Opinione di Arduino Paniccia
L'alta corte del Kerala ha accettato di dare la liberà su cauzione ai
nostri due marò che verranno trasferiti all'ambasciata italiana a New
Delhi. Ripubblichiamo una nostra analisi secondo
cui nel resoconto delle autorità indiane ci sono molte cose che non
quadrano e alcuni dettagli appaiono come vere e proprie menzogne.
Singolare poi la decisione di proibire ai tecnici del Ros Carabinieri di
essere presenti alla prova balistica. A questo punto, complice
l’assenza forzata dei nostri esperti, dobbiamo aspettarci che anche i
risultati delle prove balistiche siano manipolati. L'India sta davvero
forzando la mano e i perché possono essere diversi.
(Arduino Paniccia è professore di Studi Strategici all' Università
di Trieste; l'articolo è scritto in collaborazione con Andrea Castelli,
consulente nel settore Difesa).
Apprendiamo che alcuni giorni fa un giudice dell’Alta Corte di Kerala
avrebbe equiparato la presunta sparatoria attribuita ai Fucilieri di
Marina italiani ad un atto terroristico. Tale scellerata esternazione
del magistrato indiano forse intende soddisfare strategie politiche
locali, ma noi non intendiamo in questa sede inoltrarci nelle nebbie che
circondano le elezioni in quella regione, quanto piuttosto dimostrare
che l’affair Enrica Lexie si è sviluppato seguendo un disegno improntato
alla falsificazione (spesso maldestra) delle prove. La disamina degli
atti e delle dichiarazioni ufficiali della Polizia, della Guardia
Costiera di Kochi, dei testimoni locali e dei giudici di Kerala porta ad
un'unica verità: i nostri due Marò non hanno sparato al peschereccio
St. Anthony, come da loro dichiarato sin dagli esordi di questa
incresciosa vicenda. Chi scrive non da oggi crede a quanto detto dai due
Fucilieri, mantenendo una posizione che qualcuno in Italia sembra non
condividere, a partire da Giuliana Sgrena, che, dalle pagine del
Manifesto, in sostanza chiosa che gli sforzi per riportare a casa i
nostri ragazzi sono solo un tentativo di fargliela passare liscia.
Sgrena pare non considerare le troppe e
macroscopiche contraddizioni nelle quali gli investigatori e magistrati
del posto paiono indulgere. Un esempio tra i molti: i verbali della
polizia e della Guardia Costiera di Kochi riportano che il peschereccio
St. Antony con le due vittime a bordo è rientrato in porto alle 18:20. A
quell’ora il sole a Kochi era ancora abbastanza alto, essendo
tramontato alle 19:47. Dunque, secondo le autorità il mesto ritorno del
peschereccio sarebbe avvenuto alla luce del sole. Peccato che i filmati
delle televisioni locali che registravano l’evento siano stati girati
alle 22:30, in piena notte, come attestato dagli stessi reporter indiani
e riscontrabile su youtube.
Incuriositi da questa sensazionale incongruenza siamo andati a leggere l’esaustiva analisi di Luigi Di Stefano,
uno specialista accreditato, e abbiamo scoperto una lunga serie di
menzogne, estrapolabili dalle dichiarazioni ufficiali e dalle “prove”
sin qui rese pubbliche dalle autorità di quel paese. Secondo la Guardia
Costiera il modesto peschereccio, con una velocità a malapena di 6.5
nodi, magicamente si sarebbe trasformato in un motoscafo d’altura in
grado di giungere in porto alla fantastica velocità di 20 nodi, quattro
ore e quaranta prima della Enrica Lexie, che alla discreta velocità di
14 nodi sarebbe arrivata solo alle 23:00. I nove pescatori superstiti,
appena a terra, dichiarano di non aver visto nulla, in quanto tutti a
dormire sotto coperta, ad eccezione dei due sfortunati colleghi. Pochi
giorni dopo miracolosamente riacquistano la memoria e ricordano tutto,
incluso il colore e la forma della Enrica Lexie. Che è però identica ad
altre tre navi in zona (come ben visibile nelle foto postate da Di
Stefano). Ben diverso sarebbe invece il peschereccio descritto dai
nostri Fucilieri, verso il quale avrebbero sparato solo colpi di
deterrenza senza mai colpirlo, come previsto dalle regole di ingaggio
definite per le operazioni di maritime security.
Mentre anche l’analisi tecnica dimostra che i Marò
non hanno sparato al St. Antony, cosa della quale non abbiamo mai
dubitato, resta profondo il rammarico per il comportamento delle
autorità indiane, rappresentanti di una nazione che abbiamo sperato di
poter annoverare tra gli alleati più forti e affidabili dell’Occidente e
della Nato in quella parte del pianeta e che invece scopriamo volersi
porre al di fuori della comunità internazionale violando una lunga serie
di regole e convenzioni comuni. L’India, che pure siede all’Onu e ha
firmato accordi con molte nazioni, inclusa la nostra, ha deciso di non
riconoscere più questi trattati e di ignorare per esempio il “Diritto di
Bandiera” (che copre l’operato di militari all’estero), di ignorare il
Codice Internazionale della Navigazione”, di ignorare perfino le proprie
leggi, attirando in porto l’Enrica Lexie con l’inganno, ovvero senza
garantire all’equipaggio la consapevolezza di essere indagati: la
Guardia Costiera infatti ha chiamato via radio tutte le navi in zona
invitandole a rientrare a Kochi per “identificare una barca di pirati”
che la stessa avrebbe catturato.
