I manager della Fondazione Maugeri hanno confermato il “sistema Daccò”, fondi neri da 60 milioni per ottenere finanziamenti dalla Regione Lombardia - Daccò poi si portava Forminchioni in vacanza, in barca, in aereo, nelle ville, e la Maugeri incassava delibere e “protezione”…
Dopo che, uno dopo l'altro, i manager della fondazione Maugeri hanno confermato l'esistenza del "sistema Daccò" negli incidenti probatori dei giorni scorsi, un sistema da 60 milioni di fondi neri per ottenere i finanziamenti dalla Regione Lombardia, ieri i pm Laura Pedio e Antonio Pastore hanno rinnovato la loro richiesta di processo per Roberto Formigoni, in quegli anni al vertice del Pirellone.
Un lungo elenco di «utilità economiche », quello ricostruito dalla procura di Milano e dai militari del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza. Vacanze ai Caraibi, viaggi aerei per oltre 18mila euro, uno yacht di lusso in «uso esclusivo» al Presidente dal giugno 2007 all'ottobre 2011, la villa a prezzo di favore in Sardegna. E poi, ancora, seicentomila euro per finanziare la campagna elettorale del 2010. Da una parte le utilità economiche» per Formigoni, oggi senatore di Ncd, ricevute dal faccendiere Pierangelo Daccò e dal "consulente" sanitario Antonio Simone, dall'altra il flusso continuo di finanziamenti pubblici per la fondazione Maugeri.
E mentre i vertici della clinica pavese patteggeranno nelle prossime settimane, i pm Pedio e Pastore hanno chiesto nuovamente al gup Paolo Guidi, nell'udienza preliminare di ieri, il processo per Formigoni e altri undici imputati. Col politico andranno a processo Pierangelo Daccò, già condannato per il crack dell'ospedale San Raffaele, l'ex assessore regionale Antonio Simone, l'ex direttore generale della sanità lombarda Carlo Lucchina, l'ex direttore amministrativo della Fondazione Costantino Passerino, oltre ad altri sette imputati.
Pesanti le accuse a Formigoni, che per i pm avrebbe garantito alla Maugeri «a fronte delle illecite remunerazioni, una protezione globale» e si sarebbe dato da fare «perché fossero adottate in Giunta » provvedimenti ad hoc, anche violando il dovere di «esclusivo perseguimento dell'interesse pubblico».
Tre i «flussi finanziari» individuati dagli investigatori. Il primo riguarda i circa 60 milioni usciti illecitamente dalle casse della Maugeri per finire sui conti correnti esteri di Daccò e Simone. Da qui - ed è il secondo «flusso» - il denaro sarebbe ripartito per «ricompensare » Formigoni, i «suoi familiari e amici» e l'altro imputato, Alberto Perego, «capo-casa» nell'appartamento condiviso con altri memores domini, definito dalla procura «persona di fiducia » dell'ex governatore.
Infine, il terzo flusso, le «funzioni non tariffabili» erogate grazie ad apposite delibere di giunta dalla Regione dal 2002 al 2011. Una ricostruzione per la procura «pacifica », con movimenti di denaro riscontrati e senza una «possibile di lettura alternativa». E nemmeno Formigoni ha ritenuto di doverne fornire una propria: convocato nell'estate 2012, non si è presentato di fronte ai suoi accusatori, e non ha mai dato una versione diversa rispetto a quanto gli veniva contestato.
«È da qualche anno che i pm di Milano chiedono il mio rinvio a giudizio, ma non sono mai riusciti a dimostrare la mia colpevolezza - ha invece replicato ieri -. Mai ci riusciranno, perché nulla di illegittimo e irregolare ho commesso durante il governo di Regione».
(Fonte)
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