L’ITALIA NON SFRUTTA LA “GRANDE GUERRA”, IL MONDO ED I COMUNI SI.
Pare che il fondo nazionale per le celebrazioni del
centenario della “Grande Guerra” del ’15-’18 sia stato azzerato. Un evento
storico dell’Italia e del mondo (la
I guerra mondiale, appunto!) a cui parteciparono circa 6
milioni di concittadini segnando profondamente la storia sociale, politica,
economica e culturale del Paese con 750.000 morti tra caduti in guerra
(680mila) e civili. Complessivamente il conflitto è costato 157 miliardi di
lire (per avere un’idea delle proporzioni teniamo conto che in quel periodo il
PIL era di 95 miliardi). Un impegno economico salito a 213 miliardi se si
conteggiano gli oneri finanziari pesati sul bilancio dello Stato per 62 anni
dalla fine della guerra, cioè fino al 1980. La decisione (necessità) di
azzerare questo fondo è un brutto segnale per diversi motivi legati a storia,
memoria e iniziative che si dovrebbero realizzare. Brutto anche perché proprio
in queste settimane tra i vari Stati coinvolti nel conflitto, si sono avviati
gli incontri per organizzare gli appuntamenti del centenario.
C’è qualcosa in più in questa decisione, che va oltre il
perimetro della rievocazione storica e che sta invece nella dimensione di oggi.
Di come l’Italia si rapporta cioè ad un evento che ha segnato la propria storia
e che potrebbe essere anche un’occasione per il futuro. Le celebrazioni, da cui
noi ci “auto-escludiamo” rischiando la figuraccia, si svolgono a livello
globale e vedono, per esempio, la Gran Bretagna già impegnata con 56 milioni di
euro, la Francia
ed il Belgio con 100 e anche la lontana Australia, che ha partecipato al
conflitto con un ventesimo dei soldati schierati dall’Italia, ne ha messi in
campo 96.
Perché un investimento di risorse così alto legato ad una
celebrazione? Il peso di storia e memoria sono i soli motivi per cui già da
soli 4 Stati hanno stanziato quasi 400 milioni di euro? No. I 100 anni della I
Guerra mondiale sono (anche e soprattutto) un investimento su cultura, luoghi e
turismo. Un investimento che vede nell’appuntamento un’occasione su cui
massimizzare un ritorno economico. Un tipo di scelta e di vision che
nel nostro Paese stentano ad affermarsi: fare della celebrazione di grandi
eventi storici un’opportunità di richiamo unico al mondo (appuntamento e location non
sono riproducibili altrove!) in cui cultura e turismo generino risorse e
vantaggi per territori e Stati favorendo un alto ritorno economico.
Come detto in Italia non abbiamo, purtroppo, questo
approccio.
La rievocazione della battaglia di Little Big Horn tra le
truppe del generale Custer e gli indiani del 1876; la ricostruzione dello
sbarco in Normandia contro il nazismo, il D-Day del 1944; la commemorazione
della campagna di Russia di Napoleone del 1812, sono alcuni degli eventi
storici bellici che sono ogni anno al centro di una rievocazione che coinvolge
migliaia di persone e soprattutto iniziative di richiamo di livello mondiale
per storici, appassionati, turisti di nicchia, collezionisti e quanti oltre al
viaggio cercano una occasione per visitare luoghi che altrimenti in un periodo
diverso dell’anno non avrebbero appeal. Su questo terreno dire che l’Italia è
in ritardo non è una forzatura ma la realtà: tolta qualche rievocazione legata
ad appuntamenti “minori” e iniziative per eventi eccezionali non ripetuti
annualmente, da noi il “turismo storico e da guerra” non esiste. Non viene
sfruttato nelle enormi potenzialità che invece proprio la Penisola avrebbe (in
esclusiva) considerando che per secoli la storia è passata in via principale
dalle nostre parti. Mentre altri costruiscono su singoli eventi e loro
surrogati occasione di richiamo – basti pensare alle spiagge del D-Day che
chiedono di essere patrimonio Unesco (con i vantaggi che ciò comporterebbe) o
ai parchi a tema che in tutto il mondo si rifanno all’antica Roma – noi siamo
statici.