Della cinque navi in zona quattro hanno messo la
prua al largo eclissandosi macchine avanti tutta e solo la nostra, con
una deprecabile ingenuità imputabile solo alla certezza di non essere
colpevoli di alcun misfatto, ha risposto all’invito, un vero raggiro,
seguito dal “rapimento” dei due Marò e dal sequestro illecito delle loro
armi. L’analisi tecnica di Di Stefano continua con un esame dei calibri
e delle armi che secondo gli indiani sarebbero state impiegate,
dimostrando anche in questo caso imbarazzanti contraddizioni. A questo
punto non rimane che domandarci perché. Che tipo di partita si sta
giocando a Kerala e sulle sue coste? Per i pescatori di Kochi l’essere
bersaglio di tiri di fucileria non è purtroppo cosa straordinaria, il
conflitto permanente con lo Sri Lanka ha causato a quella comunità
decine e decine di vittime, per le quali nessuno ha mai pagato e il
dubbio che i poveri caduti del St. Anthony siano da ascrivere a quel
contesto bellico si combinano con la precipitosa fuga della Olimpic
Flair, nave greca identica alla Enrica Lexie e con a bordo guardie
armate (a sua volta nelle stesse ore vittima di un assalto di pirati),
facendoci pensare che ad essere sospettati della morte dei due pescatori
devono essere almeno altri due attori, dai quali però le autorità
indiane si sono tenute a inspiegabile distanza. Singolare invece lo
slancio nel perseguitare i due militari italiani, spintosi fino al punto
di proibire ai tecnici del Ros Carabinieri di essere presenti alla
prova balistica.
E cosa dovrebbe dimostrare questa tanto attesa prova balistica?
Che le armi dei due marò hanno sparato? Ma lo sappiamo già! Cosa altro
dovrebbe rivelarci, visto che le uniche indicazioni interessanti
avrebbero dovuto provenire da un più serio esame autoptico dei corpi
delle due vittime, così rapidamente cremati nel giro di poche ore, dopo
la frettolosa perizia di un anatomo-patologo poco competente? A questo
punto dobbiamo solo aspettarci che, complice l’assenza forzata dei
nostri esperti, anche i risultati delle prove balistiche vengano
manipolati, col fine di dimostrare che i colpi mortali sono stati
sparati dagli italiani. Dunque questa faccenda è partita con il piede
sbagliato e viene gestita unilateralmente dagli indiani, con fini
diversi da quello di accertare la verità ed assicurare alla giustizia i
veri colpevoli. Forse l’obiettivo è ingraziarsi la folta comunità di
pescatori, una fetta importante dell’elettorato, dando loro in pasto dei
colpevoli plausibili quasi a titolo di compensazione per i numerosi
morti causati dal confronto con lo Sri Lanka. O forse per lanciare un
messaggio trasversale ai numerosi armatori le cui navi, tra collisioni e
comportamenti discutibili, stanno causando problemi ad una attività di
pesca locale che si spinge ben oltre le acque territoriali indiane.
Comunque sia, i nostri non c’entrano, non hanno
sparato al St. Anthony e tutti faremmo bene a convincercene, evitando di
anche solo considerare le tesi folli sostenute dagli indiani e
smettendo anche di accarezzare l’ipotesi che forse i nostri hanno ucciso
ma che comunque vanno giudicati da giudici italiani. I nostri non hanno
ucciso nessuno, sono Fucilieri di Marina e se c’è una cosa che un
Fuciliere di Marina sa fare, per definizione, è sparare col fucile da
una nave, piazzando colpi di deterrenza pochi metri a prua o a poppa di
una imbarcazione che si avvicina secondo un profilo di minaccia. Pensare
che Salvatore Latorre e Massimiliano Girone abbiano sparato per
uccidere oltre ad essere malvagio è perfino illogico: per quale ragione
due Fucilieri del San Marco avrebbero dovuto desiderare la morte di due
innocenti pescatori indiani? Oggi, a elezioni avvenute, la speranza è
che i riflettori sulla vicenda si spengano, lasciando alla diplomazia e
al lavoro sotterraneo dell’ottimo Staffan de Mistura le chance di
riportare a casa prima possibile i due Marò, senza mancare però di farci
affiancare in maniera più determinata da Onu e Ue.
Sembra infatti che i vertici di queste due organizzazioni
abbiano scordato che la lotta alla pirateria, e quindi anche la
presenza di militari armati a bordo di navi mercantili, è in
accoglimento delle linee guida dell’Imo (International maritime
organization - organismo Onu preposto alla disciplina dei traffici
marittimi) ed in ottemperanza alle disposizioni Ue e Nato in materia di
contrasto alla pirateria al largo del Corno d’Africa. È perlomeno
singolare che queste due organizzazioni non abbiano sin dall’inizio
agito concretamente e tempestivamente contro le decisioni indiane,
abbandonando l’Italia a gestire la crisi senza alcun supporto, salvo poi
pronunciarsi in maniera piuttosto tiepida e con colpevole ritardo
attraverso la bocca di Catherine Ashton, alto rappresentante per gli
Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell'Unione Europea, incolore
baronessa britannica i cui meriti e competenze ci sono tuttora
misteriosi.
(Fonte)
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