mercoledì 7 novembre 2012

Il volontariato è un affare per tutti

A Roma 10 associazioni sfamano 8 mila clochard. 

 

L'appuntamento è alle 20.30 in uno slargo non lontano da piazza Venezia. Il primo gruppo a cui dobbiamo dare da mangiare già ci aspetta. Noi dobbiamo ancora dividere cibo e vestiti.
A ROMA 8 MILA CLOCHARD. Secondo l’ultimo studio, a Roma i senza fissa dimora son passati in un anno da 6 a 8 mila, l’80% sono stranieri, vengono dall’Est e dalle zone di guerra soprattutto. I rifugiati che chiedono asilo arrivano a 2 mila. Il 15% del totale sono donne.
A fine serata abbiamo dato cibo e bevande a 50/70 persone, una goccia. Clochard, barboni, il termine vale per un po’ più di una quindicina di quelli che incontriamo.
Il resto di chi mangia grazie a noi non è diversa in abiti e gesti da chi si incontra sull’autobus. Per un po’ rimangono lontani, poi qualcuno che non ce la fa e s’avvicina. «Aspettate».
Si fa il conto della roba. Cioè: Diego ed Eva fanno il conto della roba. Noi alziamo le spalle. Loro fanno finta di litigare, noi di arrabbiarci. È una gag che funziona sempre. Da sei anni, oltre al cibo, loro trovano coperte, camicie, scarpe per chi vive per strada.


CIBO E COPERTE. Eva fa l’assistente a una scultrice. Dobbiamo mettere insieme un panino, due pezzi di pizza, un uovo, frutta e qualcosa da bere, tè o spremute, per tutti quelli che incontriamo.
È da poco uscita un’ordinanza del sindaco Gianni Alemanno che vieta di mangiare all’aperto per mantenere il decoro nel centro storico. E si parla di 'decoro' a qualche settimana di distanza dagli scandali della regione Lazio, delle cene degli consiglieri vestiti da porci organizzate col denaro comune.
Diego mastica un panino «Chi vuole venire in galera insieme a me?». Ogni tanto c’è la pasta o, se qualche ristoratore ci ha aiutato, anche arancini, crocchette, supplì. C’è chi lavora nel marketing, chi fa l’impiegata, chi l’insegnante. Chi il lavoro l’ha perso ma viene comunque.

La Ronda della solidarietà in 20 anni ha coinvolto circa 40 mila volontari
Questa cosa si chiama Ronda della solidarietà. È nata a Firenze una ventina d’anni fa e ora c’è un po’ in tutta Italia e in quattro-cinque capitali europee. In due decenni ha coinvolto circa 40 mila volontari.
Due volte a settimana si gira per il centro e si offre cibo alle persone che hanno casa sul selciato. Dura circa un’ora e mezza. Questo è il tempo che costa dare una mano. Piccoli gruppi ci aspettano in tre, quattro angoli prestabiliti. Gli altri li troviamo sotto le chiese o dove i palazzi di Roma regalano porticati.
ALLA RICERCA DI UN TETTO. La percentuale di buona educazione è altissima, ma c’è anche chi è arrabbiato, scortese. Essere poveri fa girare le scatole.
Durante l’inverno, tra centri d’accoglienza del Comune o delle associazioni, circa 2700 persone riescono a trovare un tetto (i dati dicono che 1500 si muovono tra parrocchie ed enti religiosi, un migliaio in centri convenzionati) per gli altri resta la strada.
Secondo l’ultima ricerca dell’Istat, con la crisi, al profilo storico dell’homeless (italiano, tra i 45 ed i 65 anni, spesso con guai psichiatrici o di dipendenza) si sono aggiunte figure nuove: ragazzi stranieri in cerca di lavoro, anziani a cui non basta la pensione, gente che lavora ma non arriva a fine mese, separati che devono versare gli alimenti a mogli e figli e a cui lo stipendio non basta.
LA CAPITALE DEGLI SFRATTI. La capitale, poi, vanta il triste primato del maggior numero di sfratti della penisola: uno su 191 famiglie, contro uno su 691 di Milano e uno su 451 di Torino. In pratica, a Roma vengono cacciate di casa quasi 10 famiglie al giorno.

