Ecologia del vivere: Chi può dire Buon Natale?
Le domande che ci provengono dalla società sono svariate e
complesse, spesso con referenti e risposte immediatamente non individuabili. A
fianco di queste domande, troviamo le non-domande, la disperazione che cerca
nei pertugi del tempo, un modo per sbarcare la giornata e trovare un barlume di
speranza. Queste domande assumono le sembianze di persone senza volto, che
spesso cercano servizi a bassa soglia, che potrebbero servire solo per dare un
calcio a quella disperazione che toglie il respiro e la voglia di vita.
Informazioni utili per usufruire di servizi di sostegno ai diversi “accidenti”
che cascano in testa come coriandoli a Carnevale; o sportelli per affrontare le
minuscole questioni d’interpretazioni di norme e delibere che potremmo o
dovremmo utilizzare sia per premiare alcuni diritti sia per adempiere degli
obblighi ma di cui, di primo acchito, non decifriamo vantaggi e svantaggi; o un
piccolo sostegno per ridurre la pressione di società - ormai tutte all’estero -
che chiamano come e veri stalkers in tutte le ore del giorno, per una bolletta
o una rata non pagata.
Perché la crisi colpisce duro e capita sempre più spesso
di decidere se comprare una medicina o la frutta o pagare una rata lasciata in
sospeso. Purtroppo, la crisi economica è anche questa, e le famiglie non sono
più in grado di reggere l’urto. In questa situazione, potrebbero essere
sufficienti anche servizi a bassa soglia, che non risolvono i problemi, ma
intanto iniziano un percorso a piccoli passi, e cosa importante, non ci fa
sentire soli mentre il mondo ci crolla addosso.
Le piccole vie di fuga proposte, utili per il disbrigo
burocratico ci fanno prendere un po’ di fiato.
Invece rimangono solo domande silenti che non arrivano mai.
Piuttosto, una Res publica attenta dovrebbe monitorate e
dare audizione immediata alla domanda silente che genera turbamento e
mortificazione con la velocità inversamente proporzionale ai rimandi e al
ritornello del tradizionale politichese. Nondimeno, associazioni, patronati,
partiti e sindacati, enti e comitati a difesa di qualcosa, crescono con radiosa
progettazione.
Qualche tempo fa, in un momento di lucido realismo, l’ho
apostrofati con il nomignolo forse ingeneroso di “professionisti del dolore”. La mia asperità civica m’incalza e mi
pone una domanda più circostanziata: perché c’è una non-risposta e non ci sono
interlocutori autorevoli pronti a intercettare in volo una così diffusa
preoccupazione che mi azzardo a chiamare bisogno?
Verosimilmente perché sono tantissime le domande e troppo
diseguali tra loro, o perché il passe-partout è la tessera e l’affiliazione,
che non sempre accettiamo? Un lampo m’illumina e mi fa comprendere come
quest’aspettativa- rispondere alle domande dei disgraziati e costruire servizi
a bassa soglia- sia del tutto fuori logica mercantile.
Rispondere al cittadino consumatore ed elettore, è un lavoro
materialmente vero e necessariamente profittevole, di grande perizia e
furbizia, dove serve un’altissima esperienza di “servizio” e un’acclarata
pazienza per ascoltare e non ascoltare, con la stessa faccia tosta. Insomma,
per avere risposta alle patologie della “modernità” dovremmo prevedere un
budget adeguato e una curiosità filantropica per custodire la collezione di
tessere pronte all’uso ogniqualvolta, avremo bisogno d’informazione,
orientamento ed accompagnamento nel bel mezzo di situazioni di difficoltà e di
disagio o solo d’intendimento. Più semplicemente, altrimenti, avere qualche
santo in paradiso e recuperare istantaneamente, senza orpelli, lettura e
risposta con un sol colpo.
A questo punto mi sembra veramente disdicevole aspirare alla
possibilità d’interventi integrati, o servizi di sollievo e promozione sociale.
Riprendo allora a guardare i grandi numeri della statistica, quelli che
dovrebbero riguardare obbligatoriamente il decisore pubblico, giacché di
prevenzione o di benessere ci troviamo in un’attesa vana di qualche rito
propiziatorio che mostri efficacia e udienza, ma devo costatare sbigottito, con
irritazione mista a incredulità, che anche nei grandi numeri ci troviamo,
palesamene nelle tenebre di un’economia di guerra. La cosa mi mette un po’ di
paura perché le tinte fosche disegnate non si diradano, e le attese stizzite delle
persone si spalmano nel continuo peregrinare nei “cassonetti” della mestizia
quotidiana.
Questa moltitudine di gente è un buon mercato soltanto per i
misuratori della statistica e purtroppo per la saggistica. Comincio a pensare
al complotto! E allora non mi resta che vedere meglio questa statistica.
Purtroppo, dopo anni di crisi economica il Paese non è più in grado di reggere
un briciolo di visione: le famiglie sono in difficoltà e le imprese sempre più
in affanno. La situazione del mondo delle partite Iva è addirittura drammatica:
dall’inizio della crisi hanno chiuso le attività 415 mila lavoratrici autonome;
oltre 345 mila sono artigiani, commercianti e agricoltori. In particolare
l’Istat registra una diffusione della “severa deprivazione” superiore alla
media europea (9,9%). Aumentano gli individui che non si possono permettere una
settimana di ferie (dal 46,7% al 50,8%), di riscaldare adeguatamente casa (dal
18,0% al 21,2%), sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6% al 42,5%) o
un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 12,4% al 16,8%).
