La sola Bologna conta 40 di questi negozi, così
come Parma, mentre la Provincia di Piacenza ne conterebbe ben 170.
Zironi (Anopo): "Sono a tutti gli effetti un’attività finanziaria, non
commerciale, e come tale dev’essere normata. Per ora ci troviamo di
fronte ad una filiera di commercio illegale". L'Idv attacca: "E' la
legalizzazione dell'usura".
Silenzioso, ma sotto gli occhi di tutti il giro dei “compro oro”, gravita. Negli ultimi 2 anni i negozi di compro oro in Italia sono quadruplicati, mentre in Emilia Romagna l’incremento registrato tra il 2009 e il 2011 è del 25%.
Secondo una prima stima della Regione, sul territorio sarebbero tra i
500 e i 600 punti vendita, “ma potrebbero essere molti di più visto che
spesso si tratta di lavoro sommerso”. La sola Bologna ne conta 40, così come Parma, mentre la Provincia di Piacenza conterebbe ben 170 negozi.
Tra
le cause: l’impennata del prezzi dell’oro che ha trasformato il metallo
in un vero e proprio bene di investimento da un lato; l’aumento del bisogno immediato di liquidità delle famiglie dall’altro.
La denuncia nella regione emiliano romagnola arriva dall’Italia dei Valori. Il 26 ottobre, la consigliera regionale Liana Barbati, ha presentato una mozione, approvata all’unanimità, nella
quale denuncia il fenomeno in crescita e richiede l’istituzione di
controlli, dato che “la procedura amministrativa attuale sulla
concessione delle licenze è fin troppo semplice, mentre – prosegue la
Barbati – il controllo della filiera è pressoché inesistente. Questo da
ampio spazio a chiunque voglia sfruttare tutte quelle famiglie che
trovandosi nei guai a causa della crisi, hanno iniziato a vendere sempre
di più i propri effetti personali. Siamo ai livelli dell’usura”.
A conferma, l’azione della Guardia di Finanza
che difatti sta indagando il campo da tempo: “Il fenomeno esiste ed è
diffuso”, spiega il colonello del comando provinciale di Bologna, Giorgio Viale. Spesso alle attività di “compro oro” sono soggette a infiltrazioni da parte delle associazioni mafiose,
che utilizzano tali attività come copertura per riciclare proventi
illeciti (come denuncia la risoluzione regionale e come comprovato dai
dati diffusi dalla Guardia di Finanza), e più in generale si associano episodi criminogeni
secondo cui “i sequestri di pietre preziose nei settori di falso,
truffa, contraffazione, usura, ricettazione e violazione delle leggi di
pubblica sicurezza ammontano (per tutto il 2009 e nei primi dieci mesi
del 2010) a oltre 2 milioni di euro. E vicini alla stessa cifra sono quelli relativi alla minuteria e agli oggetti di gioielleria”.
Tuttavia, quantificare le agenzie indagate è a oggi quasi impossibile: le Fiamme Gialle
hanno difficoltà nel distinguere i rivenditori dalle normali
gioiellerie perché “questi esercizi – spiega il colonnello – utilizzano
per la registrazione alla Camera di commercio la stessa codifica
merceologica delle gioiellerie ed è dunque è molto difficile
quantificarli o identificarli separatamente”. In tutta Italia, i
finanzieri stanno svolgendo indagini più approfondite perché: “non
basta una semplice verifica come si può fare per un esercizio
commerciale qualsiasi – spiega il colonnello Viale – Serve un approccio
mirato, con identificazione sul posto”. Non solo: sempre più spesso i
compro oro e le oreficerie iniziano a convergere. “Molte oreficerie si
sono convertite in compro oro a causa del calo delle vendite di oggetti
preziosi nuovi”, spiega Andrea Zironi il presidente dell’associazione di categoria, l’Anopo (Associazione Nazionale Operatori Professionali in Oro).
Il
fatto è che i compro oro non sono un esercizio commerciale qualsiasi.
L’attività di comprevendita dei rivenditori di oggetti aurei, è “a
tutti gli effetti un’attività finanziaria, non
commerciale, e come tale dev’essere normata – chiarisce il presidente
degli orafi – “compro oro” è un’espressione gergale, perché in realtà
si tratta di commercio di oro come materia prima. Azione che andrebbe parificata a quella delle operazioni bancarie”.
Al tal fine l’Anopo assieme all’Aire (Associazione italiana responsabili antiriciclaggio), ha presentato una proposta di legge, che
prevede, oltre alla suddetta equiparazione dell’attività di compro oro a
quella di intermediazione finanziaria, meccanismi di tracciabilità
attualmente assenti, come per esempio l’obbligo di dettagliata ricevuta
per il cliente, nonché una certificazione degli esercenti da parte delle
forze dell’ordine in merito ai requisiti di onorabilità e professionalità
necessari per rendere questa delicata professione affidabile. Per ora
“ci troviamo di fronte ad una filiera di commercio illegale”, denuncia
Zironi.
