Ddl anticorruzione - Casta salva casta: solo 6 i parlamentari ineleggibili. Silvio? Graziato…
Con
grande probabilità oggi verrà definitivamente approvato il ddl
anticorruzione. Alla fine, nonostante le minacce del Pdl, il governo
è riuscito a mantenere il testo così come concepito sin
dall’inizio. I coni d’ombra, però, restano. Su tutti uno: la
farsa dell’incandidabilità dei condannati. Un dato su tutti: su
più di cento parlamentari tra pregiudicati, inquisiti, condannati in
primo e secondo grado, tra cavilli, vie di fuga e deroghe soltanto
quattro (forse sette) non potrebbero più ricandidarsi. Tra i
graziati anche Silvio Berlusconi: la condanna è solo di primo grado.
I
deputati Giuseppe
Ciarrapico (condannato
a 3 anni definitivi per il crack da 70 miliardi della Casina Valadier
e ad altri 4 e mezzo per il crack Ambrosiano) e Marcello
De Angelis (condannato
in via definitiva a 5 anni di carcere per banda armata e associazione
sovversiva come dirigente e portavoce del gruppo neofascista Terza
Posizione); i senatori Antonio
Tomassini (condannato
in via definitiva dalla Cassazione a 3 anni di reclusione per falso)
e
Salvatore
Sciascia (condannato
definitivamente a 2 anni e 6 mesi per aver corrotto alcuni ufficiali
e sottufficiali della Guardia di finanza.). Tutti in fila Pdl.
Ecco i nomi dei quattro parlamentari che rischiano di non potersi più
ricandidare alle prossime politiche.
Colpa (o
merito) del ddl
anticorruzione
che, come molti sapranno, contiene anche una norma
sull’incandidabilità dei condannati
su cui ora sta lavorando il ministro Anna
Maria Cancellieri.
La questione, infatti, è profondamente più ingarbugliata del
previsto. Già perché, contrariamente a quanto si potrebbe pensare,
per governo e maggioranza esiste – se così vogliamo chiamarla -
una scala
di condanna.
Non tutti i condannati sono talmente
condannati
da non poter essere più eletti. Sebbene, infatti, la norma presente
nel ddl parli esplicitamente di “incandidabilità”
per i condannati in via definitiva, ecco spuntare – per la gioia
degli oltre
cento parlamentari condannati, pregiudicati o rinviati a giudizio
– le solite
deroghe
che, nei fatti, vanno ad annullare quanto previsto nel testo del
disegno di legge e a mortificare ogni speranza di un effettivo
cambiamento della classe dirigente. Ed ecco il risultato: nonostante
siano più di venti i pregiudicati presenti in Parlamento (da Umberto
Bossi a Roberto Maroni, da Renato Farina a Giorgio La Malfa, da Enzo
Carra a Domenico Nania), soltanto in quattro rischiano.
Capiamo
il perché. Secondo quanto trapelato in questi giorni, infatti,
la norma già praticamente scritta dal ministro dell’Interno su
delega del Parlamento prevede che non
saranno più effettivamente candidabili coloro i quali hanno una
condanna dai tre anni in su per reati gravi (mafia e terrorismo) e
dai due anni in su per i reati contro la pubblica amministrazione.
Da più parti si era gridato osanna
per
una legge che avrebbe stravolto la mala classe politica italiana.
Balle.
Pura illusione.
Dell’esercito degli oltre cento parlamentari che, in misura
diversa, hanno problemi con la giustizia, rimangono solo in quattro.
Al
massimo sette,
dipenderà da come verrà scritta al Viminale la delega. Sull’orlo
del rasoio Aldo
Brancher,
deputato Pdl, ministro più breve della storia (solo poco più di una
settimana); Marcello
Dell’Utri,
senatore Pdl; Antonio
Del Pennino,
subentrato nel 2010 nelle file del Pdl, oggi senatore unico del
partito Repubblicano.
I motivi dell’incertezza per costoro è presto detta. Non
è chiaro, infatti, se l’incandidabilità sarà valida in caso di
patteggiamento o quando la pena inflitta sarà pari precisamente a due
anni. Prendiamo i tre casi appena citati. Marcello Dell’Utri,
il senatore fondatore di Forza Italia e Publitalia, oltre ad essere al
centro di numerose inchieste giudiziarie (concorso esterno, P3,
corruzione), ha una condanna definitiva solo per frode fiscale pari a
due anni patteggiati. Stesso dicasi per il senatore Pennino il quale ha
patteggiato nel 1994 due anni per le tangenti Enimont. Infine Aldo
Brancher: condannato definitivamente l’anno scorso a due anni per
appropriazione indebita e ricettazione nell’ambito della scalata
Antonveneta. Come ci si comporterà con i tre parlamentari? Al momento non è dato saperlo.
Fatto sta che, a prescindere se gli incandidabili dovessero salire da quattro a sette, la norma rimane insufficiente. Nessun misura è stata adottata, ad esempio, per gli indagati per concorso esterno, di cui pure il nostro Parlamento è pieno (dallo stesso Dell’Utri a Luigi Cesaro, per finire con Nicola Cosentino):
la gravità del reato avrebbe richiesto misure più restrittive a
riguardo. E così anche per tanti e tanti altri reati. In questo caos i
cento parlamentari condannati “solo” in primo e secondo grado, i
rinviati a giudizio e i condannati in via definitiva ad una pena
inferiore ai due anni, possono sguazzare allegramente. Si dirà: ma la
norma prevede che appena il parlamentare viene condannato anche in
Cassazione perde seggio e incarico. Vero. Peccato che però i reati contro la pubblica amministrazione – i più numerosi per quanto riguarda i processi contro questo o quel politico – siano distinti da una pena inferiore ai due anni. Ergo: indulto e nessuna incandidabilità. E tanti saluti al blaterato cambiamento.
(Fonte)
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