C'è chi non mangia il maiale e chi è vegetariano: vivere in strada non annulla scelte e gusti
Ogni giovedì, i volontari vengono a dar da mangiare a chi ne ha bisogno, che ci sia il sole o la pioggia. Il primo gruppo è composto da gente malmessa.
Non c'è stato verso di farli aspettare sotto la colonna di Traiano. Iniziamo a dividere il cibo sotto i loro sguardi e sembriamo sempre inadeguati. Qualcuno l'ha portato da casa mettendo i soldi di tasca propria. Altri, come me, son riusciti a trovare un baracchino, un pizzaiolo gentile che a fine giornata regala ciò che dovrebbe buttare per sfamare altre persone.
Siamo assolutamente impoetici. Non assomigliamo a San Francesco d'Assisi né al missionario Albert Schweitzer. A ogni Ronda si consegna la lista della spesa a quella successiva. Servono un paio di scarpe n. 42, camicie di piccola taglia e via dicendo.
NON SEMPRE È UNA MISSIONE. A me, viene anche un po' da ridere. Io sono qui perché facevo la corte a una tipa e lei non la faceva a me. Il vuoto dell’estate mi faceva paura e su google ho digitato “volontariato”.
La prima volta ho distribuito cibo a Termini. Lì è diverso. Dalle 110 alle 150 persone di solito. Meno umano, forse. Per riuscire a lavorare si cerca di creare una coda ordinata: non è facile starsene in fila ad aspettare che qualcuno ti sfami, così non è raro che la gente faccia a botte.
C’è chi, completamente drogato, salta la coda. Non sai se è meglio lasciarlo passare per allontanare un problema, facendo arrabbiare chi rispetta la fila, o rimetterlo in ordine e gestire chi non è in condizione di attendere.
Lì, spesso, riusciamo a dar la pasta ma bisogna stare attenti a evitare il maiale per chi è musulmano o la carne per i vegetariani. Questa cosa, quando la racconto, fa girare le scatole. Come se vivere in strada dovesse, ipso facto, azzerarti. Toglierti scelte e gusti.

In Italia, più di 50 mila senza fissa dimora
Le ragazze che erano con me parevano uscite dalla stessa estate di fidanzati mancati. Ma era sabato sera e, all’ora dell’aperitivo, noi distribuivamo panini a gente senza una casa.
In Italia, ora, i senza fissa dimora sono più di 50 mila. Racconto queste cose perché si ha l’immagine del volontariato come d’una missione circonfusa di luce. A volte, invece, comincia con una ragazza che non ti vuole: una delusione che ti spinge, per occupare il tempo, a dare una mano.
A Termini è dura. C'è poco tempo per chiacchierare mentre la fila scorre. Mentre con la Ronda si possono stringere rapporti e c'è il tempo di chiedere «Come va?» a chi per tetto ha il porticato.
Non sono ancora andato alla stazione Ostiense: lì le persone arrivano a 180. I diversi gruppi etnici fanno a botte. La settimana prossima mi occupo di dare le colazioni a Trastevere: 150 persone, un’ora di tempo.
POCHI ITALIANI A TERMINI. A Termini, gli italiani sono pochi e più timidi degli altri quando arrivano al tavolo. Le ricerche dicono che quando si finisce in strada la vergogna fa scappare dalla propria città. Così, si perdono legame e rapporti. Rientrare nella vita civile è complicatissimo.
In stazione, soprattutto, ci sono persone dell’Est e africani. Per ogni gruppo di volontariato, invece, è alto il numero di chi abbandona. Molti si fanno un giro e poi scompaiono.
IL VOLONTARIATO NON È CUPO. Sospetto che è perché non siamo tristi. Si aspettano qualcosa di più cupo (pentoloni che ributtano grasso, coltelli, peste) e invece c'è una roba così pratica, così normale. Pare poco, no?
La ronda è partita. Da piazza Venezia si va verso i fori. L’ottobre romano è generoso: i guai cominceranno a novembre. Sono tre mesi che la faccio e ancora non ha piovuto.
Antonio ha perso il lavoro per occuparsi di sua madre ammalata e poi è finito in strada. Ha trascorso 19 anni da clochard «senza mai passare una notte in terra»: dorme sugli autobus, dividendo le ore di sonno in unità di fermate. Durante il giorno va in chiesa, si inginocchia e riposa.
Il resto del tempo? Si cerca da mangiare. Lui, per esempio, non si porta dietro né buste né valigie. Ogni due giorni va dove distribuiscono vestiti: consegna quelli che indossa, fa una doccia e ne prende di nuovi.

