Il
15 ottobre 2013, ultimo giorno utile, il governo ha inviato la bozza di legge
di stabilità per l'anno 2014 alla Commissione Europea nel rispetto del
regolamento europeo denominato TWO PACK. Tale accordo, entrato in vigore il 30
maggio 2013, prevede la supervisione del Consiglio Europeo sui bilanci
nazionali dei singoli stati a partire proprio da quello per il 2014. Entro il
15 ottobre di ogni anno i governi nazionali inviano la proposta di bilancio
alla Commissione Europea che ha un mese di tempo per esprimere il suo parere.
Apparentemente,
i poteri della Commissione sono limitati. Essa dovrebbe limitarsi ad una
verifica sui saldi e le coperture previste, vale a dire ad esprimere una
valutazione della compatibilità della legge di stabilità con gli obiettivi
fissati dalle raccomandazioni del semestre europeo. Il dato sul quale si
concentra l'attenzione è sicuramente quello degli investimenti che potranno
utilizzare la clausola di flessibilità, introdotta l'estate scorsa dal
presidente Barroso. Tale clausola prevede la possibilità di discostarsi
dall'obiettivo del pareggio di bilancio, mantenendo fermo il limite del 3% del
rapporto deficit/pil. Prevedendo per il 2014 un deficit del 2,3%, sarebbe
possibile utilizzare quanto si discosta dal 3%, vale a dire lo 0,7%. Per
rimanere in sicurezza si utilizzerà probabilmente lo 0,5% che equivale a 7/8
miliardi di spesa extra. Tale variazione di spesa dovrà essere collegata alla
spesa nazionale nei progetti cofinanziati dall'UE, nel quadro delle politiche
strutturali e di coesione ( stiamo parlando del Fondo europeo di sviluppo
regionale e del fondo sociale europeo ). Questi fondi dovrebbero finanziare le
reti TEN ( Trasporto Trans Europeo ) ed il programma definito CONNECTING EUROPE
FACILITY, vale a dire l'agenda digitale europea.
Alcune
considerazioni: non si tratta di evidenziare la riduzione di sovranità
nazionale, che ormai è un totem abbattuto da tempo, ma di mettere in evidenza
la totale subordinazione della politica economica nazionale alle esigenze
dell'UE, senza tenere in alcun conto le esigenze dei cittadini italiani. La
riduzione del deficit, che consente di recuperare un tesoretto di 7/8 miliardi,
è il prodotto dei cosiddetti sacrifici dei cittadini, o meglio, è il risultato
della spoliazione di ricchezza subìta da interi settori sociali. Ebbene, tale
risparmi non solo non possono essere riutilizzati da chi li ha prodotti, ma
vengono impiegati in ulteriori processi di ristrutturazione del paese in
funzione della sua collocazione nell'europolo. È possibile che si richiedano
sacrifici per accantonare risorse da utilizzare nella rete di trasposto
transeuropeo come la TAV
, o nella mitica agenda digitale probabilmente per favorire il controllo dei
servizi segreti. Un dato sicuramente illuminante; l'Anie di Confindustria, che
rappresenta le industrie elettroniche, ha denunciato che per le infrastrutture
sono stati spesi il 12% dei fondi strutturali con una perdita di 142 miliardi
di euro di PIL.
Bisogna
inoltre tener conto che sulle scelte strategiche legate alla legge di stabilità
vi sono stati e vi sono ancora in corso incontri riservati tra esponenti del
governo e la commissione europea. Teniamo inoltre presente che il ministro
dell'Economia è uomo del FMI e il suo atteggiamento, nonché il suo ruolo,
dimostrano con assoluta evidenza che il tanto temuto, a parole,
commissariamento è in realtà in atto da tempo grazie al governo Letta, che ha
saputo spingere in avanti le scelte politiche del governo Monti.
Gran
parte del lavoro di programmazione economica previsto dalla legge di stabilità
è costruito su stime e previsioni rispetto alle entrate e agli indirizzi di
spesa. Non basandosi completamente su dati oggettivi e misurabili in toto,
consente di introdurre elementi di politica economica che ha una chiara e
inequivocabile matrice neoliberista. Poiché si lavora su previsioni di
bilancio, diventa inevitabile il balletto delle cifre e la contraffazione
sistematica dei dati utilizzati senza analisi e divulgati da media compiacenti
come dati reali e stabili.
Vediamone
alcuni : Bankitalia aveva previsto per il 2013 una calo del PIL vicino al 2%,
accusata di pessimismo da Saccomanni che è talmente ottimista da scagliarsi
contro ogni ipotesi di riduzione delle tasse con una veemenza da kamikaze.
L'ISTAT prevede una riduzione del PIL di meno 1,8% per il 2013 e un segno
positivo di 0,7 % per il 2014. Saccomanni contesta i conti dell'Istat come
impregnati da pessimismo e quindi non oggettivi. Da considerare che l'Istat è
organo dello stato per la rilevazione dei dati statistici ed è accreditato
anche in Europa come fonte ufficiale di raccolta dati. La Commissione Europea
assume come credibili i dati espressi dall'Istat e ne conferma le previsioni.
Lo
0,7% di PIL in positivo per il 2014 viene presentato come la fine della
recessione, in realtà tecnicamente il PIL dovrebbe smettere di andare peggio
del trimestre precedente, ma non vuol dire che diventi positivo. L'incremento
dello 0,7% è calcolato sul trimestre precedente, altra cosa è su base annua e
altra cosa sono la perdita di 10 punti di PIL persi negli ultimi anni.
Sulla
questione fiscale, senza per ora scendere nei dettagli, il sempre acuto
Saccomanni prevede una riduzione di un miliardo di tasse per i cittadini, la CGIA di Mestre ne calcola 1,1
miliardo in più per gli stessi cittadini di Saccomanni. Ora qualcuno
probabilmente darà pure i numeri, ma qualcun altro ci gioca sulla nostra pelle.
Arrivando
ad una prima sommaria conclusione possiamo rilevare che :
l'eventuale
riduzione del deficit non è e non sarà mai nelle disponibilità dei cittadini,
le scelte di investimento vengono fatte dall'Europa con la mediazione del
governo italiano, i dati sono inutilizzabili perché manipolati, la politica non
è assente, è complice delle scelte europee, dobbiamo aspettarci un ulteriore
aumento della pressione fiscale con l'abbattimento definitivo (forse) dell'IMU
e l'introduzione di TARI, TASI e TRISE, l'uso dei fondi strutturali europei,
seppure in parte cofinanziati dal governo, saranno utilizzati per i progetti di
ristrutturazione del modello di sviluppo e dell'europolo, la disoccupazione
giovanile e non solo sarà il dato costante del nuovo ciclo economico europeo.
(Fonte)
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