I dati Istat sono “sconcertanti”. Lo afferma il Codacons
aggiungendo che preoccupano in particolare “quelli secondo i quali il 50,8%
delle famiglie non può permettersi una settimana di ferie, il 42,5% non riesce
a sostenere una spesa imprevista di 800 euro ed il 16,8% non può permettersi un
pasto proteico adeguato ogni due giorni, dimostrano che l’Italia è tornata come
nel Dopoguerra, con gli italiani in miseria, costretti a lottare contro la
povertà, obbligati a risparmiare persino sull’acquisto del cibo, con la
costante paura di non riuscire a farcela”. “Questa situazione, che definire
drammatica è poco, – prosegue l’associazione – dipende soprattutto dal fatto
che da almeno dieci anni si è sistematicamente violato l’art. 53 della
Costituzione, aumentando le tasse indipendentemente dal reddito.
Così, mentre le aliquote Irpef scendevano per i ricchi, con
l’aliquota massima che passava dal 62%, in vigore fino al 1988, all’attuale
43%, pensionati e lavoratori dipendenti, ceti medi e medio bassi vedano
aumentare tutte le tariffe pubbliche e le spese obbligate possibili
immaginabili, dall’acqua ai rifiuti, dal gas all’elettricità. Mentre era
abolita l’Iva sui beni di lusso, aumentava l’aliquota ordinaria dal 15% del
1985 al 22%”. Numeri e statistiche che tolgono legittimità, ahimè, al decisore
politico, nuovo e vecchio!
Sento i nuovi politici, solo “anagraficamente”, abbaiare con
veemenza che “loro sono il nuovo e che non c’entrano nulla con il passato
politico e le scelte fatte. E si rivolgono alle platee con sdegno chiedendo di
lasciarli lavorare. Che sfacciataggine! Loro sono “ i compari” del vecchio.
Sono figli\e, compagni\e, anche “anagraficamente” del vecchio ormai
impresentabile. Sono i fedelissimi, i prescelti, che poche volte hanno
conosciuto la polvere della strada, la fatica di costruire un progetto con le
mani della visione e della passione, quella che ti fa vivere ed alcune volte
solo sopravvivere, ma sempre con la barra a dritta verso la dignità e la
centralità della persona. Non ci resta che ascoltare, indignati e confusi,
racconti pieni di enfasi e pathos quando la tragedia diventa evento mediatico.
Allora aggiungo una nuova considerazione, una piccola
considerazione: che cosa significa esclusione sociale? Esiste soltanto quella
che fa il palio con i numeri della statistica e dei talk-show, o c’è qualcosa
di diverso e supplementare che potrebbe sfuggirci nei diversi contatori della
fragilità umana?
Riflettiamoci per un secondo!
I meccanismi dell’esclusione sociale non sempre sono mossi
esclusivamente da ragioni economiche, che a volte non sono neppure quelle più
impellenti. Mancanza di salute o di tutela giuridica, strategie di vita
personali legate alle condizioni di provenienza, deficit culturali, forme di
disagio psichico non inquadrabile negli standard patologici riconosciuti,
indisponibilità di alloggi: sono tutti fattori che in modo separato o
interagendo portano a vere e proprie forme di segregazione sociale. Detto
altrimenti, ritroviamo qui i cosiddetti “senza senso”, gli “invisibili” che
percorrono la città senza interruzione per consumare idee di sopravvivenza; i
“senza più imprenditorialità nei confronti di se stessi”, chi vive eventi
socialmente traumatici (ad esempio chi è espulso dal mercato del lavoro e non
riesce a trovare altra soluzione che autoescludersi). Infine, troviamo gli ultimissimi,
che non chiedono perché non sanno come e a chi chiedere.
Allora corro di nuovo a rifugiarmi nella rete dei servizi
offerti da terzi, ma basito leggo da uno dei più autorevoli siti del terzo
settore ”Vita.it” come prima notizia del 19 dicembre, quanto segue: ”Legge di Stabilità, non c’è spazio per il
sociale. In Commissione Bilancio alla Camera respinti o ritirati quasi tutti
gli emendamenti. Resta il tetto di 400 milioni al cinque per mille, nessuna
novità sui fondi sociali, misure anti povertà, servizio civile, imposta di
registro e nuova tobin tax. Per corpi civili di pace, derrate alimentari e
cooperazione stanziata una manciata di milioni. Briciole”.
Non possiamo far finta di niente e fare sorrisini quando,
questa classe dirigente infingarda e farisea, ci lancia l’augurio di “Buone
Feste”. Allora, dare forma animata a dei numeri freddi e capire che cosa si
nasconde dietro un talk-show, o peggio dietro i volti sempre contriti dei
soliti noti, che poi guarda un po’ il caso, sono anche decisori della Res
publica e detto volgarmente, del nostro destino, ci aiuta a diventare esseri
umani con coscienza e forse anche con responsabilità e la possibilità di dire
con il cuore pieno di amore, Auguri di Buon Natale a tutti.
Ma questo slancio di affetto e condivisione umana non è
accordato a loro, soliti noti!
(Fonte)
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