Il 61% finisce in strada per un licenziamento o il fallimento di un’attività
A Roma le associazioni che si occupano dei senza fissa dimora sono una decina. Caritas, Sant’Egidio, protestanti, laici: una rete sotterranea che ripara guasti e guai della realtà indecorosa in cui viviamo.
Noi invidiamo i Cavalieri di Malta. Si favoleggia che tengano la divisa col mantello, i pasti imbustati come in business class e le coperte con il logo. Ci fanno sentire dilettanti.
Che succede durante la Ronda? Niente. È questo che vorrei provare a raccontare: niente. Si cammina, si incontra chi dorme in un cartone o chi ha una stanza ma non un lavoro. Condividiamo il cibo, chiacchieriamo, insultiamo Diego.
CLOCHARD TRA I 30 E I 60 ANNI. L’ultima parte è fondamentale. Eva se la prende con la sorella. Si fa qualche gag e poi si riparte. Ci sono anziani, coppie con bambini, ragazze poco più che adolescenti. Chi è consumato dalla strada e può avere dai 30 ai 60 anni.
C’è Elena, che dorme dietro il Vittoriano e l’altro giorno si lamentava che le avevano rubato una collezione di riviste di archeologia. Indiani dal corpo provato non diverso da quelli che t’immagini in una bidonville di Nuova Delhi.
Chi è in giacca e cravatta perché è uscito dal corso di italiano. Un tipo completamente sordo che dorme sotto la vetrina di una banca e non accetta altro che frutta.
RETE DI SOLIDARIETÀ. La roba interessante è che quando partecipi si crea una rete. Racconti quello che fai e c'è qualcuno che ha un'amica che deve liberarsi di vestiti per bambini. Così, tu li recuperi e finiscono in un una casa famiglia.
Conosci un autista e poi questo va a tenere lezione agli immigrati per prendere la patente. Il marito di una ragazza che era con me a Termini è un allenatore: ora fa fare sport ai ragazzi disabili.
Da quando lo faccio mi chiedono come si finisce in strada. Nessuno domanda come se ne esce. Le statistiche dicono per il 61% la causa è un licenziamento o il fallimento di un’attività.
DIVORZIATI A RISCHIO. Per il 59,5% dei casi c’entra anche un divorzio. Roberto, per esempio, aveva quella roba che chiamiamo vita normale. Poi un incidente in auto. Era senza assicurazione. Oltre alla famiglia perse ristorante e casa per pagare le vittime. Non so da quanti anni sta in strada, so che un mese fa ha detto all’amica che a Termini si occupa delle cene: «Non ce la faccio più a non fare niente».
Ora, un giorno sì e uno no, cucina in quattro mense. Anche lui, al prossimo, dà da mangiare. Sono le 22 e 30. Silvia ha avuto un maglione. Abbiamo regalato quattro coperte e finalmente trovato degli scarponcini numero 42 per Giuliano. Si torna a casa.

 

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