Ma come funzionano nel dettaglio i compro oro? Per
iniziare l’attività, basta semplicemente andare in questura e richiedere
una licenza per commercio in oggetti preziosi, che viene rilasciata senza alcun tipo di obbligo
(al di fuori dell’incensurabilità dell’apertura della partita Iva). Il
commerciante a questo punto , sarebbe tenuto a iscrivere nel “registro
di carico e scarico”, secondo la norma dettata dal Testo Unico sulla
Pubblica Sicurezza, l’acquisto dell’oggetto prezioso. Non è tuttavia obbligato al rilascio di alcuna ricevuta.
Allo
stesso modo, al privato che volesse vendere oggetti preziosi, è
sufficiente esibire un documento d’identità, senza alcun tipo di
certificazione sulla provenienza materiale. “Ed è qui che subentra
evidentemente il pericolo di riciclaggio – spiega
Zironi – perché l’operazione non viene certificata in alcun modo. Per
questo motivo nella proposta di legge chiediamo la tracciabilità di tutta la filiera”. Il punto più delicato, spiega il presidente degli orafi, è che “qui stiamo erogando denaro.
Non solo i privati ricevono denaro contante in cambio di oro e oggetti
preziosi, ma allo stesso tempo questi ultimi sono essi stessi denaro,
perché vengono venduti alle fonderie per tornare a essere materiale
prezioso originario”. Per questo “spesso dietro a questi esercizi –
spiega il colonnello a capo delle Fiamme Gialle bolognesi – è facile che
si annidi il reato di ricettazione: perché è il sistema più rapido per la monetarizzazione della refurtiva”.
Intanto, la Procura di Modena lancia l’allarme sul rischio di infiltrazioni della ‘ndrangheta
nel Modenese (tramite il procuratore aggiunto Lucia Musti) nelle
attività di compravendita dell’oro. Basta poi non dichiarare l’acquisto
dell’oggetto, in gergo tecnico “transazione trasparente”, e commettere
“la classica evasione fiscale”, che si elude l’unica forma di controllo
possibile. Non solo: nel nostro Paese, il mercato dell’oro è stato liberalizzato nel 2000, con la legge numero 7 del 17 gennaio che ha abolito l’Iva sull’oro da investimento (ovvero
l’oro puro), svincolando il mercato dal monopolio da parte dell’Ufficio
Italiano Dei Cambi senza tuttavia stabilire, come suddetto,
specificazioni da parte di chi contrae affari maneggiando il metallo
prezioso.
Ma c’è di più. Ogni negozio che acquista e vende oro si attiene ad un proprio listino
e può effettuare le proprie valutazioni di stima autonomamente: le
quotazioni ufficiali delle borse internazionali e delle mercuriali sono,
infatti, meramente indicative e non vincolanti. La bilancia
che viene utilizzata, inoltre, che dovrebbe essere tarata e controllata
dagli uffici metrici della Camera di Commercio, anche qui senza alcun
vincolo, capita invece che sia “aggiustata” per così dire: “Vi sono
stati casi non sporadici in cui il rivenditore è stato denunciato per
truffa sul peso dell’oggetto prezioso”, prosegue Zironi.
Un altro passaggio delicato, è la confusione tra l’oggetto prezioso
e l’oro contenuto nella lega. “Se parliamo di lega a 18 carati,
significa che il 75% del materiale dovrebbe essere oro. Ma stabilirlo
con certezza è molto difficile, perché gli strumenti a disposizione come
la pistola laser o gli acidi sono approssimativi. E il cliente non ha
la controprova che sia diverso da ciò che il rivenditore gli comunica”. E
infatti, basta farsi un giro per i compro oro di bologna, e sarà
difficile trovarne uno che proponga il reale prezzo dell’oro sulla
borsa: il materiale perde almeno il 30% del valore reale. Zironi
conferma: “Entro con 30grammi d’oro, ed esco che me ne hanno pagati 17”.
Si capisce come la certificazione
con la conseguente l’iscrizione all’Albo degli operatori professionali
del settore istituito dalla Banca d’Italia (solo 348 sono attualmente
iscritti) possa fare la differenza. Intanto, la mozione è già stata
messa all’ordine del giorno in vari comuni, da Forlì a Reggio Emilia,
mentre alcuni giorni fa, da un’operazione della Guardia di Finanza di
Cesena è risultata un’evasione fiscale di quasi un milione di euro
connessa alle attività dei compro oro della città.
(da il ilfattoquotidiano.it - Ilaria Giupponi - 12 novembre 2011)
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