Da una dura analisi "di movimento" alla fredda constatazione delle cariche. Nel governo Renzi spiccano tre nomi: Guidi, Poletti e Lupi. E la figura di sintesi è alle Politiche agricole: Martina. L'uomo (Pd) dell'Expo
Ok, le parole sono dure, forse esagerate. Parlare di Renzi come "Fonzie de noantri" è troppo. Ma andando a guardare il contenuto del contributo diventato virale sulla rete dal titolo "All Coop are bastards" qualcosa - anche più di qualcosa - di interessante c'è. "Commonware", firma collettiva che ha creato questo portale studentesco, ha letteralmente fatto le pulci alla squadra di governo ed è andata a stanare alcune "magagne" del team della rottamazione. Premessa: sono critiche dirette ai nomi e ai curricula dei ministri, una sorta di critica a priori. Ma oggi - visto che di programma nemmeno Renzi al Senato ha ancora parlato - l'unico elemento di analisi possibile sono proprio i nomi.
Ed è qui che spicca - in primis - la lunga lista di rifiuti illustri incassati dal premier: parliamo di Guerra, Farinetti, Baricco, "quello che viene sbandierato come il meglio”del capitalismo italiano tra manifattura di qualità, slow food e impresa culturale". E poi - soprattutto - Lucrezia Reichlin e Fabrizio Barca.
E così l'uomo forte del governo Renzi è, anche stavolta, all'Economia (e con il pressing della Bce non potrebbe essere altrimenti): parliamo di Pier Carlo Padoan. E poco importa che anche Padoan sia una seconda scelta: Padoan è "l’uomo della continuità con l’austerity e dell’espressione di quel partito dei mercati che ha eletto direttamente gli ultimi tre governi senza bisogno delle vestigia formali della consultazione elettorale". E, a scanso di equivoci - ricordano da Commonware - "la Banca d’Italia si è già premurata di ricordare che il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil non è in discussione, giusto per far capire chi è che porta i pantaloni".
In posizione subordinata, sia pure con ministeri importanti, ci sono uomini e donne che bene esprimono quel capitalismo “delle reti” (energia, grandi opere, grande distribuzione, assicurazioni, Expo, ecc.) che da tempo ha lanciato una Opa sui territori, fatto di dismissioni e svendite del patrimonio pubblico. Non sono le grandi banche, ma quel sistema “intermedio” che prospera su commesse pubbliche, appalti, settori a regolazione statale, privatizzazioni possibilmente con poca concorrenza di mercato.
Primo nome "caldo": Federica Guidi, Sviluppo economico. Nome che ha già scatenato polemiche. Ecco il suo profilo: "Bolognese, famiglia industriale e molto berlusconiana, a capo del gruppo Ducati Energia (che ha tra i suoi maggiori clienti Poste Italiane, società multiutilities, Enel, Ferrovie); figlia di Gianalberto, uomo forte di Confindustria e collezionista di cariche. Dovrà affrontare una serie di dossier importanti, dallo scorporo della rete Telecom alla strategia energetica nazionale (a proposito di conflitto d’interessi) alle crisi aziendali. Giovane confindustriale, con tanta retorica del merito e delle energie rinnovabili, e ovviamente grande contiguità con gli ambienti dove si allocano risorse, si danno commesse, si distribuisce potere".
Il secondo nome "caldissimo" è quello di Giuliano Poletti (Lavoro). Un nome che va a braccetto con la conferma di Maurizio Lupi alle Infrastrutture. Due corporazioni in teoria rivali ma al tempo stesse contigue negli interessi economici. Poletti è le Coop. Lupi è Compagnia delle opere. Ergo, Comunione e Liberazione. Poletti è il business e l'elettorato dell'Emilia Romagna. Lupi business ed elettorato della Lombardia.
Le Infrastrutture legiferano sulla Tav. Le Coop vivono - oggi - della Tav. Il Lavoro è, oggi, le grandi opere. Compagnia delle opere vive di grandi opere. Mettete pure voi in ordine, come meglio credete, questi fattori. Il prodotto difficilmente cambierà.
Giuliano Poletti è da lungo tempo al vertice di Legacoop. Romagnolo, di Imola, "ha scalato il sistema Legacoop arrivando al vertice anche di Alleanza Cooperativa Italiana, il raggruppamento tra Lega e Confindustria che punta ad una rappresentanza unitaria del sistema cooperativo". Legacoop è oggi "una oligarchia con al vertice il gruppo Unipol-Sai; un ristretto nucleo di grandi general contractor di costruzioni di opere più o meno pubbliche, ma quasi sempre dipendenti da denaro pubblico, sono Coopsette, CMC, Unieco, CCC, CDC, CMB, Ravennate e altre, tutte emiliane". Come guiderà un uomo che viene dalle Coop un ministero come quello del Lavoro? Con tutta probabilità "attraverso l’esportazione del modello cooperativo".
Un modello con il quale "le imprese italiane cercano di raggiungere i loro obiettivi: allentamento dei vincoli di spesa e riduzione generalizzata del costo del lavoro (attraverso la riduzione del cuneo fiscale e dei salari reali), senza che ciò si traduca in conflitti generalizzati". Da questo punto di vista, "Poletti è un uomo della “cogestione” azienda-lavoratori, delle “garanzie crescenti”, della flessibilità regolata, dei sacrifici condivisi, del dialogo con i sindacati. Il problema è che la flessibilità non basta più proporla ai giovani, alle donne e ai migranti, ma va estesa al corpaccione del lavoro salariato, partendo appunto dal pubblico".
Maurizio Lupi "non ha bisogno di presentazioni e che soprattutto rappresenta la mano politica di Compagnia delle Opere: opere pubbliche, sussidiarietà, privatizzazioni senza mercato, e via di questo passo. L’Emilia incontra la Lombardia, insomma, in un consociativismo degli affari che alterna logiche spartitorie e sistema cooperativo, come l’ospedale Niguarda di Milano e l’agenzia di lavoro somministrato Obiettivo Lavoro".
Ed è qui che spicca il quarto nome: il giovane Maurizio Martina, "ex segretario PD di Milano e neoministro delle Politiche agricole, ma che - la domanda - manterrà il ruolo di coordinamento delle attività di Expo2015, luogo di sperimentazione reale del connubio tra Compagnia delle Opere, cooperative rosse e retoriche slowfoodiste e farinettiane?". Insomma, "per quanto seconde scelte, la compagine è molto meno raccogliticcia di quanto appaia ad un primo sguardo. Sotto la cupola intoccabile delle politiche rigoriste, assurge a ceto governativo un mondo a cavallo tra associazionismo economico e politica con una particolare vocazione al tema della privatizzazione all’italiana, dove il pubblico è uno dei veri motori dell’accumulazione privata".
(Fonte)
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