Insomma luoghi che in altri tempi sono stati di guerra e di
eventi tragici, adesso lo sono di memoria storica ma anche di cultura e
turismo.
Proprio l’aspetto culturale e la riconversione a questi
fini, è quello su cui avremmo le carte più forti da giocare e invece lo Stato
non esprime una politica organica e moderna, lasciando ai territori il compito
di realizzare iniziative che necessiterebbero invece di una policy nazionale.
Per andare al concreto ma non andare lontano: Verceia è in
provincia di Sondrio, quasi al confine con la Svizzera. Qui 100
anni fa la Grande
guerra ha lasciato sul terreno tante vite e anche tanti altri segni che la
distanza del tempo aiuta a vedere con occhi diversi. Nel borgo che oggi conta 1.100
abitanti, i soldati dell’esercito italiano scavarono nella viva roccia tra il
1916 ed il 1917 la Mina
di San Fedele: un cunicolo posizionato in maniera parallela sopra le due
gallerie di ferrovia e strada che corrono vicine una accanto all’altra. L’utilizzo
militare di questa opera era il seguente: in caso di invasione, far brillare le
mine posizionate al suo interno provocando il crollo della montagna su strada e
linea ferrata in modo da impedire al nemico l’accesso all’Alto Lario e alle
direttrici di Como e Lecco verso la città di Milano. La galleria negli anni è
stata pian piano trascurata, poi abbandonata quasi sino a dimenticarne
l’esistenza con l’ingresso murato e con la guerra ormai lontana, mai più
utilizzata per niente altro. Da tempo Luca Della Bitta, il giovane sindaco,
immaginava di rendere un’opera ormai dimenticata e di guerra in qualcosa per
tutti ed utile per la comunità e, dopo un periodo a capirne di chi formalmente
fossero proprietà e competenza ad intervenire (“l’hanno costruita i soldati,
quindi comunque è un bene pubblico”), l’amministrazione rompe gli indugi e
nell’ottobre del 2012 gli interventi di restauro e messa in sicurezza sono
conclusi con diverse collaborazioni, tra queste il Museo della Guerra Bianca in
Adamello.
Da circa un anno la mina è aperta a tutti ed è luogo di grande
interesse culturale: “la galleria è visitabile – racconta orgoglioso Della
Bitta – ed è un esempio di promozione di luoghi culturali con varie finalità,
turistiche, di studio, espositive e storiche per citarne alcune; puntiamo a
farne uno strumento per avere anche altri vantaggi e ricadute concrete sul
territorio”.
L’esempio (ce ne sono diversi altri) di quanto raccontato
legato proprio alla I guerra mondiale, rappresenta un tassello raro fatto di
particolari opere, eventi storici e località simbolo accomunate da aspetti che
possono (e devono) avere politiche ed iniziative dedicate. Tasselli che mettono
al centro memoria storica, luoghi, commemorazioni e strutture che hanno la
caratteristica di essere localizzati in determinati centri (piccoli e grandi).
L’investimento su queste realtà non è solo testimonianza di attenzione, valenza
civica e recupero della propria storia, ma uno è spaccato di politiche
culturali nuove.
Il fatto che sempre più spesso a curarsene siano gli
amministratori di generazioni giovani, rappresenta inoltre la testimonianza
positiva di due profili: l’attenzione per ricordo e recupero ed anche
l’investimento materiale e culturale. Una “ricollocazione” in abito nuovo della
singola opera o del luogo con una visione larga non vincolata solo alla storia.
Territori ed opere che non siano più segno di guerra ma di dialogo e
valorizzazione per la crescita economica.
Luoghi di divisione che oggi potrebbero essere di economia
positiva. Nel mondo lo sanno, i Comuni anche, lo Stato pare non ancora.
(Fonte)
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