di rimettere i fanghi tolti dai canali in laguna (come si fa dai tempi della Serenissima) e non certo, come si è deciso dopo, di portarli a Trieste o a Venezia, o stoccarli come rifiuti speciali in vasche di colmata che cadono a pezzi. Perché si sono scordati del progetto? La risposta ce l'hanno i magistrati. "Hanno voluto e poi cavalcato lo stato di emergenza per abbuffarsi di incarichi, consulenze, nomine, poltrone ". Un valzer costato 100 milioni in dieci anni. I commissari che si avvicendano sono tre. Il primo (giugno 2002) è Paolo Ciani, consigliere e segretario regionale di Fli, già assessore all'ambiente.
In Regione, e infine a Gianni Menchini, geologo vicino all'assessore pidiellino Riccardo Riccardi.
L'anno
scorso il premier Monti, d'accordo col ministro Corrado Clini e con il
nuovo capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, decide che può
bastare: stop al commissario della laguna. I fari della magistratura
sono già accessi. Il prosciugamento del denaro pubblico è iniziato con
le analisi dei fanghi. Costate 4 milioni, si rivelano inutili perché mai
validate da nessun organismo pubblico. I carotaggi vengono affidati
alla Nautilus, un'azienda calabrese all'epoca sprovvista del certificato
antimafia. Poi arrivano gli altri "investimenti". Gettati, è il caso di
dire, nel fango. Vasche di raccolta e palancole (paratie di ferro)
garantite 64 anni che a distanza di sei anni stanno crollando (il
metallo si sbriciola e inquina la laguna). I commissari ottengono
strutture da 30 persone, gli stipendi schizzano da 5 a 11mila euro al
mese. Una bengodi per tecnici e soggetti attuatori.
Una piccola Maddalena, con la sua cricca. Persino grottesche alcune iniziative messe in campo: dopo il decreto dello stato di emergenza per inquinamento ambientale, all'Università viene commissionato uno studio di fattibilità per installare un'attività di allevamento di molluschi nella stessa laguna. In tutto questo non può mancare la ciliegia sulla torta: al netto dei 100 milioni spesi, l'area Caffaro - secondo alcuni l'unica inquinata, secondo altri l'epicentro della presunta pandemia dell'intera laguna (1600 ettari) - , non è stata mai bonificata. È il colmo. La giunta regionale tace. Sulla vicenda l'unica a martellare è l'emittente televisiva locale "Triveneta". Intanto i magistrati vanno avanti. Malata curabile, immaginaria o terminale, per la laguna gli orizzonti sono sempre meno blu.
(di Paolo Berizzi - http://www.repubblica.it)
Sulla
base di presupposti presumibilmente falsamente rappresentati alla
Protezione Civile, dal Ministero dell’Ambiente e dalla Regione Fvg,
il Commissario Delegato per la Laguna di Marano e Grado,
Paolo Ciani percepì
per l’anno 2004 euro 8.013.257,32 spesi per:
-
1.396.200,00 per il terzo saldo dell’ATI – NUTILUS;
-
907.200,00 a impresa Cicuttin Srl;
-
2.149.200,00 a impresa Taverna Spa;
-
1.983.600,00 a impresa Vidoni Spa;
-
505.920,00 a impresa F.lli Scuttari di Scuttari Benito & c.
S.a.s.;
-
943.200,00 alla I.C.I. – Impianti Civili Industriali Scarl;
-
119.868,44 a Consorzio per lo sviluppo industriale del Comune di
Monfalcone per
trattamento
sedimenti presso impianto di Monfalcone;
Successivamente
il vice presidente Ciani
percepì per l’anno 2005 euro 6.858.868,10 di cui € 90.734,88 per
costi della struttura Commissariale. Vennerò così impiegati:
-
1.832.835,22 a impresa Taverna Spa;
-
1.832.535,46 a impresa Vidoni Spa;
-
351.600,00 a impresa F.lli Scuttari di Scuttari Benito & c.
S.a.s:
-
406.800,00 alla I.C.I. – Impianti Civili Industriali Scarl;
-
347.696,01 a Consorzio per lo sviluppo industriale del Comune di
Monfalcone;
-
158.472,72 a Sogelma Srl di Scandicci (FI);
-
182.400,00 a Tecnogeo S.r.l.;
-
7.440,00 a Università degli Studi di Udine per studio gestione
sedimenti;
Infine,
il Commissario Delegato Paolo
Ciani, nel 2006,
affidò:
-
944.200,00 a impresa Taverna Spa;
-
790.800,00 a impresa Vidoni Spa;
-
29.040,00 a impresa F.lli Scuttari di Scuttari Benito & c. S.a.s
-
910.200,00 alla I.C.I. – Impianti Civili Industriali Scarl;
-
347.696,01 a Consorzio per lo sviluppo industriale del Comune di
Monfalcone;
-
23.938,82 per il saldo dell’ATI – NUTILUS;
-
1.423.200,00 a Tecnogeo S.r.l.;
-
2.598.000,00 a Lucatelli S.r.l
(Tratto da:http://www.ilperbenista.it)
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